Città del Vaticano , 08 June, 2024 / 4:00 PM
Una visita lampo di Andryi Yermak, capo dell’ufficio del presidente dell’Ucraina Volodymir Zelensky, ha caratterizzato la giornata di Papa Francesco, che lo ha ricevuto l’8 giugno. Yermak, in Italia per colloqui di governo come parte di un tour europeo che lo ha visto anche in Francia a preparare il prossimo summit per la pace, ha anche incontrato, alle due di notte, il Cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, e ha avuto anche un bilaterale con il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano. Sul tavolo, anche la “formula di pace” ucraina e la conferenza per la pace in Ucraina in programma in Svizzera tra due settimane, che si svolgerà senza la presenza di Cina e Russia, rendendola di fatto meno efficace di quello che potrebbe essere.
Una conferenza sul tema della libertà religiosa rappresenta l’occasione, per il “ministro degli Esteri” vaticano Paul Richard Gallagher, di porre l’accento sull’erosione del diritto dei diritti e per mettere in luce l’importanza di difendere la libertà religiosa oggi. Durante la conferenza, si è chiesta anche una piattaforma globale per difendere la libertà religiosa.
Il 76esimo dell’indipendenza di Israele permette all’arcivescovo Gallagher di spiegare ulteriormente la posizione della Santa Sede sulla situazione a Gaza, perché la Santa Sede non può non guardare alla guerra anche da un punto di vista morale.
E in un commento a margine con alcuni giornalisti, il Cardinale Parolin ha confermato la presenza di Papa Francesco al G7 di Borgo Egnazia il 14 giugno e ha sottolineato che ci saranno anche dei bilaterali con chi lo chiederà, lasciando dunque la porta aperta ad un faccia a faccia tra Papa Francesco e il presidente USA Joe Biden.
È un periodo di transizione particolare per la Santa Sede, con molte sfide da affrontare, in un momento cruciale.
FOCUS SANTA SEDE
Yermak da Papa Francesco
L’8 giugno, Andryi Yermak, capo dell’Ufficio di presidenza ucraino, ha avuto una udienza privata con Papa Francesco. Arrivato nella notte, è stato ricevuto anche dal Cardinale Matteo Zuppi, inviato speciale di Papa Francesco in Russia e Ucraina, e ha avuto un bilaterale in Segreteria di Stato vaticana.
Yermak viene alla vigilia della Conferenza di Alto Livello sulla pace in Ucraina che si terrà sul Bürgenstock, in Svizzera, e che vedrà le defezioni di Russia e Cina. La Santa Sede dovrebbe mandare un rappresentante di alto livello alla conferenza.
In vari post su X, Yermak ha dato conto della visita. Riguardo l’incontro con il Cardinale Zuppi, Yermak sottolinea di averlo informato “riguardo i principi di preparazione del prossimo Summit Globale della Pace e della filosofia ucraina per raggiungere una pace giusta e duratura”.
Come si ricorderà, il viaggio del Cardinale Zuppi era destinato soprattutto a creare un meccanismo per garantire un ritorno in Ucraina dei bambini che si trovano in territorio russo. Yermak afferma che “la questione del ritorno dei bambini ucraini sarà un tema chiave del summit”.
Riguardo l’incontro con Papa Francesco, Yermak ha sottolineato che quella con il Santo Padre è stata “una conversazione importante”, e ha detto di aver “informato il Papa riguardo la filosofia della Formula di Pace del presidente Volodomyr Zelensky” sottolineando perché “quella formula è l’unica via per una pace giusta”.
Yermak ha aggiunto di aver parlato con il Santo Padre anche “della preparazione per il Summit Globale per la Pace che si terrà in Svizzera” e che “particolare attenzione è stata data alla questione del ritorno dei bambini ucraini che sono stati forzatamente deportati dalla loro nazione”. E ancora, Yermak ha affermato che “abbiamo bisogno di un risultato, e così stiamo facendo qualunque cosa per riportare a casa i bambini. Papa Francesco ha espresso il suo supporto per l’Ucraina. Esprimo sincera gratitudine a Sua Santità”.
Yermak ha spesso sollecitato la diplomazia della Santa Sede. A gennaio 2023 aveva detto che “è ormai tempo di una visita del Papa in Ucraina, per dare un chiaro segnale che la Russia debba ritirare le sue truppe”, mentre il 5 luglio 2023 aveva avuto una conversazione telefonica con il Cardinale Parolin in cui lo aveva aggiornato “degli sforzi dell’Ucraina per raggiungere la pace”.
Le sfide da affrontare per la Santa Sede
Al di là della questione ucraina, ci sono, al momento, tre aree di particolare interesse per la Santa Sede, al di là di quelle note. La prima è il Kosovo. Il piccolo Stato slavo, riconosciuto da pochissimi Paesi al mondo, ha stabilito un ufficio di liaison a Roma. Non si tratta, né si può trattare, di un ufficio diplomatico, perché – come detto – la Santa Sede non riconosce il Kosovo. La Santa Sede apre anch’essa un ufficio in Kosovo, ma si tratta di un ufficio informale, senza rappresentanza diplomatica. Nonostante i buoni rapporti recenti, e la volontà della Santa Sede di trovare una soluzione alla polveriera dei Balcani Occidentali, per ora la Santa Sede non riconoscerà il Kosovo.
Per quanto riguarda la guerra in Ucraina, come è noto il 15 e 16 giugno si terrà sul Bürgenstock, in Svizzera, la Conferenza di Alto Livello sulla pace in Ucraina. La Santa Sede parteciperà con un messaggio del Papa e almeno la presenza di un suo inviato. Tuttavia, la conferenza parte già zoppa con le defezioni di Cina e Russia. La Santa Sede, che punta ad un modello il più possibile multilaterale, apprezza l’iniziativa della conferenza, ma teme che la conferenza resti un guscio vuoto.
Infine, l’apertura all’Asia, e in particolare al Vietnam. Papa Francesco ha inviato ad Hanoi un rappresentante permanente, dopo un lungo accordo con il governo, e l’auspicio è che il Papa possa davvero porre in essere il sogno di un viaggio ad Hanoi.
Il tema nascosto resta quello della Cina. Non sono stati annunciati, ma alcune fonti riferiscono di colloqui sino- vaticani per il rinnovo dell’accordo sulla nomina dei vescovi che hanno avuto luogo in Vaticano nell’ultima settimana di maggio.
Negli accordi, si sarebbe parlato di estendere la durata “ad exeperimentum” dell’accordo da 2 a 4 anni, dei confini delle diocesi cinesi (Pechino ha fatto una sua divisione delle diocesi, che non considera nemmeno le differenze tra arcidiocesi, diocesi, vicariato) che la Santa Sede sarebbe disposta a di ridefinire seguendo il criterio di rendere le diocesi più vicine alle amministrazioni territoriali, e anche dell’ufficio vaticano a Pechino, che il Cardinale Parolin ha detto di auspicare. Non sarebbe un ufficio diplomatico, tuttavia, ma una liason che permetterebbe alla Santa Sede di monitorare gli sviluppi dell’accordo e possibili incomprensioni cinesi su base quotidiana.
Cardinale Parolin: la Chiesa e il rapporto con l’Italia
A seguito del botta e risposta tra i vescovi italiani e il governo, il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, prende la parola per difendere il diritto dei vescovi di esprimere una opinione sulle riforme.
Durante l’assemblea general della CEI, infatti, il Cardinale Matteo Zuppi aveva criticato la riforma del premierato, ovvero la riforma costituzionale che vorrebbe il presidente del Consiglio espressione diretta del voto dei cittadini, nonché quella delle autonomie differenziate. Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni aveva lamentato una ingerenza dei vescovi sui temi della politica italiana, con parole che non erano passate inosservate Oltretevere.
Il 6 giugno, il Cardinale Parolin, parlando a margine della presentazione del libro Il senso cristiano dell’uomo secondo Reinhold Niebuhr. Tesi di dottorato di don Luigi Giussani, ha sottolineato che “la Conferenza Episcopale Italiana è la Chiesa in Italia e, come ogni Chiesa del mondo, anche i vescovi italiani sono liberi di esprimersi. Lo faranno con i dovuti modi, ma questo ricade sotto loro responsabilità”.
(La storia continua sotto)
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Parlando delle elezioni europee, il Cardinale Parolin ha ribadito l’invito “a tutti i cittadini ad agire responsabilmente, partecipando al voto”.
Di cosa parlerà Papa Francesco al G7?
Il Cardinale Parolin, parlando con i giornalisti lo scorso 6 giugno, ha affrontato anche il tema della presenza di Papa Francesco al G7 il prossimo 14 giugno. Ancora non c’è un programma del viaggio, che dovrebbe avvenire in una giornata, che vedrebbe il Papa intervenire e poi rientrare a Roma. Si era anche pensato che il Papa avrebbe inviato un messaggio scritto o un videomessaggio, in assenza di ulteriori informazioni.
Il cardinale Parolin ha però confermato il viaggio, e anche il fatto che il Papa potrebbe dedicare parte della visita a dei bilaterali. Si parlava anche di un incontro con il presidente USA Joe Biden. Il cardinale Parolin ha detto che pensa che, sì, il Papa dedicherà del tempo ad alcuni incontri bilaterali con presidenti e capi di Stato che glielo hanno chiesto. Quindi immagino che ci sarà anche questo (cioè, l’incontro con Biden, ndr)”.
Tra i bilaterali, potrebbe esserci anche un bilaterale con il presidente francese Macron, che più volte ha avuto contatti diretti con Papa Francesco. I temi dei bilaterali riguarderanno quasi sicuramente la pace e la sicurezza in Europa, con riferimento alla situazione in Ucraina, e poi la situazione in Terrasanta, che la Santa Sede segue con preoccupazione.
Per quanto riguarda i temi dell’intervento di Papa Francesco al G7, il cardinale Parolin ha detto di immaginare che il Papa “farà un accenno all'applicazione dell'intelligenza artificiale sulle armi”.
Il Papa parlerà infatti nella sessione del G7 aperta ai Paesi invitati, dedicata appunto all’intelligenza artificiale.
Il tema dell’intelligenza artificiale applicata alle armi è stata affrontata dalla Santa Sede da diverso tempo, basti pensare il vasto impegno riguardante l’utilizzo delle LAWS (Lethal Autonomous Weapon System) e le loro implicazioni etiche.
Il discorso del Papa dovrebbe toccare anche le implicazioni etiche dell’intelligenza artificiale, seguendo i principi della Rome Call for AI Ethics lanciata dalla Santa Sede che è stata già firmata dai colossi dell’informatica e da diverse confessioni religiose.
Papa Francesco potrebbe anche riprendere il tema di stabilire una autorità mondiale con competenze universali riguardo l’intelligenza artificiale, richiesta lanciata dall’arcivescovo Gallagher in uno dei suoi discorsi alle Nazioni Unite all’apertura dell’assemblea generale dello scorso settembre.
FOCUS LIBERTÀ RELIGIOSA
L’arcivescovo Gallagher difende il diritto alla libertà religiosa
Intervenendo il 6 giugno alla Conferenza internazionale “Religious Freedom and Human Integral Development”, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher ha scandito che “la violazione del diritto alla libertà religiosa ha l’effetto di ledere non solo un diritto, ma l’intera categoria dei diritti umani”.
La conferenza è stata dall'Ambasciata dell'Ordine di Malta presso la Santa Sede, dall’Atlantic Council, Notre Dame University, University of Sussex, John Cabot University e Pontificia Università Urbaniana.
L’evento, ospitato nella Villa Magistrale dell’Ordine all’Aventino, si è concluso con una tavola rotonda a cui ha assistito il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin.
Nel suo intervento, Gallagher ha notato che “è preoccupante che, secondo alcune stime quasi 4,9 miliardi di persone vivono in Paesi con violazioni gravi o gravissime della libertà religiosa”.
Secondo le cifre, i cristiani sono i più vulnerabili per quanto riguarda la violazione del diritto all’obiezione di coscienza, considerando che “oltre 365 milioni di cristiani, circa uno su sette, affrontano alti livelli di persecuzione a causa della loro fede”.
Il “ministro degli Esteri” vaticano ha sottolineato che “gli attacchi contro chiese e proprietà cristiane sono aumentati in modo significativo nel 2023. Si tratta di cifre degne di nota, soprattutto se si considera che anche una sola violazione di un diritto umano è di una gravità senza precedenti”.
Gallagher ha poi ribadito che è “preoccupante che il numero di persone perseguitate a motivo delle loro credenze religiose stia aumentando, in contrasto con la tendenza generale osservata per le violazioni di altri diritti umani”.
Tra i fattori che contribuiscono all’aumento “inatteso e importante” di intolleranza, discriminazione e persino della persecuzione a ragione delle credenze religiose della persona, l’arcivescovo Gallagher indica prima di tutto il “fondamentalismo religioso, che non è limitato all’Islam”, e che spesso “si mescola a forme di nazionalismo che stanno rendendo esplosive realtà che un tempo erano immuni all’intolleranza religiosa”, con un fenomeno che “non deriva solo dalla natura non democratica del sistema statale”, ma anche dalla “crescente violenza dei gruppi privati”, e può nascere anche “per ragioni politiche ed economiche”.
L’arcivescovo Gallagher nota dunque che “la violenza che i cattolici — vescovi, sacerdoti, laici — subiscono in diverse realtà è unica, poiché la Chiesa si oppone alla diffusione di un’economia del saccheggio, che favorisce il crescente divario tra i (pochi) ricchi e la moltitudine di poveri”.
Il segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati ha poi individuato nel sovranismo un’altra causa delle discriminazioni, perché questo “in nome della conservazione delle identità nazionali, porta a forme più o meno esplicite di intolleranza verso le minoranze religiose”, cosa che “solleva, tra le altre, la delicata questione dei limiti legittimi che vengono o possono essere posti all’esercizio di un diritto che in una società democratica deve essere sullo stesso piano degli altri diritti”.
Gallagher denuncia: “C’è anche un’intolleranza che mostra il suo volto minaccioso nei Paesi ricchi dell’emisfero settentrionale, nell’Occidente che si vanta dei risultati raggiunti nel riconoscimento e nella tutela dei diritti umani”.
Una situazione definita “paradossale” per Paesi che si vantano di essere “esportatori di diritti umani”, anche quelli che erroneamente vengono chiamati diritti, come “le lotte per l’universalizzazione dell’aborto come diritto o, più in generale, dei cosiddetti diritti riproduttivi; o anche alle richieste sul tema del gender”.
Così facendo, trascurano però il primo dei diritti, ovvero “la libertà religiosa”, e lo fanno secondo “un evidente fattore ideologico, vale a dire la laicità dello Stato e delle istituzioni pubbliche”, dove “la neutralità riguardo alla libera scelta dei cittadini nelle questioni religiose è sostituita da un’ideologia intollerante nei confronti di altre credenze, che di conseguenza vengono emarginate al punto di sparire dalla pubblica piazza”.
L’arcivescovo Gallagher lamenta “l’assenza di qualunque riferimento alla libertà religiosa dall’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile è indicativa della riluttanza della comunità internazionale a riconoscere la dimensione religiosa nella vita delle persone”, mentre la religione è vista solo come “un mero attributo tra le tante caratteristiche che definiscono la persona umana”.
Eppure, aggiunge Gallagher, “la libertà di religione svolge un ruolo determinante nel realizzare lo sviluppo umano integrale”, e deve “essere chiaro che la libertà religiosa è una questione di diritto naturale, sul quale si basa ogni riflessione teologica, e che entrambe portano a una comprensione antropologica della domanda in questione”.
Gallagher parla anche della trasformazione in atto nel rapporto tra religione e società, perché da un lato l’esperienza religiosa “viene messa ai margini”, mentre dall’altro “stanno crescendo forme di fondamentalismo, che promuovono il ri-affioramento della religione nella sfera pubblica, talvolta con elementi di fanatismo”.
Ci vuole, aggiunge l’arcivescovo – una “integrazione antropologica e politica tra l’individuo e le dimensioni collettive della libertà religiosa”, e occorre “porre l’enfasi sulla coscienza, che ogni persona ha il dovere di seguire”, poiché “nessuno può costringere una persona ad agire contro la propria coscienza, specialmente nelle questioni religiose”.
Il “ministro degli Esteri” vaticano sottolinea che le autorità civili “hanno il dovere di rispettare e far rispettare il diritto fondamentale” della libertà di coscienza”, poiché “la libertà religiosa non può essere equiparata all’arbitrarietà di una coscienza priva di un obiettivo e di un riferimento trascendente”.
Gallagher sottolinea che l’insistere sulla libertà religiosa non riguarda solo “una questione di interpretazione giuridica”, ma “piuttosto, riguarda la verità della persona umana, che la Chiesa crede di poter salvaguardare come dono prezioso ricevuto nella rivelazione”, e “non va intesa come un tentativo di imporre detta verità a tutti, piuttosto come un tentativo di dimostrarla”.
Insomma, “la difesa della libertà religiosa può essere intesa come difesa della verità della persona umana dinanzi a limiti che possono essere imposti da gruppi religiosi fondamentalisti o Stati totalitari, come anche dinanzi a una neutralità dello Stato compresa come indifferenza al contributo che persone o gruppi religiosi possono dare all’edificazione della vita sociale”.
Libertà religiosa: Scozia, un progetto di legge che mette in crisi la libertà di espressione
Il progetto di legge scozzese sulle “zone cuscinetto” sull'aborto, approvato in una prima fase il 30 aprile, ha acceso un dibattito sulla criminalizzazione della preghiera silenziosa in queste zone.
Secondo il disegno di legge, si deve creare una zona di 200 metri intorno alle cliniche abortive in cui "influenzare" qualcuno riguardo all'aborto sarebbe illegale.
In un dibattito parlamentare, il deputato Jeremy Balfour ha chiesto se sarebbe stato criminalizzato per aver pregato alla fermata dell'autobus all'interno della zona, e ha presentato un emendamento che cerca di escludere la preghiera silenziosa dalle azioni criminali all'interno della zona.
La deputata Gillian Mackay, che ha presentato il disegno di legge, ha risposto al signor Balfoeur dicendo: "Se nessuno sa che qualcuno sta pregando, e nulla nella sua condotta è in grado di avere sulle donne o sul personale gli effetti che questo disegno di legge cerca di prevenire, allora è improbabile che qualcuno la criminalizzi. Se qualcuno sta in silenzio a pregare per molto tempo, guardando deliberatamente le donne che entrano in una clinica per aborti, o ad esempio con un cartello, allora potrebbe commettere un reato."
La mancanza di chiarezza del punto di vista della signora Mackay sulla preghiera silenziosa in queste zone è motivo di preoccupazione. Lo stesso Comitato per la salute, l'assistenza sociale e lo sport del Parlamento scozzese ha espresso preoccupazione su questo problema affermando che "non è chiaro come possa essere interpretato l'intento di coloro che pregano in silenzio. Potrebbe essere difficile per la polizia raggiungere una decisione chiara se la legge è valida o meno".
Il disegno di legge è stato presentato nell’ottobre 2023 e ha superato la prima fase il 30 aprile, con 123 voti favorevoli e 1 contrario. Prima che diventi legislazione sono necessari due ulteriori passaggi, tuttavia non desta preoccupazione. Le zone cuscinetto coprirebbero una area di 200 metri intorno alle cliniche abortive, ma prevede la possibilità di estenderla ulteriormente se “non protegge ulteriormente le donne”, e si applica anche alle esposizioni negli edifici residenziali, che criminalizzerebbero le persone che hanno cartelli pro-vita visibili sulle finestre o sulle auto.
In Inghilterra, diverse persone sono state multate per aver pregato silenziosamente e pacificamente, incluso il recente caso di Sebastian Vaughan-Spruce che è stato multato nel maggio 2024 per essere rimasto in silenzio in una zona cuscinetto. La criminalizzazione della preghiera silenziosa nel Regno Unito è stata accolta con grande preoccupazione non solo dalle organizzazioni per i diritti umani, ma anche dalla Commissione statunitense per la libertà religiosa internazionale
Libertà religiosa, il rapporto USA
Il 1° maggio, la Commissione statunitense per la libertà religiosa internazionale ha pubblicato il suo Rapporto annuale 2024, che evidenzia una serie di sviluppi preoccupanti in tutto il mondo. Secondo il monitoraggio statunitense, le condizioni sono peggiorate in 10 paesi, sono rimaste le stesse in 18 e sono migliorate in uno solo. Pur concentrandosi principalmente sulla situazione globale e su quei Paesi che sono particolarmente preoccupati per quanto riguarda la persecuzione per motivi religiosi, il rapporto menziona anche casi e sviluppi in Europa.
In particolare, il rapporto mette in luce attacchi di vandalismo contro le chiese nei Paesi Bassi, in Francia e in Germania, incluso il riferimento ai dati dell’Osservatorio per l’Intolleranza e la Discriminazione contro i cristiani (OIDAC), in particolare per quanto riguarda i casi di discriminazione contro i cristiani che hanno espresso in modo pacifico il loro credo religioso.
L'USCIRF ha rilevato che "[durante] l'anno, diversi governi europei hanno preso di mira individui per la loro pacifica espressione religiosa. In Inghilterra, nel marzo [2023], le autorità di Birmingham hanno arrestato e avviato un'indagine contro Isabel Vaughan-Spruce per aver pregato in silenzio al di fuori di un aborto. clinica all’interno di una “zona cuscinetto” dove un’ordinanza del consiglio comunale vieta le proteste, inclusa la preghiera. Entro la fine di settembre, la città ha annunciato che non avrebbe accusato Vaughan-Spruce.
In Finlandia, a novembre, la Corte d’appello di Helsinki ha confermato un tribunale di grado inferiore sentenza di assoluzione del membro del parlamento Päivi Räsänen e del vescovo Juhana Pohjola della missione evangelica luterana della diocesi di Finlandia dall'accusa di incitamento all'odio contro membri della comunità LGBTQI+ per aver espresso le loro opinioni religiose sulla sessualità e il matrimonio. A partire dal gennaio 2024, il pubblico ministero ha chiesto ricorrere in appello alla Corte Suprema del Paese."
L’OIDAC nota anche che “la discriminazione e l’intolleranza contro i cristiani in Europa sono menzionate solo come parte del capitolo ‘Altre preoccupazioni relative alla libertà religiosa in Europa’, mentre il rapporto include capitoli separati sui crimini d’odio antisemiti e anti-musulmani”.
Inoltre, viene notato, alcuni dei casi più preoccupanti di crimini d’odio anticristiani del 2023, come gli attacchi terroristici contro due chiese in Spagna nel gennaio 2023, in cui un chierichetto è stato ucciso e almeno quattro persone sono rimaste ferite, non sono stati menzionati il rapporto.
Francia, nel 2023 1000 crimini di odio anticristiani
In un'intervista alla radio cristiana francese fcr.fr, il portavoce del Ministero degli Interni francese Camille Chaize ha affermato che nel 2023 sono stati registrati quasi 1.000 crimini d'odio anticristiani, il 90% dei quali diretti contro proprietà, come cimiteri e chiese.
I servizi statistici di Place Beauvau hanno documentato anche 84 attacchi contro persone, diretti contro cristiani e con un movente antireligioso, secondo Camille Chaize, portavoce del Ministero degli Interni. A causa dell'accresciuto rischio per la sicurezza, per la Settimana Santa sono state mobilitate 10.000 forze di sicurezza.
Il 20 marzo, il Ministero dell'Interno francese ha pubblicato le nuove statistiche, secondo le quali i crimini e i reati razzisti, xenofobi o antireligiosi sono aumentati del 32% nel 2023. Tuttavia, i numeri esatti sui crimini d'odio anticristiani non sono stati forniti nel Ministero.
FOCUS EUROPA
Il ministro degli Esteri di Ungheria Péter Szijjártó ha fatto visita il 7 giugno al suo omologo vaticano, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher.
A seguito dell’incontro, apprendiamo da un post su X di Zoltan Kovacs, Segretario di Stato per le Comunicazioni Internazionali del governo ungherese, Szijjártó ha “enfatizzato la posizione condivisa di Ungheria e Vaticano sull’urgenza della pace in Ucraina”.
Entrambe le parti, si legge ancora “supportano un processo di pacificazione immediato, considerato un obiettivo primario”. Szijjártó ha commentato che lui e Gallagher “hanno concordato sul fatto che raggiungere la pace oggi richiede immenso coraggio, poiché quelli che chiedono la pace affrontano tremende pressioni”.
Inoltre, il ministro Szijjártó ha notato che “la situazione oggi è che c’è più bisogno di coraggio per la pace che per la guerra”, e ha criticato alcune recenti azioni che hanno fatto alzare il rischio di un conflitto globale, come la concessione alle forze ucraine di attaccare obiettivi russi con armi occidentali”.
Il ministro degli Esteri ungherese ha messo in luce l’importanza del dialogo per la pace, sottolineando che una diplomazia di successo coinvolge quanti hanno visione differente, apprezzando gli sforzi di pace del prossimo Summit per la Pace che si terrà in Svizzera ma mettendo in luce che “una conferenza di pace che sia veramente di successo richiede la presenza di tutte le parti in guerra.
FOCUS TERRASANTA
Gallagher alla festa di Israele: le strategie belliche non dimentichino il principio di umanità
Il 6 giugno, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati, ha partecipato alla festa dell’indipendenza di Israele, la 76esima. In un discorso, ha sottolineato gli appelli di Papa Francesco per il rilascio degli ostaggi in mano ad Hamas, ha chiesto di cooperare contro l’antisemitismo, ma non ha taciuto sugli “esecrabili” atti anti-cristiani degli estremisti ebrei – e il riferimento è a vari atti di intimidazione che sono avvenuti in Israele, e che sono stati comunque condannati anche dal ministero degli Esteri israeliano. Per quanto riguarda la “pesante risposta” militare a Gaza, la Santa Sede non può restare “moralmente indifferente”.
Nel suo discorso, il “ministro degli Esteri” vaticano ha ripercorso brevemente trent’anni di relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Israele e ha auspicato si possa raggiungere la pace “al più presto, prima che poi”, perché della pace “c’è da tanto bisogno”.
L’arcivescovo Gallagher ha misurato le parole. Ha ricordato “l’orribile attacco terroristico del 7 ottobre da parte di Hamas e di altre milizie contro il popolo israeliano”, che ha visto l’uccisione, lo stupro, la presa in ostaggio di centinaia di persone. Riprendendo quanto detto da Papa Francesco nel discorso di inizio anno al Corpo Diplomatico, Gallagher ribadisce che “il terrorismo non è la soluzione di alcun confitto, è un atto di totale disprezzo per la vita umana e nessuna motivazione, tanto meno religiosa, po' giustificarlo”.
Oltre agli sforzi e gli appelli del Papa per la liberazione degli ostaggi, il presule ricorda anche la lettera di Papa Francesco alle comunità ebraiche in Israele che “è unica e senza precedenti”.
Il “ministro degli Esteri” della Santa Sede mette in luce che “la pesante risposta militare israeliana a Gaza”, da cui sono scaturiti anche attacchi contro Israele da parte di diversi attori non statali provenienti da Libano, Yemen e altro”, nota che la Santa Sede si deve, è vero, “attenere ai principi di neutralità”, ma non può allo stesso tempo restare “moralmente indifferente” di fronte alle guerre, cercando di “comprendere le motivazioni e le prospettive di ognuno”, ma “il principio fondamentale dell'umanità non deve mai essere abbandonato o eclissato dalle strategie militari, altrimenti principi di necessità e proporzionalità vengono inevitabilmente compromessi".
La Chiesa cattolica, ha aggiunto l’arcivescovo Gallagher, è preoccupata dalla situazione in Israele, e in particolare "dall'atteggiamento sempre più aggressivo di alcune autorità amministrative, soprattutto municipali, alla necessità di una maggiore cooperazione per denunciare e prevenire gli esecrabili atti anticristiani degli estremisti ebrei".
La Santa Sede auspica che le comunità cattoliche in Israele possano continuare a contribuire - come parte della società israeliana - nei campi dell'educazione e del welfare, così come nella promozione del dialogo interreligioso ed ecumenico.
Ma l’auspicio più grande è che “quanto prima i Luoghi Santi tornino ad accogliere i pellegrini di tutto il mondo".
FOCUS MULTILATERALE
La missione della Santa Sede alla FAO, “salvare l’Amazzonia dai progetti di morte”
Gli Atti dell’Assemblea Speciale del Sinodo per la Regione Panamazzonica, che si è tenuto nell’ottobre del 2019, sono stati presentati lo scorso 4 giugno presso la sede della FAO, l’agenzia alimentare delle Nazioni Unite, su iniziativa della missione della Santa Sede presso le agenzie alimentari ONU a Roma e alla presenza del Cardinale Mario Grech, segretario generale del Sinodo dei vescovi, e del Cardinale Michael Czerny, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo umano integrale, nonché del cardinale Ricardo Barreto Jimeno, presidente della CEAMA (la Conferenza Episcopale che racchiude l’area panamazonica, i rappresentanti della REAPAM e il segretario generale della FAO Qu Dongyu. L’evento è stato concluso da monsignor Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede alla FAO e dinamico motore organizzativo dell’evento.
Il Cardinale Grech ha sottolineato che il Sinodo per la Regione Panamazzonica è stato un primo assaggio del metodo sinodale che la Chiesa sta vivendo oggi e che “parte dal riconoscimento dell’essere umano come soggetto attivo, protagonista del proprio futuro”. Un metodo, aggiunge il Segretario generale del Sinodo, che sarebbe “tanto più importante” anche nella politica internazionale, con una “prospettiva integrale,” e cioè il riconoscimento che “tutte le crisi morali, sociali, economiche e politiche che stiamo vivendo” sono interconnesse, come succede nella regione panamazzonica”.
Il segretario generale del Sinodo dei vescovi chiede anche di “superare le norme, le regole e gli interessi di ciascuno a favore di una sovrabbondanza di impegno da parte di tutti”, un desborde di cui ha davvero bisogno l’Amazzonia.
Il Cardinale Michael Czerny ha sottolineato l’importanza della creazione delle Rete Ecclesiale Panamazzonica, che integra “vescovi, clero, religiosi, varie azioni pastorale insieme alle popolazioni stesse” creando “un dialogo e una collaborazione efficaci”.
Da qui, ha aggiunto il cardinale, la creazione della Conferenza Ecclesiale dell’Amazzonia (CEAMA, che dà vita a molte nuove iniziative “per cercare forme di agricoltura e allevamento sostenibili, per l‘uso di energia pulita e di risorse senza distruggere l’ambiente e le culture”.
Parlando del lavoro della CEAMA, il Cardinale Barreto ha sottolineato che questa è nata proprio come risposta alle raccomandazioni del Sinodo, ed è il segno che “il processo sinodale della Chiesa in Amazzonica continua oggi con maggiori evidenze di problemi sociali e ambientali”, sebbene le sfide “rimangano significative e richiedono uno sforzo costante e coordinato”.
La vicepresidente della REPAM Yésica Patiachi, peruviana di etnia Harabkbut, ha messo in luce come “i popoli indigeni sono a rischio perché la terra si sta ammalando. I loro territori non vengono protetti, la gente considerata custode delle foreste viene uccisa”, mentre l’estrazione di mercurio contamina i cibi.
Suor Laura Vicuña, vicepresidente della CEAMA, ha rimarcato che “l’Amazzonia non è mai stata minacciata come lo è oggi, aveva detto Francesco all’inizio del Sinodo di cinque anni fa e ora stiamo percorrendo un lungo cammino di presenza evangelizzatrice della Chiesa nella regione, cercando di rispondere all’evangelizzazione integrale, dove al centro c’è la vita”.
Vicuña ha elencato poi i numerosi “progetti di morte” presenti in Amazzonia: “centrali idroelettriche, miniere, monocolture che distruggono e inquinano la terra, l’aria e l’acqua, distruggendo la biodiversità e i sistemi necessari alla vita dell’intero pianeta”.
Vengono messi in crisi anche gli stili di vita dei nativi, molti dei quali sono “costretti a trasferirsi nelle periferie delle città, senza alcuna sicurezza dal punto di vista dell’accesso al cibo e delle politiche pubbliche”.
Concludendo l’evento, monsignor Chica Arellano ha affermato: “Si è vista la preoccupazione comune per ‘il polmone del mondo’, oggi compromesso - afferma - e le nostre coscienze devono sentirsi chiamate all’azione per condividere, come dice il Papa, l’affetto per questa terra riconoscendola un ‘sacro mistero’. La Chiesa non è indifferente alla sua sorte e a quella dei suoi popoli”. È necessario camminare mano nella mano nella missione di custodire il pianeta e la dignità della persona. “Questo pomeriggio abbiamo sottolineato la necessità di lavorare ‘insieme’. La parola ‘insieme’ rispecchia uno stile d’azione che deve essere consolidato. Questo è lo spirito del Sinodo”.
Va notata la presenza del direttore generale della FAO, il quale ha messo in luce l’impegno dell’organizzazione a favore dei popoli indigeni, sottolineato che, grazie anche alla Politica FAO sugli Indigeni e le popolazioni tribali, l’organizzazione è “impegnata a lavorare con le popolazioni indigene, nel pieno rispetto dei suoi diritti, e per la conservazione, rafforzamento e promozione dei loro cibi indigeni e del loro sistema di conoscenza”.
La Santa Sede all’Organizzazione degli Stati Americani, la salute delle donne
Il 5 giugno, si è tenuto presso l’Organizzazione degli Stati Americani una sessione del Consiglio Permanente sulla “Commemorazione della Giornata Internazionale di Azione per la Salute delle Donne”.
Monsignor Juan Antonio Cruz Serrano, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’OSA, ha sottolineato che la Santa Sede “esalta e celebra il tesoro che rappresenta per l’umanità la vita di ciascuna donna, e riconosce e ammira il ruolo unico per il quale ogni donna è stata creata e che nessun altro potrà occupare nella storia”.
In questo contesto, guardando alla missione di ogni donna, è “indispensabile – afferma monsignor Cruz Serrano – che si dia valore al compimento della sua missione esistenziale” e per quello “incontriamo non solo il suo sviluppo professionale ma anche il luogo primario che occupa la sua vita personale e famigliare”.
È dunque necessario “riconoscere e sviluppare il ruolo di protagonista che gioca la donna nel proteggere la dignità della persona umana, quando ella è comunque più vulnerabile”.
La responsabilità della donna nel dare la vita “deve essere riconosciuta a livello economico, politico e sociale con incentivi necessari ad appoggiare il suo sviluppo integrale”, e specialmente “è indispensabile che si promuovano opportunità e che si assegnano alla donna i mezzi necessari per curare e mantenere la sua salute nelle differenti tappe e aspetti della sua vita”. In particolare, l’Osservatore della Santa Sede lamenta che “il diritto alla salute continua ad essere difficile da ottenere per molte donne in America Latina”.
Con l’occasione della commemorazione, la Santa Sede invita dunque a unirsi al “lavoro sui differenti aspetti che costituiscono la salute della donna, come la salute fisica, mentale ed emozionale”, ricordando che “riducendo la discussione della salute della donna a un solo aspetto della sua persona equivale a disconoscere e rendere invisibile la ricchezza che la vida della donna porta al mondo”.
Andando più nel dettaglio, monsignor Cruz Serrano nota che l’Organizzazione Mondiale della Salute sottolinea che tra le cause principali di morte ci sono malattie cardiache, incidenti cerebrovascolari, l’Alzheimer e altre forme di demenza e le insufficienze polmonari, ma che “molte di queste malattie si possono prevenire quando si offre un accesso efficace al servizio sanitario, attraverso cui le donne possano ricevere una assistenza pronta e opportuna”.
Nelle Americhe, aggiunge Cruz Serrano, uno degli ostacoli al diritto sanitario è la disuguaglianza sociale ed economica. La Santa Sede è in prima linea nel rispondere a queste difficoltà, monsignor Serrano ricorda in particolare una iniziativa del 2021 del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale su acqua, sanitizzazione e igiene in 23 Paesi in via di sviluppo, inclusi molti Paesi delle Americhe, per aiutare a ridurre le malattie infettive e porre fine alle morti materne e neonatali prevedibili.
Infine, la Santa Sede chiede agli Stati e agli organismi internazionali di “sostenere una cultura della vita che si prenda cura della persona in tutte le sue tappe e copra i distinti aspetti del suo essere contribuendo al suo sviluppo integrale”.
La Santa Sede all’Organizzazione degli Stati americani, la situazione in Haiti
Il 5 giugno, il Consiglio Permanente dell’Organizzazione degli Stati Americani ha discusso della situazione ad Haiti.
Monsignor Cruz Serrano, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’OSA, ha sottolineato “gli sforzi da parte dell’Organizzazione di prendere periodicamente in considerazione la grave situazione in Haiti in modo da stabilire linee di azione congiunta per ristabilire la tanto desiderata sicurezza, democrazia e conseguente sviluppo del Paese”.
La Santa Sede ricorda anche che “la ricostruzione vera di Haiti deve essere basata sulla ricostruzione della persona in pienezza”, e manifesta di nuovo “la sua vicinanza al popolo haitiano”, mettendo in luce “il lavoro che realizza la Chiesa locale insieme a varie istituzioni ecclesiali e umanitarie cattoliche per il bene dei fratelli e sorelle che vivono in questo Paese”.
FOCUS AMBASCIATORI
Il nuovo ambasciatore del Canada presso la Santa Sede presenta la copia delle credenziali
Il 5 giugno, l’arcivescovo Edgar Peña Parra, Sostituto per gli Affari Generali, ha ricevuto Joyce Napier, ambasciatore del Canada presso la Santa Sede, per la presentazione della copia delle lettere credenziali. Questo passaggio rende l’ambasciatore “operativo”, anche se il pieno accreditamento avverrà con la presentazione delle credenziali a Papa Francesco.
Joyce Napier è una scelta “rara” tra gli ambasciatori, perché il governo canadese ha chiamato una giornalista di esperienza per sostituire Paul Gibbard, che era diventato ambasciatore dopo una lunga vacanza nella posizione.
La nomina di Napier è stata annunciata dal ministro per gli Affari Esteri Melani Joly lo scorso 8 maggio. Napier, 66 anni, è l’unica giornalista che ha servito come caporedattore sia per il network canadese di lingua inglese che di lingua francese. Il ministro Joly ha sottolineato che Napier “lavorerà in Vaticano per portare avanti la riconciliazione con i popoli indigeni, incluso il confronto con la doloroso eredità del sistema scolastico residenziale”.
Papa Francesco ha svolto un viaggio in Canada nel 2022, e ha affrontato il tema delle scuole residenziali, scuole di Stato che erano però gestite anche da organizzazioni cattoliche, in cui i bambini venivano costretti ad una “assimilazione” forzata. C’è da dire che il governo canadese si è trovato anche in una situazione simile, quando ha dovuto pagare una compensazione per l’affido forzato di bambini indigeni non più tardi di qualche anno fa, replicando il sistema delle scuole residenziali in modo diverso, ma con gli stessi principi.
Napier ha vissuto già 15 anni a Roma, essendosi trasferita qui nel 1960 con suo padre, uno dei dirigenti dell’Enciclopedia Britannica che fu trasferito qui per lavoro, e ha frequentato l’Institut Saint-Dominique, una scuola cattolica gestita dall’Ordine Domenicano.
Napier ha cominciato la sua carriera nella carta stampata nel 1981 a Montreal, ma è più conosciuta per il suo lavoro televisivo, cominciato nel 1989 come reporter per la Canadian Broadcasting Corporation. È poi stata corrispondente per il Medio Oriente basata a Gerusaleme per Radio Canada, e quindi è diventato il capo della redazione di Washington DC.
Nel 2016, Napier ha lasciato il servizio pubblico e si è unita all’emittente privata CTV, che ha lasciato nel 2023 vittima di un taglio dei posti di lavoro.
Sei nuovi ambasciatori presso la Santa Sede
L’8 giugno, Papa Francesco ha ricevuto con alcuni nuovi ambasciatori presso la Santa Sede non residenziali, e ha dato loro le linee guida di “famiglia, speranza e pace”. Mentre gli ambasciatori residenziali vengono ricevuti in una udienza personale, e senza discorso, gli ambasciatori non residenti vengono ricevuti in gruppo, e il Papa indirizza loro un cenno di saluto.
Il 6 giugno, questi nuovi ambasciatori hanno presentato la copia delle lettere credenziali all’arcivescovo Edgar Peña Parra , Sostituto per gli Affari Generali. Si tratta degli ambasciatori di Mauritania, Burundi , Zambia , Repubblica Federale Democratica di Etiopia e Qatar.
I nuovi diplomatici sono Mahlet Hailu Guadey (Etiopia), Macenje Mazoka (Zambia), Hassan Iddi Mwamweta (Tanzania), Annonciata Sendazirasa (Burundi), Asma Naji Hussain Al-Amri (Qatar) e Mohamed Tahya Teiss (Mauritania).
Mahlet Hailu Guadey, che è anche ambasciatore di Etiopia in Francia e e delegata permanente all’UNESCO, ha una ampia carriera diplomatica. Prima di essere nominata a Parigi, aveva guidato la delegazione dell’Etiopia presso la sede delle Nazioni Unite a Ginevra per tre anni, e prima ancora era stata nella missione presso le Nazioni Unite di New York.
Classe 1976, è stata addetto presso il Ministero degli Affari Esteri (1998-2002), terzo e poi secondo segretario del Dipartimento per l'Africa presso il Ministero degli Affari Esteri (2002-2004), vice console a Los Angeles, California, Stati Uniti d'America (2004-2007), primo segretario dell'Ambasciata di Francia (2007-2009), incaricato d'affari presso l'Ambasciata di Francia (2009-2010), direttore del Dipartimento per la Pace e Sicurezza del Ministero degli Affari Esteri (2010-2011), capo del protocollo presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (2011-2016), vice rappresentante permanente, con grado di Ambasciatore, presso le Nazioni Unite a New York (2016-2018 ), capo delle aree Americhe, Asia, Europa e affari multilaterali presso la Farnesina (2019-2020), e rappresentante permanente aggiunto, con grado di Ambasciatore, presso le Nazioni Unite a Ginevra (2021-2022). Attualmente è ambasciatrice e delegata permanente presso l'UNESCO a Parigi (dal 2023).
Macenje Mazoka, Ambasciatore dello Zambia presso la Santa Sede, si è laureata in giornalismo (giornalismo radiotelevisivo/psicologia dello sviluppo) presso la Howard University, Washington DC, Stati Uniti d'America, e ha conseguito un master in gestione dei media presso la New School University, New York, e un certificato nell'Executive Management Development Program di la Business School dell’Università di Stellenbosch, Sud Africa.
Ha una vasta carriera giornalistica alle spalle, che la ha vista lavorare in Zambia, Stati Uniti e Sudafrica.
In particolare, è stata: presentatrice per la Zambia National Broadcasting Corporation (ZNBC), Zambia (1989) manager, Educational Services & Outreach, WHUT-TV Howard University Public Boradcasting, Washington DC (1991 – 1995) Direttore dell'Educational and Youth Children's Outreach , presso Thirteen/WNWT, Public Broadcasting Service (BPS), New York, NY (1995 – 2004), direttore di National Partnerships & Community Events, presso Thirteen/WNWT, Public Broadcasting Service (BPS), New York, NY (2004 – 2006), docente di Media Literacy ed Etica dei media presso la New School University, New York, NY (1998 – 2007) direttore generale, Business Development, South Africa Broadcasting (SABC), Johannesburg (2010 – 2012), responsabile di Funding and Partnerships , South Africa Broadcasting (SABC), Johannesburg (2006 – 2021), capo delle comunicazioni regionali/relazioni con le parti interessate, South Africa Broadcasting (SABC), Johannesburg (2021 – 2023) e Alto Commissario nel Regno Unito (dal 2023).
Hassan Iddi Mwamweta, ambasciatore di Tanzania presso la Santa Sede, classe 1978, ha lavorato nella pubblica amministrazione e poi nel dipartimento degli Affari Esteri.
Ha ricoperto i seguenti incarichi: funzionario amministratore, Ufficio del Commissario della Regione di Rukwa (2005), consulente per le indagini II presso la Commissione sui Diritti Umani e il Buon Governo (2005-2007), consulente per le indagini I presso la Commissione sui Diritti Umani e il Buon Governo Diritti e governance responsabile (2007-2009), secondo segretario, Dipartimento di Protocollo del Ministero degli Affari Esteri (2009-2014), primo segretario, Ministero degli Affari Esteri (2014-2019), ufficiale di collegamento, Protocollo dell'ex Presidente della Repubblica Jakaya Mrisho Kikwete (2015-2019), consigliere del Ministero degli Affari Esteri (2019-2020), capo del Dipartimento per l'Europa e le Americhe, Ministero degli Affari Esteri (2020-20219, cancelliere e consigliere dell'Ambasciata in Turchia (2021-2023) e ambasciatore in Germania (da dicembre 2023).
Annonciata Sendazirasa, Ambasciatore del Burundi presso la Santa Sede, classe 1963, è stata, tra le altre cose anche dipendente di Caritas Internationalis in Belgio dal 2000 al 2008.
È stata anche consigliere per gli affari politici e diplomatici presso il Senato del Burundi (2008-2009).
Dal 2009 al 2015 è stata Ministro della funzione pubblica, del lavoro e della previdenza sociale e dal 2015 al 2020 vicegovernatore della Banca della Repubblica del Burundi. Quindi, ha lavorato come direttore generale della Mutuelle de la Fonction Publique (2020-2022), e consigliere per la protezione sociale e la riforma amministrativa presso l'UNDP (2002-2023).
Asma Naji Hussain Al-Amri. Ambasciatore del Qatar presso la Santa Sede, si è laureata in inglese presso l'Università del Qatar (1997).
Ha ricoperto i seguenti incarichi: dipendente del Dipartimento di Ricerca e Analisi dell'Informazione del Ministero degli Affari Esteri (1998-2002), del Dipartimento per gli Affari Europei e Americani del Ministero degli Affari Esteri (2002-2012), e del Dipartimento per gli Affari Americani Affari esteri, Ministero degli Affari esteri (2012-2014), vicedirettore per gli affari americani (2014-2020), direttore operativo della Missione negli Stati Uniti d'America (2021-2023) e ambasciatore in Croazia (dal 2024).
Infine, Mohamed Tahya Teiss Ambasciatore di Mauritania presso la Santa Sede, ha conseguito un Diplôme d’Etudes Universitaires Générales in diritto (1986) e una Maîtrise in diritto pubblico (1988) presso l’Università di Nouakchott. Ha conseguito un DEA in diritto pubblico e scienze politiche, opzione “Studi Politici”, presso l'Università di Nancy II e un dottorato in scienze politiche presso l'Università di Parigi I Panthéon-Sorbonne.
Ha ricoperto i seguenti incarichi: professore titolare di diritto pubblico, Facoltà di scienze giuridiche ed economiche, Università di Nouakchott (1996-2011), consulente giuridico del Commissariato per i diritti umani, la lotta alla povertà e l'inclusione, Nouakchott (1998 - 2007), ambasciatore, direttore degli Affari giuridici e consolari del Ministero degli Affari esteri (2007 - 2011), incaricato d'affari dell'Ambasciata in Francia, Portogallo e Monaco (2011 - 2012), capomissione, incaricato d'affari in Gran Bretagna e Irlanda del Nord e in Irlanda (2012 - 2018), rappresentante permanente presso l'Organizzazione marittima internazionale, Londra (2016 - 2018), ambasciatore in Niger, Ciad, Benin e Togo (2018 - 2021), ambasciatore in Senegal, Repubblica di Guinea , Capo Verde e Guinea Bissau (2021 - 2023), e ambasciatore in Francia (dal 2023).
FOCUS MEDIO ORIENTE
Siria, i cristiani non parteciperanno alle elezioni nel Nord Est Siriano
L’arcivescovo siro cattolico Joseph Abdel Jalil Chami di Hassaké Nisibi, parlando con l’agenzia FIDES del Dicastero per l’Evangelizzazione, ha reso evidenti le perplessità dei cristiani per la prossima tornata elettorale nell’area siriana Nord Orientale da quella che ora si autodefinisce Amministrazione democratica autonoma della Regione del Nord Est della Siria (in inglese Democratic Autonomous Administration of the Region of North and East Syria, DAARNES).
Si tratta di una entità de facto autonoma, che parte del governo siriano non riconosce e che è dominata da forze curde, con un certo sostegno militare da parte degli USA.
L’11 giugno, la DAARNES ha indetto le elezioni municipali in 121 comuni, chiamando alle urne circa 6 milioni di elettori, che si dovrebbero esprimere sul “Nuovo Contratto Sociale” presentato dall’ente autonomo.
I candidati sarebbero circa 5 mila, distribuiti in 43 sigle politiche. Ma l’arcivescovo Chami parla
di “una situazione difficile”, con arruolamento di uomini e ragazzi nelle forze militare e nelle milizie curde, mentre “continuano le confische e le appropriazioni illegali di beni privati come case e terreni appartenenti a proprietari cristiani. E i servizi necessari alla sopravvivenza come l’acqua e l’elettricità non vengono garantiti”.
C’è anche il rischio di un intervento diretto turco nella zona, già annunciato in caso in cui i piani elettorali mettano in discussione l’integrità territoriale della Siria, mentre il 31 maggio l’Ambasciata USA a Damasco ha diffuso un comunicato per rimarcare che attualmente nel nord est della Siria non esistono le condizioni per garantire elezioni “libere, trasparenti, corrette e inclusive”, invitando di fatto le forze che guidano la DAARNES a posticipare lo svolgimento delle elezioni municipali.
FOCUS ASIA
Pakistan, il ministro dell’Interno ha incontrato Papa Francesco
Il 4 giugno, Mohsin Naqvi, ministro dell’Interno del Pakistan e presidente del Pakistan Cricket Board, ha incontrato Papa Francesco in Vaticano nell’ambito di un viaggio europeo che, dal 29 maggio, lo ha portato a toccare il Regno Unito e l’Italia.
Secondo una nota diffusa nelle agenzie pakistane, il Papa ha espresso preoccupazione riguardo la situazione in Palestina, di cui ha detto di rimanere informato attraverso telefonate regolari con le associazioni umanitarie, e ha sottolineato che il dialogo tra le fedi e l’armonia sono esenziali per risolvere le crisi.
Il ministro Naqvi ha a sua volta ringraziato il Papa per la sua posizione sulla questione palestinese, e ha poi aggiornato il Papa sui sacrifici e sforzi del Pakistan nel combattere il terrorismo, apprezzando il servizio del Papa nella promozione della pace globale e l’armonia.
Naqvi ha detto che proteggere le minoranze è in cima alla lista delle priorità del governo pakistano, e che questo concorda con i principi del Profeta (Maometto) dei Padri della Nazione e della Costituzione, che “assicura uguali diritti per tutte le minoranze”.
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