Roma, 17 January, 2016 / 5:21 PM
Dopo Giovanni Paolo II e Benedetto XVI è la volta di Papa Francesco. E’ il terzo Vescovo di Roma a visitare la Sinagoga della Capitale.
“Nella mia prima visita a questa Sinagoga come Vescovo di Roma – ha esordito Francesco – desidero esprimere a voi, estendendolo a tutte le comunità ebraiche, il saluto fraterno di pace di questa Chiesa e dell’intera Chiesa cattolica”.
“Le nostre relazioni – ha assicurato il Papa – mi stanno molto a cuore. Nel dialogo interreligioso è fondamentale che ci incontriamo come fratelli e sorelle davanti al nostro Creatore e a Lui rendiamo lode, che ci rispettiamo e apprezziamo a vicenda e cerchiamo di collaborare. E nel dialogo ebraico-cristiano c’è un legame unico e peculiare, in virtù delle radici ebraiche del cristianesimo: ebrei e cristiani devono dunque sentirsi fratelli, uniti dallo stesso Dio e da un ricco patrimonio spirituale comune, sul quale basarsi e continuare a costruire il futuro”.
Voi – ha confermato Papa Bergoglio – siete i “nostri fratelli e le nostre sorelle maggiori nella fede. Tutti quanti apparteniamo ad un’unica famiglia, la famiglia di Dio, il quale ci accompagna e ci protegge come suo popolo. Insieme, come ebrei e come cattolici, siamo chiamati ad assumerci le nostre responsabilità per questa città, apportando il nostro contributo, anzitutto spirituale, e favorendo la risoluzione dei diversi problemi attuali. Mi auguro che crescano sempre più la vicinanza, la reciproca conoscenza e la stima tra le nostre due comunità di fede”.
Grazie anche al Concilio “da nemici ed estranei, siamo diventati amici e fratelli”. Diciamo “no ad ogni forma di antisemitismo” e condanniamo “ogni ingiuria, discriminazione e persecuzione che ne derivano”.
Il dialogo – anche teologico – prosegue. “La dimensione teologica del dialogo ebraico-cattolico – spiega Francesco – merita di essere sempre più approfondita, e desidero incoraggiare tutti coloro che sono impegnati in questo dialogo a continuare in tal senso, con discernimento e perseveranza. Proprio da un punto di vista teologico, appare chiaramente l’inscindibile legame che unisce cristiani ed ebrei. I cristiani, per comprendere sé stessi, non possono non fare riferimento alle radici ebraiche, e la Chiesa, pur professando la salvezza attraverso la fede in Cristo, riconosce l’irrevocabilità dell’Antica Alleanza e l’amore costante e fedele di Dio per Israele”.
Il Papa poi invita a non perdere “di vista le grandi sfide che il mondo di oggi si trova ad affrontare. Quella di una ecologia integrale è ormai prioritaria, e come cristiani ed ebrei possiamo e dobbiamo offrire all’umanità intera il messaggio della Bibbia circa la cura del creato. Conflitti, guerre, violenze ed ingiustizie aprono ferite profonde nell’umanità e ci chiamano a rafforzare l’impegno per la pace e la giustizia. La violenza dell’uomo sull’uomo è in contraddizione con ogni religione degna di questo nome, e in particolare con le tre grandi religioni monoteistiche. La vita è sacra, quale dono di Dio. Il quinto comandamento del Decalogo dice: Non uccidere. Dio è il Dio della vita, e vuole sempre promuoverla e difenderla; e noi, creati a sua immagine e somiglianza, siamo tenuti a fare lo stesso”.
Francesco ribadisce il no della Chiesa ad ogni forma di violenza in nome di Dio. “Ogni essere umano, in quanto creatura di Dio, è nostro fratello, indipendentemente dalla sua origine o dalla sua appartenenza religiosa. Ogni persona va guardata con benevolenza, come fa Dio, che porge la sua mano misericordiosa a tutti, indipendentemente dalla loro fede e dalla loro provenienza, e che si prende cura di quanti hanno più bisogno di Lui: i poveri, i malati, gli emarginati, gli indifesi. Là dove la vita è in pericolo, siamo chiamati ancora di più a proteggerla. Né la violenza né la morte avranno mai l’ultima parola davanti a Dio, che è il Dio dell’amore e della vita. Noi dobbiamo pregarlo con insistenza affinché ci aiuti a praticare in Europa, in Terra Santa, in Medio Oriente, in Africa e in ogni altra parte del mondo la logica della pace, della riconciliazione, del perdono, della vita”.
Non è mancato nel discorso del Papa il riferimento alla tragedia della Shoah. “Sei milioni di persone, solo perché appartenenti al popolo ebraico – ha ricordato Francesco – sono state vittime della più disumana barbarie, perpetrata in nome di un’ideologia che voleva sostituire l’uomo a Dio. Il 16 ottobre 1943, oltre mille uomini, donne e bambini della comunità ebraica di Roma furono deportati ad Auschwitz. Oggi desidero ricordarli, con il cuore, in modo particolare: le loro sofferenze, le loro angosce, le loro lacrime non devono mai essere dimenticate. E il passato ci deve servire da lezione per il presente e per il futuro. La Shoah ci insegna che occorre sempre massima vigilanza, per poter intervenire tempestivamente in difesa della dignità umana e della pace. Vorrei esprimere la mia vicinanza ad ogni testimone della Shoah ancora vivente; e rivolgo il mio saluto particolare a coloro - a voi! - che sono oggi qui presenti”. A queste parole tutti i presenti hanno applaudito il Papa levandosi in piedi.
In conclusione il Pontefice ha auspicato un rafforzamento della comprensione reciproca. “Preghiamo insieme il Signore, affinché conduca il nostro cammino verso un futuro buono, migliore. Che il Signore ci benedica e ci protegga. Faccia splendere il suo volto su di noi e ci doni la sua grazia. Rivolga su di noi il suo volto e ci conceda la pace!”.
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