Roma, 08 December, 2023 / 6:00 PM
“L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva”. Ci sono state, nel corso di millenni, migliaia di versi, parole, preghiere ispirate da Maria e a Maria. Forse nessuna di queste migliaia di parole, però, raggiunge la potenza e il senso dell’eternità che le parole di Maria stessa continuano a riversare dalle pagine del Vangelo. Il suo Magnificat non può che essere insuperato e insuperabile.
Alla luce della festa dell’Immacolata ecco l’invito a leggere – rileggere – le parole che hanno tracciato la storia della salvezza grazie al sì di Maria e insieme hanno eretto monumenti di bellezza immortale in nome della Madre che incarna la grandezza e il dolore di tutte le madri.
Non si può non cominciare dalle vertiginose altezze dei versi danteschi, con la sublime invocazione che il poeta fa pronunciare da San Bernardo nel Paradiso: “Vergine Madre, figlia del tuo figlio,/umile e alta più che creatura,/termine fisso d’etterno consiglio,/tu se’ colei che l’umana natura/nobilitasti sì, che ‘l suo fattore/ non disdegnò di farsi sua fattura”.
Poesia che si fa preghiera, che condensa in pochi versi la summa teologica dell’incarnazione e il mistero di Maria, del suo sì che ha reso possibile l’impossibile: Dio che si è fatto uomo, che si è formato nel corpo di una donna e che, in questo modo, ha reso la natura umana, quella carne segnata dal peccato, dal limite, dalla sofferenza, dalla vecchiaia, dalla morte, così nobile da diventare “fattura” del Divino. Figlia del tuo figlio, ecco sollevato il velo sulla grandezza del mistero di Maria.
Quel mistero che, come una corrente sotterranea, continua a ispirare la poesia in ogni tempo. Giovanni Pascoli spesso delinea la figura di Maria che si intreccia strettamente con la figura della madre, perduta in tenera età e presenza silenziosa e dolente sempre accanto al poeta. Nella lirica Il Ceppo, che appare nella raccolta “Myricae” del 1891, il paesaggio è quello di una vigilia di Natale fredda e triste: come vuole un’antica leggenda toscana Gesù è appena nato, ha freddo e piange ma la Madre non sa come scaldarlo e dunque vaga di casa in casa per cercare un po’ di fuoco per il suo Bambino. Entra silenziosa in una povera casa in cerca di un ceppo, trova invece una madre in agonia che pensa, straziata, al figlio che deve lasciare solo. “La Madonna, con una mano sul cuore, geme: Una mamma, figlio mio, che muore!”,
Da madre a madre, il dolore di Maria è quello di ogni madre che soffre, di ogni madre che se ne deve andare e lasciare i figli nell’ombra di una vita in solitudine e tristezza. Quella che si porta dentro Pascoli. La Madonna “stanca” che percorre le strade buie e spazzate dal vento gelido è un’immagine potente che ritroviamo in tante liriche pascoliane. E in “Una voce”, la presenza silenziosa della madre ritrova appunto una voce, soprattutto in quel soffio “Zvanì” , il nome sussurrato all’orecchio e al cuore di Giovanni, soprattutto nei momenti più bui della sua esistenza, quando addirittura pensa di non farcela più, di non voler più vivere. Allora quella voce dolente, debole eppure così forte da scuoterlo da quel dolore mortifero. “Una voce” è una lirica successiva a quelle di Myricae, insieme a molte altre raccolte in “Canti di Castelvecchio”.
Qualche decennio più tardi Giuseppe Ungaretti compone quei versi straordinari rivolti appunto alla Madre, scritta nel 1930, contenuta nella raccolta Sentimento del Tempo. Nella poesia Ungaretti affronta il tema della propria morte, immaginando che, nel momento in cui si troverà al cospetto di Dio, avrà accanto la madre.
E il cuore quando d'un ultimo battito
avrà fatto cadere il muro d'ombra
per condurmi, Madre, sino al Signore,
come una volta mi darai la mano.
In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all'eterno,
come già ti vedeva
quando eri ancora in vita.
Alzerai tremante le vecchie braccia,
come quando spirasti
dicendo: Mio Dio, eccomi.
E solo quando m'avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.
Ricorderai d'avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro.
Abbiamo voluto riprodurre il testo intero della lirica perché è talmente compatta, incisa, scolpita, quasi, che risulta impossibile estrapolare qualche verso soltanto. La madre, in questo testo, è certo la madre del poeta, ma si trasforma sotto i nostri occhi di lettori in una sorta di immensa immagine di pietà, amore, attesa, accoglienza, che risulta semplice trasfigurarla nel volto della Madre di Dio e di noi tutti, poveri peccatori.
Concludiamo questa piccola silloge di autori e di versi, che abbiamo aperto con il Magnificat, con una grande preghiera di tradizione antichissima e che sempre ci accompagna, insieme all’Ave, naturalmente, il Salve Regina, che è invocazione, omaggio, abbandono alla sua intercessione, perché ci accompagni ”in questa valle di lacrime” che è l’esistenza terrena e che rivolge a noi i suoi occhi misericordiosi e ci mostra la nostra meta finale: Gesù, dopo l’esilio in questo mondo.
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