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Un servizio di EWTN News

La vita trova pienezza nell’amore per Dio. XXXIII Domenica del Tempo Ordinario

Siamo ormai prossimi al termine dell’Anno Liturgico e la Chiesa in queste domeniche ci ricorda che il mondo non è eterno, ma è destinato a finire. Tuttavia, per il Signore la fine del mondo non è pensata come un evento catastrofico, ma piuttosto in termini di maturazione. Egli, infatti, per parlarne si serve dell’immagine della mietitura del grano o della donna che vive le doglie del parto. La creazione, dunque, avrà un termine che coincide con il suo compimento e quando questo accadrà, Dio finalmente “sarà tutto in tutti”.

Il fatto che la creazione è finalizzata ci porta a riconoscere che noi non abbiamo la piena disponibilità della nostra vita e di ciò che ci è stato donato. Di tutto dovremo rendere conto. E’ quanto ci insegna la parabola dei talenti che ascoltiamo questa domenica. In essa troviamo un padrone e tre servi. Questi ultimi sono tali perché dipendono da “un signore” che affida loro i suoi beni. Con questa parabola Gesù ci ricorda la nostra condizione di creature che, in quanto tali dipendono, dal Creatore. Tutto ciò che siamo e abbiamo trova, dunque, il suo riferimento ultimo in Dio e va ordinato secondo la sua volontà.

Obbedire o non obbedire alla volontà di Dio non è la stessa cosa, comporta conseguenze molto diverse per la nostra vita. Nella parabola i due servi che accolgono prontamente le richieste del padrone e vivono in modo conseguente portano frutto abbondante. Essi vengono qualificati come servi “buoni e fedeli” e, in quanto tali, ammessi alla gioia del padrone. In altre parole sono resi partecipi della pienezza della vita e della felicità senza fine del Paradiso.

Il terzo servo, invece, vive la sua relazione con il padrone in maniera sbagliata. Poiché lo considera duro ed opprimente e poiché vede in lui uno sfruttatore si rifiuta di servirlo, non agisce secondo la sua volontà e si allontana da Lui credendo di potere vivere lontano dalla sua casa. E così rovina la sua vita. Il padrone lo qualifica come “servo malvagio”. E’ tale perché è venuto meno allo scopo per il quale ha ricevuto il dono della vita. Ha sentito come un peso e una limitazione dover dipendere dal Signore e questi lo allontana da sé. Viene così escluso dal calore e dalla luce della comunione con Lui. Ma lontano dal Signore sperimenta tenebre, sgomento, disperazione, dolore.

La vita è breve, è come “fumo”, “ombra”, “fiore che appassisce”…e proprio per questo è un grande peccato perdere tempo o spenderla in malo modo. Gesù non si stanca di ricordarci che essa trova la sua pienezza nell’amore per Dio e i fratelli. Vigilare, allora, significa assumere il rischio della responsabilità. Dio non si accontenta di quanto ci ha dato, vuole che noi ci impegnano per rendere gloria a Lui e presentarci, un domani, davanti a Lui con le mani piene di opere buone.

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