Città del Vaticano , 02 February, 2024 / 6:07 PM
“Ci fa bene guardare a Simeone e Anna pazienti nell’attesa, vigilanti nello spirito e perseveranti nella preghiera. Il loro cuore è rimasto sveglio, come una fiaccola sempre accesa. Sono avanti in età, ma hanno la giovinezza del cuore; non si lasciano consumare dai giorni, perché i loro occhi rimangono rivolti a Dio in attesa, ma non si sono arresi al disfattismo: non hanno mandato in pensione la speranza. Contemplando il Bambino, riconoscono che il tempo è compiuto, la profezia si è realizzata, Colui che cercavano e sospiravano, il Messia delle genti, è arrivato”. Lo ha detto il Papa nell’omelia pronunciata questa sera in occasione della Messa in San Pietro per la XXVIII Giornata Mondiale della Vita Consacrata.
“L’attesa di Dio – ha osservato – è importante anche per noi, per il nostro cammino di fede. Ogni giorno il Signore ci visita, ci parla, si svela in modo inaspettato e, alla fine della vita e dei tempi, verrà. Perciò Egli stesso ci esorta a restare svegli, a vigilare, a perseverare nell’attesa. La cosa peggiore che può capitarci è scivolare nel sonno dello spirito”.
Rivolgendosi ai consacrati Francesco ha osservato che “a volte abbiamo smarrito questa capacità di attendere. Ciò dipende da diversi ostacoli”. E il Papa punta l’attenzione su due in particolare.
“Il primo – ha spiegato - è la trascuratezza della vita interiore. È quello che succede quando la stanchezza prevale sullo stupore, quando l’abitudine prende il posto dell’entusiasmo, quando perdiamo la perseveranza nel cammino spirituale, quando le esperienze negative, i conflitti o i frutti che sembrano tardare ci trasformano in persone amare e amareggiate. Non fa bene masticare l’amarezza, perché in una famiglia religiosa le persone amareggiate e con la faccia scura appesantiscono l’aria. Occorre allora recuperare la grazia smarrita: ritornare, attraverso un’intensa vita interiore, allo spirito di umiltà gioiosa, di gratitudine silenziosa. E questo si alimenta con l’adorazione, con il lavoro di ginocchia e di cuore, con la preghiera concreta che lotta e intercede, capace di risvegliare il desiderio di Dio, l’amore di un tempo, lo stupore del primo giorno, il gusto dell’attesa”.
“Il secondo ostacolo – ha aggiunto il Papa - è l’adeguamento allo stile del mondo, che finisce per prendere il posto del Vangelo. E il nostro è un mondo che spesso corre a gran velocità, che esalta il tutto e subito, che si consuma nell’attivismo e cerca di esorcizzare le paure e le angosce della vita nei templi pagani del consumismo o nello svago a tutti i costi. In un contesto del genere, dove il silenzio è bandito e smarrito, attendere non è facile, perché richiede un atteggiamento di sana passività, il coraggio di rallentare il passo, di non lasciarci travolgere dalle attività, di fare spazio dentro di noi all’azione di Dio, come insegna la mistica cristiana. Facciamo attenzione, allora, perché lo spirito del mondo non entri nelle nostre comunità religiose, nella vita ecclesiale e nel cammino di ciascuno di noi, altrimenti non porteremo frutto”.
“La vita cristiana e la missione apostolica – ha concluso Papa Francesco - hanno bisogno che l’attesa, maturata nella preghiera e nella fedeltà quotidiana, ci liberi dal mito dell’efficienza, dall’ossessione del rendimento e, soprattutto, dalla pretesa di rinchiudere Dio nelle nostre categorie, perché Egli viene sempre in modo imprevedibile, in tempi che non sono nostri e in modi che non sono quelli che ci aspettiamo. Accogliendo il Signore, il passato si apre al futuro, il vecchio che è in noi si apre al nuovo che Lui suscita”.
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