Roma, 25 October, 2023 / 2:00 PM
“Scalabrini ci aiuta, proprio guardando ai missionari dei migranti come a cooperatori dello Spirito Santo per l’unità. La sua è una visione illuminata e originale del fenomeno migratorio, visto come
appello a creare comunione nella carità. Ancora giovane parroco, egli stesso racconta di essersi trovato, alla Stazione Centrale di Milano, davanti ad una massa di migranti italiani in partenza per l’America… Ed il Santo, impressionato da quella grande miseria, comprese che lì c’era un segno di Dio per lui: l’appello ad assistere materialmente e spiritualmente quelle persone, perché nessuno di loro, lasciato a sé stesso, andasse perduto, smarrendo la fede;”: papa Francesco lo ha sottolineato nell’incontro conclusivo del convegno di spiritualità scalabriniana, ‘Io verrò a radunare tutte le genti’, svoltosi nei giorni scorsi a Roma.
Terminati i lavori del Consiglio della Congregazione di san Carlo, al missionario scalabriniano, p. Gioacchino Campese, docente di ‘Teologia Pastorale e Mobilità Umana’ alla Pontificia Università Urbaniana e direttore della ‘Casa Scalabrini 634’ di Roma, un centro che pratica
la cultura dell’accoglienza e dell’integrazione tra rifugiati, migranti e italiani, chiediamo di spiegarci in quale modo è possibile avere ‘cuori ardenti, piedi in cammino’.
“Queste due espressioni vanno lette insieme: non si possono avere piedi in cammino se non ci sono cuori ardenti. Se non c’è una motivazione ed una spiritualità forti non si può essere missionari ed
annunciatori del Vangelo. Si può aggiungere che non si può essere un discepolo missionario, per usare un vocabolo dell’esortazione apostolica ‘Evangelii Gaudium’ di papa Francesco. Insisterei su questa connessione inscindibile tra ‘cuore ardente’ (spiritualità forte, che deve essere imbevuta del Vangelo) e ti rende necessariamente un discepolo missionario”.
‘Se non c’è cammino, non c’è missione’: come è possibile alimentare la radice della missione, che è il cuore?
“Quello che fa ardere il cuore è la gioia dell’annuncio del Vangelo. Come missionari dobbiamo porci domande in quale modo si annuncia il Vangelo nella nostra epoca: come si fa battere il cuore? Non credo che abbiamo tutte le risposte. A volte dobbiamo imparare ad annunciare il Vangelo in modo differente, in situazioni differenti ed in tempi differenti”.
Allora in quale modo tutti siamo chiamati alla missione?
“Questo dobbiamo fare come Chiesa, perché in tanti secoli abbiamo presentato una Chiesa minimamente missionaria, in quanto si credeva che solo poche persone erano chiamate alla missione, mentre la Chiesa è tutta missionaria, come ribadisce papa Francesco. Attraverso il nostro
‘talento’ siamo chiamati a rendere testimonianza del Vangelo”.
Quindi occorre passare ad una missione di cooperazione tra le Chiese?
“Oggi la missione non è più di chi parte dall’Europa verso i luoghi da ‘cristianizzare’. La missione parte da dovunque ed arriva ovunque”.
Per quale motivo papa Francesco ha messo al centro del messaggio missionario l’Eucarestia come fonte della missione?
“Nella liturgia facciamo memoria di Gesù che diventa carne, offrendo il suo Corpo per noi. Per questo l’Eucarestia diventa la fonte. La missione si fonda nel Dio trinitario”.
E nel culmine della liturgia diciamo ‘Annunciamo la tua morte…’: è un invito a partire?
“Ma certo! E’memoriale del ministero di Gesù, che poi diventa una ‘liturgia dopo la liturgia’, come affermano gli ortodossi. La liturgia non finisce con la ‘messa è finita’, ma continua con la ‘liturgia
nella liturgia’, che si chiama missione”.
Quale è la dimensione missionaria del carisma di san Scalabrini?
“Quando si parla della spiritualità di una congregazione, che è stata fondata da san Giovanni Battista Scalabrini nel 1887 per accompagnare i migranti italiani di quel tempo ed oggi per accompagnare i migranti, credo che un elemento principale della spiritualità è l’itineranza o
pellegrinaggio, che poi sono ‘piedi in cammino’: sono facce della stessa realtà. Non dobbiamo considerare i migranti solo come persone da evangelizzare, ma li dobbiamo considerare in una visione di una Chiesa missionaria come discepoli missionari attraverso la loro fede e la loro
speranza. Ci sono molti elementi che sono fondamentali per la nostra spiritualità”.
Quindi è bene ricordare che ci sono anche migranti cattolici?
“Nei giorni scorsi sono stato alla presentazione del rapporto Caritas/Migrantes ed è stato ripetuto di nuovo che più del 50% dei migranti in Italia sono cristiani con maggioranza ortodossa e solo il 29% dei migranti in Italia è di religione mussulmana. Quindi in Italia la migrazione è ancora cristiana. Da questi cristiani, anche in ottica ecumenica, noi possiamo imparare da come gli altri celebrano la
propria fede. Siamo fede cattolica, perché ci facciamo arricchire dalla fede degli altri. Un altro punto della spiritualità missionaria scalabriniana è l’attenzione per i popoli ‘crocifissi’, perché
stiamo più attenti alle persone che soffrono il dramma delle migrazioni, nel ricordo delle vittime di questi ‘viaggi’ della speranza, che spesso finiscono male”.
A partire dalla sua esperienza alla ‘Casa Scalabrini 634’ per l’accoglienza dei rifugiati può raccontare qualche aneddoto sul dialogo e sull’annuncio ai non cristiani: quale è la vostra
dinamica nel condurre questo servizio senza fare ‘proselitismo’?
“Per quanto riguarda l’aspetto interreligioso della missione ai migranti stiamo da alcuni ann festeggiando con i fratelli mussulmani la ‘rottura del digiuno’, a cui partecipano anche il vescovo e l’imam, per dare un messaggio di speranza e di convivialità. Bisogna saper celebrare insieme la fede, anche se è diversa, in Dio. Un’altra cosa che mi colpisce è quando si pensa che i mussulmani non hanno rispetto per la nostra religione: nella nostra casa abbiamo appesi crocifissi e non ho
sentito nessun migrante chiedere di toglierli; anzi, ogni anno facciamo il presepe ed una signora mussulmana, che fa le pulizie della casa, si prende cura nel pulire le statuine del presepe, specialmente la Madonna, di cui hanno una particolare venerazione. Quindi non è solo rispetto, ma anche venerazione”.
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