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Un servizio di EWTN News

Diplomazia pontificia, Gallagher in Vietnam, Parolin in Brasile

L'arcivescovo Gallagher con il primo ministro di Hanoi Phạm Minh Chính

L’Indonesia si era già portata avanti, e aveva fatto sapere già il 31 marzo che il Papa avrebbe visitato il Paese il 3 – 4 settembre, attraverso un comunicato del Ministero degli Affari Religiosi e uno della Conferenza Episcopale locale. Annunciato il 12 aprile, il viaggio del Papa in Asia, che toccherà Indonesia, Papua Nuova Guinea, Timor Est e Singapore, potrebbe arricchirsi anche di una tappa in Vietnam, e perlomeno l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per le relazioni con gli Stati, ne ha parlato nel suo incontro con il primo ministro di Hanoi.

Il “ministro degli Esteri” vaticano è in Vietnam fino al 14 aprile, per la prima, storica visita di questo livello diplomatico in Vietnam. Santa Sede e Vietnam sono ad un passo dalle piene relazioni diplomatiche, dopo la nomina di un rappresentante della Santa Sede residente lo scorso dicembre. Ancora il viaggio del Papa in Asia non include un appuntamento in Vietnam, ma potrebbe essere aggiunto. Dato che il Vietnam non ha piene relazioni diplomatiche, si potrebbe creare un precedente per viaggi simili, magari in Cina.

Il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, è stato invece in Brasile. La dichiarazione Dignitas Infinita del Dicastero per la Dottrina della Fede affronta temi diplomatici importanti. L’Europa approva l’eventuale inclusione del Diritto all’aborto nella Carta Europea dei Diritti dell’Uomo in una risoluzione non vincolante, ma dal peso forte.

                                                           FOCUS VIETNAM

L’arcivescovo Gallagher in Vietnam

Dal 9 al 14 aprile, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, Segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati e gli Organizzatori Internazionali, è in visita in Vietnam. È la prima visita di un rappresentante di livello così alto della Santa Sede nel Paese.

Santa Sede e Vietnam hanno elevato le loro relazioni lo scorso luglio, quando Hanoi ha accettato la nomina di un rappresentante residente della Santa Sede nel Paese – nomina che è avvenuta poi il 24 dicembre 2023 nella persona dell’arcivescovo Marek Zalewski, nunzio a Singapore e già rappresentante non residente della Santa Sede nel Paese.

Il governo vietnamita aveva subito invitato Papa Francesco nel Paese. Tuttavia, una visita del Papa in Vietnam senza le piene relazioni diplomatiche potrebbe creare un precedente percorribile anche da Paesi come la Cina. E mentre in Vietnam si è arrivati all’accordo dopo diversi round di dialogo, alcune tensioni e un accordo sulla nomina dei vescovi che ha comunque funzionato nonostante le difficoltà, questo non si può dire in Cina, dove l’accordo sino vaticano per la nomina dei vescovi, che pure ha visto importanti sviluppi recentemente con tre nomine episcopali, non ha funzionato così bene, e dove ci sono diverse questioni ancora aperte sui diritti umani e la libertà religiosa.

Il Cardinale Parolin, tra l’altro, ha sottolineato che il prossimo passo dei rapporti sino-vaticani riguarderebbe la nomina di un rappresentante della Santa Sede a Pechino, che permetterebbe di gestire al meglio l’accordo ed evitare incomprensioni.

La visita di Gallagher in Vietnam, dunque, potrebbe puntare ad accelerare le procedure per le piene relazioni diplomatiche, che potrebbero essere finalizzate dal Cardinale Parolin, segretario di Stato vaticano, in un viaggio che alcuni dicono sia previsto a giugno. In questo caso, una tappa in Vietnam sarebbe aggiunta al viaggio del Papa in Asia, che dovrebbe aver luogo dall’1 al 10 settembre e dovrebbe essere annunciato nella prossima settimana.

Cosa farà Gallagher in Segreteria di Stato? Avrà un incontro con il suo omologo di Hanoi Bui Thanh Son, con il primo ministro Phanm Minh Chinh e poi degli incontri istituzionali nel ministero dell’Interno.

L’arcivescovo Gallagher presiederà anche una Messa nella cattedrale di San Giuseppe ad Hanoi, e poi farà visita alla provincia ecclesiastica di Hue, dove incontrerà gli alunni del Seminario Maggiore e presiederà una Messa nella cattedrale “Phu Cam” di Hue.

L’arcivescovo Gallagher aveva anticipato il suo viaggio in Vietnam a margine di un evento il 18 gennaio, dopo che la mattina Papa Francesco aveva concesso udienza a una delegazione di rappresentanti del Partito Comunista del Vietnam.

I rapporti tra Vietnam e Santa Sede si erano interrotti nel 1975, ma avevano visto sviluppi incoraggianti a partire dal 1990. Nel 2011 Benedetto XVI aveva nominato un rappresentante pontificio non residente. Del 2023, invece, come detto, lo statuto per un rappresentante residente. Papa Francesco aveva inviato poi una Lettera alla Chiesa del Vietnam nel settembre scorso.

Nel pomeriggio del 10 aprile, l’arcivescovo Gallagher ha dunque incontrato il primo ministro Phan Minh Chinh, il ministro degli Affari Esteri Bui Thanh Son e il ministro dell’Interno Pham Thi Thanh Trà.

Secondo le comunicazioni ufficiali, i colloqui hanno avuto luogo in una atmosfera “molto amichevole”, e il primo ministro Phan Minh Chin ha sottolineato che le relazioni tra Vietnam e Santa Sede sono molto positive e sono state ulteriormente rafforzate dall’accordo di luglio sul rappresentante pontificio residente. Quell’accordo è stato definito come “una importante pietra miliare nella storia delle relazioni bilaterali”.

Il primo ministro ha anche ricordato che il Vietnam è una nazione multireligiosa che conta 27 milioni di credenti, ovvero il 27 per cento della popolazione, mentre la comunità cattolica cresce rapidamente e conta ora oltre 7,2 milioni di fedeli.

 Da parte sua, l’arcivescovo Gallagher ha espresso soddisfazione per le buone relazioni bilaterali, auspicando che l’undicesimo incontro del Gruppo di Lavoro Congiunto Vietnam – Santa Sede abbia luogo presto.

Si è parlato anche dell’eventualità di una visita di Papa Francesco in Vietnam.

il 12 aprile, l’arcivescovo Gallagher ha incontrato gli studenti del Seminario Maggiore dell’arcidiocesi di Huế in Vietnam.

Il ministro degli Esteri vaticano ha espresso la sua gioia “per questa mia prima visita ufficiale in Vietnam”, ma ha anche notato che “essere gioiosi non significa non sperimentare tristezza o sofferenza, momenti di difficoltà e di dubbio”, e questo si nota nell’esperienza di Paolo Le-Bao-Tinh, martire vietnamita, che nel 1843, in una lettera ai seminaristi di Ke-Vinh, scriveva: “La prigione qui è una vera immagine dell’inferno eterno: a crudeli torture di ogni genere - catene di ferro, manette - si aggiungono l’odio, la vendetta, le calunnie, i discorsi osceni, i litigi, le azioni malvagie, le imprecazioni, le maledizioni, così come l’angoscia e il dolore. (...) In mezzo a questi tormenti, che di solito terrorizzano gli altri, io sono, per grazia di Dio, pieno di gioia e di allegria, perché non sono solo - Cristo è con me”.

L’arcivescovo Gallagher ha sottolineato dunque l’importanza di questa vera gioia, che è una “gioia missionaria”, e fa l’esempio di Madre Teresa, sottolineando che i sacerdoti hanno il compito di essere “missionari della carità, inviati nel mondo, pieni di quella gioia che li spinge a dire sì a Gesù Cristo.

Il presule sottolinea che ci vuole, per questo “una seria preparazione”, e rimarca l’importanza della formazione sacerdotale.

                                   FOCUS AMERICA LATINA E MULTILATERALE

(La storia continua sotto)

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Il cardinale Parolin in Brasile

Il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, è in Brasile, dove il 10 e l’11 aprile ha guidato il ritiro spirituale che introduce la 61esima assemblea generale della Conferenza Episcopale Brasiliana. Arrivato l’8 aprile, ha avuto una visita protocollare e diplomatica con il presidente Luiz Inácio Lula da Silva.

Parlando con Vatican News, il Cardinale Parolin ha parlato di un “incontro molto proficuo”, con il presidente Lula, durante il quale hanno “potuto parlare di questioni proprie del Brasile, e allargato lo sguardo sulle grandi problematiche come povertà, uguaglianza, giustizia e soprattutto pace”.

L’incontro è avvenuto alla presenza dell’arcivescovo Giambattista Diquattro, nunzio apostolico, e dell’arcivescovo di Porto Alegre Jaime Spengler, presidente della Conferenza Episcopale Brasiliana.

Tra le questioni affrontate con Lula – ha raccontato il Cardinale Parolin – anche il tema dell’accordo e dell’applicazione dell’Accordo tra Santa Sede Brasile.

Dopo la visita a Lula, il Cardinale Parolin ha anche visitato la sede della Conferenza Episcopale a Brasilia.

Il cardinale ha detto che si è pregato per la pace all’inizio del ritiro spirituale, e che lui crede “davvero, al di là del lavoro che stiamo facendo, che abbiamo bisogno di preghiere perché sembra che la situazione non si smuova, sembra che non si riescano a trovare sentieri di pace, che non si possa pensare in termini di una soluzione dialogata dei conflitti in corso. Quindi, in un certo senso sperimentiamo anche la nostra impotenza: per questo abbiamo bisogno davvero di rivolgerci al Signore e di rivolgerci a sua Madre”.

Nella sua riflessione, il Cardinale Parolin si è soffermato sui tre concetti di comunione, partecipazione e missione che sono propri del Sinodo dei vescovi.

La Santa Sede all’Organizzazione degli Stati Americani, il diritto all’asilo

Lo scorso 9 aprile, si è tenuta presso l’Organizzazione degli Stati Americani una sessione straordinaria sulle “Norme delle Relazioni diplomatiche e dell’asilo”.

Monsignor Juan Antonio Cruz Serrano, osservatore permanente della Santa Sede presso l’OSA, è intervenuto durante la sessione.

La sessione viene alla luce di quello che è successo a Quito, in Ecuador, lo scorso 5 aprile, quando la polizia ha fatto irruzione nell’ambasciata messicana per arrestare l’ex presidente Jorge Glas – gesto che ha portato alla rottura dei rapporti diplomatici tra Messico ed Ecuador.

“L’asilo diplomatico – ha detto monsignor Cruz Serrano – è una antica istituzione giuridica, di carattere eminentemente umanitario, il cui proposito è di proteggere in caso di urgenza l’integrità fisica e i diritti fondamentali delle persone perseguitate nel loro Paese per ragioni politiche o per la loro appartenenza a un determinato gruppo sociale.

Questo statuto si basa sui tre principi di nessuna devoluzione, nessuna espulsione, nessuna estradizione.

La Santa Sede “sostiene e pratica l’asilo diplomatico” per ragioni umanitari, ed è successo in Guatemala nel 1949, di Panama nel 1989, e del Venezuela tra il 2008 e il 2009. Inoltre, monsignor Cruz Serrano ricora che il Cardinale Jószef Mindszenty è rimasto in asilo diplomatico nell’ambasciata degli Stati Uniti di Budapest per più di 15 anni.

Per questo, la Santa Sede si dice “preoccupata per l’azione delle autorità ecuadoriane” in violazione della inviolabilità dell’ambasciata del Messico a Quito e contravvenendo all’articolo 22 della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche.

Questo atto – nota la Santa Sede – “non solo nega il diritto del Messico a concedere asilo diplomatico, ma mette anche in pericolo le buone relazioni dei due Paesi”.

La Santa Sede chiede dunque che “le parti interessate possano ristabilire il pieno rispetto del diritto internazionale”.

La Santa Sede alle Organizzazioni degli Stati americani, ancora sull’asilo

Il 10 aprile, l’Organizzazione degli Stati Americani ha continuato a parlare della questione “Ecuador” in una sessione straordinari riguardo “la Violazione della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche e la sua relazione con la figura dell’asilo, e le lesioni sofferte dal personale diplomatico messicano in Ecuador.

Monsignor Cruz Serrano ricorda che l’articolo 22 della Convenzione di Vienna “garantisce l’inviolabilità delle sede diplomatiche”, e obbliga lo Stato ospite a “prendere mezzi adeguati per garantire che la sede diplomatica non sia invasa o danneggiata”, mentre l’articolo 29 “prescive l’inviolabilità degli agenti diplomatici”, dei quali è proibita “detenzione e arresto”.

Il rispetto di queste norme, nota la Santa Sede, è “indispensabile per assicurare buone relazioni tra gli Stati”.

Per questo motivo, la Santa Sede “non può smettere di manifestare preoccupazione di fronte a qualunque violazione di questi principi, che sono pilastri fondamentali della comunità delle nazioni”.

Inoltre, “la Santa Sede sostiene un genuino rispetto dei trattati internazionali e favorisce la ricerca di soluzioni che rispettino i diritti umani e la sovranità delle nazioni e che allo stesso tempo rispettino le necessità di quelle persone che cercano rifugio”.

                                               FOCUS DIGNITAS INFINITA

Dignitas infinita e pace

La condanna della maternità surrogata e dell’ideologia gender sono due punti cruciali della dichiarazione Dignitas Infinita del Dicastero della Dottrina della Fede. In particolare, Papa Francesco ha sostenuto il bando universale della maternità surrogata nel suo discorso al corpo diplomatico dell’8 gennaio 2024, e monsignor Miroslaw Wachowski, sottosegretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, è intervenuto alla conferenza internazionale sulla maternità surrogata e sulla dichiarazione di Casablanca.

Per quanto riguarda l’ideologia gender, la Santa Sede da tempo lotta contro la tendenza di includere le questioni gender nei testi internazionali, connotando la parola gender in maniera ideologica e sociale non correlandola direttamente al sesso naturale delle persone.

Tuttavia, c’è una parte della dichiarazione che ha anche un certo valore diplomatico, ed è la parte riguardante la guerra e come la guerra sia una violazione della dignità umana.

In particolare, i paragrafi riguardanti la guerra mostrano anche un contrasto molto forte tra la Dottrina Sociale della Chiesa e l’ideologia del “mondo russo”, che è stata formulata in maniera nitida nel documento del Concilio dei Popoli Russi pubblicato il 27 marzo 2024. Il Concilio è un organismo che fu fondato dal patriarca di Mosca Kirill nel 2004, quando questi era a capo del Dipartimento di Relazioni Esterne del Patriarcato di Mosca, e che è tuttora presieduto da lui. Sebbene in Concilio non sia ufficialmente un organismo del Patriarcato di Mosca, i suoi documenti, incluso quest’ultimo, sono stati recentemente pubblicati e pubblicizzati sul sito del Patriarcato.

Ma cosa dice la Dignitas Infinita sulla guerra? La questione è affrontata al punto 38, quando la guerra è definita come “una tragedia che nega la dignità umana”, perché “con la sua scia di distruzione e dolore, la guerra attacca la dignità umana breve e lungo termine”.

Il documento vaticano sottolinea che “tutte le guerre, per il solo fatto di contraddire la dignità umana, sono «conflitti che non risolveranno i problemi, ma li aumenteranno». Questo risulta ancora più grave nel nostro tempo, quando è diventato normale che, al di fuori del campo di battaglia, muoiano tanti civili innocenti”.

Al punto 39, viene messo in luce che “l’intima relazione che esiste tra fede e dignità umana rende contraddittorio che la guerra sia fondata su convinzioni religiose”.

Sono affermazioni che negano profondamente la possibilità che esista una “guerra santa”, e che la religione possa promuovere in alcun modo la guerra.

                                                           FOCUS EUROPA

COMECE, no all’aborto come diritto fondamentale

Una risoluzione non vincolante che esprime la volontà di inserire il cosiddetto “diritto all’aborto” nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea è stata approvata dal Parlamento Europeo in sessione plenaria con 336 voti a favore, 163 contrari e 39 astensioni.

Si tratta di una risoluzione non vincolante.

La risoluzione non è vincolante, ma certamente ha un notevole peso politico. Nel testo i deputati condannano “il regresso sui diritti delle donne e tutti i tentativi di limitare o rimuovere gli ostacoli esistenti per la salute e i diritti sessuali e riproduttivi e la parità di genere a livello globale, anche negli Stati membri dell’Ue”. L’articolo 3 della Carta dovrebbe essere modificato – questa la richiesta – per affermare che “ognuno ha il diritto all’autonomia decisionale sul proprio corpo, all’accesso libero, informato, completo e universale alla salute sessuale e riproduttiva e ai relativi servizi sanitari senza discriminazioni, compreso l’accesso all’aborto sicuro e legale”.
Il testo esorta i Paesi Ue a “depenalizzare completamente l’aborto in linea con le linee guida dell’Oms del 2022 e a rimuovere e combattere gli ostacoli all’aborto”, invitando la Polonia e Malta ad abrogare le loro leggi e altre misure che lo vietano e lo limitano. In particolare, la Polonia ha vietato completamente l’aborto eutanasico.
I deputati condannano il fatto che, in alcuni Stati membri, “l’aborto sia negato dai medici, e in alcuni casi da intere istituzioni mediche, sulla base di una clausola di ‘coscienza’, spesso in situazioni in cui un eventuale ritardo metterà in pericolo la vita o la salute della paziente”. In particolare, il Parlamento sottolinea che in Italia l’accesso all’assistenza all’aborto “sta subendo erosioni e che un’ampia maggioranza di medici si dichiara obiettore di coscienza, cosa che rende estremamente difficile de facto l’assistenza all’aborto in alcune regioni”.
Secondo il testo, “i metodi e le procedure di aborto dovrebbero essere una parte obbligatoria del curriculum per medici e studenti di medicina”, e quindi i Paesi Ue dovrebbero “garantire l’accesso all’intera gamma di servizi relativi alla salute sessuale e riproduttiva e ai relativi diritti, compresa l’educazione sessuale e relazionale completa e adeguata all’età”, mettendo a disposizione “metodi e forniture contraccettivi accessibili, sicuri e gratuiti, nonché consulenza in materia di pianificazione familiare, prestando particolare attenzione al raggiungimento dei gruppi vulnerabili”.
E non ultimo, i deputati si dicono preoccupati per il “significativo aumento dei finanziamenti per i gruppi anti-genere e anti-scelta in tutto il mondo, anche nell’Ue”. Invitano la Commissione a garantire che le organizzazioni che operano contro la parità di genere e i diritti delle donne, compresi i diritti riproduttivi, non ricevano finanziamenti Ue.

Alla vigilia del voto della sessione plenaria del Parlamento Europeo di Bruxelles dell’11 aprile, la Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea (COMECE) ha redatto una dichiarazione che ribadisce il fatto che l’interruzione di gravidanza “non potrà mai essere un diritto fondamentale”, e che questa proposta “va nella direzione opposta alla reale promozione delle donne e dei loro diritti.

La dichiarazione dei vescovi dell’Unione Europa ha come titolo Sì alla promozione della donna e al diritto alla vita, no all’aborto e all’imposizione ideologica. Il dibattito al Parlamento Europeo nasce a seguito dell’inserimento di una presunta libertà all’aborto nella Costituzione Francese. Quello francese era un testo intermedio, che non parlava direttamente di diritto all’aborto, ma che pure apriva un profondo vulnus nella Costituzione, di fatto negando qualunque possibilità ad una obiezione di coscienza sull’interruzione di gravidanza.

La risoluzione europea era stata già presentata il 7 luglio 2022, con l’opposizione di alcuni Stati membri, ed ora si è deciso di rilanciare la proposta.

La COMECE si è così rivolta nella sua dichiarazione ai membri del Parlamento e ai cittadini europei.

Nel testo, si legge prima di tutto che “la promozione delle donne e dei loro diritti non è legata alla promozione dell’aborto”, e si chiede di lavorare “per un’Europa in cui le donne possano vivere la loro maternità liberamente e come un dono per loro e per la società e in cui l'essere madre non sia in alcun modo una limitazione per la vita personale, sociale e professionale”.

La COMECE ribadisce che l’aborto “non potrà mai essere un diritto fondamentale. Il diritto alla vita è il pilastro fondamentale di tutti gli altri diritti umani, in particolare il diritto alla vita delle persone più vulnerabili, fragili e indifese, come il bambino non ancora nato nel grembo della madre, il migrante, l’anziano, la persona con disabilità e il malato”.

La Chiesa “con coerenza” sottolinea che “difesa della vita non nata è strettamente legata alla difesa di ogni altro diritto umano. Comporta la convinzione che l’essere umano è sempre sacro e inviolabile, in ogni situazione e in ogni fase dello sviluppo”.

I presuli dell’Unione Europea sottolineano che “gli esseri umani sono fini a se stessi e mai mezzi per risolvere altri problemi. Se questa convinzione viene meno, vengono meno anche le basi solide e durature per la difesa dei diritti umani, che sarebbero sempre soggetti ai capricci passeggeri dei potenti”.

Le Conferenze Episcopali dell’UE chiedono pertanto all’Unione Europea di “rispettare le diverse culture e tradizioni degli Stati membri e le loro competenze nazionali”, non si può “imporre ad altri”, all’interno e all’esterno dei confini, “posizioni ideologiche sulla persona umana, sulla sessualità e sul genere, sul matrimonio e sulla famiglia, ecc

“La Carta dei diritti fondamentali dell’UE – si legge - non può includere diritti che non sono riconosciuti da tutti e che sono divisivi. Non esiste un diritto riconosciuto all’aborto nel diritto europeo o internazionale e il modo in cui questo tema è trattato nelle Costituzioni e nelle leggi degli Stati membri varia notevolmente”. Anzi, è la stessa Carta, nel preambolo, a chiedere il rispetto della “diversità delle culture e delle tradizioni dei popoli europei”, nonché “le tradizioni costituzionali e gli obblighi internazionali comuni agli Stati membri”.

La nota è stata firmata del Comitato permanente della COMECE, composto da: il presidente Mariano Crociata, vescovo di Latina (Italia); il primo vice presidente Antoine Hérouard, arcivescovo di Dijon (Francia); e i vice presidenti Nuno Brás da Silva Martins, vescovo di Funchal (Portogallo), Czeslaw Kozon, vescovo di Copenhagen (Scandinavia), Rimantas Norvila, vescovo di Vilkaviškis (Lituania).

Anche la Federazione delle Associazioni Familiari in Europa (FAFCE) ha reagito il voto. Il presidente Vincenzo Bassi ha sottolineato che “questo voto non è altro che un cinico atteggiamento politico prima delle elezioni europee. La questione dell'aborto non è di competenza del Parlamento europeo. Le istituzioni a livello dell’UE sono legate al principio di sussidiarietà, che protegge gli Stati membri dal legiferare all’interno delle loro giurisdizioni. Questo voto non avrà alcun effetto materiale su nessuno, se non quello di suscitare sostegno ideologico durante una campagna elettorale”.

La FAFCE ricorda che la regolamentazione dell'aborto è di competenza degli Stati membri, in conformità al principio di sussidiarietà. Si tratta di un appello politico senza alcun impatto legale. Inoltre, il diritto all’obiezione di coscienza è un diritto fondamentale sancito dalla Carta dell’UE, che deve essere tutelato nel contesto dell’aborto.

Inoltre, la FAFCE chiarisce “che questa risoluzione non ha alcuna ripercussione giuridica e che l'aborto non può essere aggiunto alla Carta dell'UE poiché è contrario allo spirito della Carta e ai diritti fondamentali che già riconosce”. Resta il fatto che l’aborto non è un diritto fondamentale: non esiste il diritto a togliere una vita.

Per modificare effettivamente la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, i trattati dell’Unione europea devono approvare la modifica con l’approvazione unanime di tutti gli Stati membri.

Vincenzo Bassi, presidente della FAFCE, ha aggiunto che “anche la Corte europea dei diritti dell'uomo non riconosce il diritto all'aborto, e nemmeno alcun tribunale internazionale. Si tratta, in effetti, di una mera mozione manifesto con fini ideologici, senza fondamento giuridico. Questo non serve a nessuna donna o bambino nell’Unione Europea”.

Secondo il presidente della FAFCE “non si tratta di accesso all’aborto o di sostegno alle donne. Si tratta di usare le donne come pedine politiche. Invece di lasciare le donne isolate in situazioni difficili, dovrebbero essere sostenute. Le reti di associazioni familiari dovrebbero essere valorizzate come protagoniste nel cammino con le donne che si ritrovano sole e in ansia”.

Il presidente delle associazioni familiari europee afferma che “dobbiamo promuovere la vera scelta di vita, informando e dando risorse alla famiglia al servizio del bene comune. È possibile essere a favore della vita e anche a favore della scelta: la scelta che le donne abbiano figli e che le comunità crescano attraverso nuove vite. Politiche sociali concrete a sostegno delle donne e dei bambini andrebbero ben oltre le dichiarazioni ideologiche che non hanno alcun impatto sulla realtà”.

Cipro, i legami con la Santa Sede e le sfide di oggi

La scorsa settimana, l’arcivescovo Giampietro Dal Toso, nunzio apostolico in Giordania e Cipro, ha rilasciato una lunga intervista a quotidiano di Nicosia Phileleftheros, descrivendo le relazioni tra Santa Sede e Cipro e le sfide del mondo di oggi.

La Santa Sede ha stabilito una sede di nunziatura a Cipro, inaugurata il 27 gennaio scorso, con una scelta che testimonia l’importanza che viene data all’ultimo territorio diviso di Europa. Cipro, infatti, è divisa in due aree da una buffer line, perché la parte Nord fu occupata dalla Turchia nel 1974 ed ha dato vita ad una Repubblica riconosciuta solo da Ankara.

Nell’intervista, l’arcivescovo Dal Toso ha descritto Cipro come un ponte che collega l’Europa alle realtà orientali, e che questa visione è parte di un programma distintivo che gode della partecipazione della Santa Sede e cerca di coltivare il dialogo tra le fedi all’interno di Cipro.

Per questo, rappresentanti dalla Chiesa Ortodossa, dalla Chiesa Cattolica (sia di rito maronita che latino) e anche dall’Islam hanno dialogato per sviluppare una comprensione mutua ed evitare conflitti.

L’arcivescovo Dal Toso ha anche parlato delle sfide affrontate dalla Chiesa e dalle Comunità cristiane e dalle risposte della Santa Sede per ottenere giustizia per le vittime di abusi.

Il nunzio ha notato che “abbiamo da poco celebrato i cinquanta anni di relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e Cipro”, e che l’obiettivo della Santa Sede nelle relazioni diplomatiche è “di due tipi: promuovere la dignità umana e la pace tra le persone e di supportare la vita nella Chisa locale”.

L’arcivescovo Dal Toso ha poi notato che a Cipro c’è “forte cooperazione nel campo delle migrazioni”.

Parlando dell’inaugurazione della nunziatura a Cipro, Dal Toso ha detto che “è sempre necessario che la nostra presenza sia visibile, così che le persone possano incontrare il nunzio ed altre persone”.

Per quanto riguarda il dialogo con le altre confessioni religiose, l’arcivescovo Dal Toso ha detto che ci sono “diverse iniziative”, in particolare il “Religious Track”, ispirato dall’Ambasciata Svedese con lo scopo di promuovere il dialogo interreligioso nell’isola, e che “rappresenta un contributo molto concreto alla vita della comunità cipriota”.

Per il nunzio, la sfida più grande della Chiesa oggi è “accettare ed aderire alla fede”, una sfida “particolarmente cruciale nel mondo di oggi, perché stiamo affrontando una grande trasformazione culturale, dove la fede cristiana sembra a molti non essere rilevante o anche contraddittoria alla mentalità moderna”.

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