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Il pellegrinaggio alle catacombe romane e San Filippo Neri, una scuola di spiritualità

Oggi i partecipanti al Sinodo sono pellegrini alle catacombe di Roma. Ma perché questa scelta? Perché il pellegrinaggio alle antiche tombe cristiane è tanto importante? Certo alcuni di loro sono dei martiri, anche famosi. Ma cosa fa nascere questa idea nella pietà popolare cristiana di Roma? E' presto detto, tutto nasca da San Filippo Neri. Non che prima non si onorassero i morti e soprattutto si celebrassero i martiri, ma il santo fiorentino più romano che c'è ne ha fatto un vero rito che seguiamo di fatto ancora oggi.

Le prime fonti arrivano dalla fine del '500 quando si iniziò la causa di canonizzazione di Filippo. Il domenicano Francesco Cardoni, frequentatore del santo, ricordava di come egli, nei primi anni della sua presenza a Roma (1533-1537), fosse solito raccogliersi in preghiera nella catacomba di San Sebastiano sulla via Appia: per "dieci anni (...) era stato nelle grotte di S. Sebastiano, dove viveva di pane et di radiche d'herbe" (Il primo processo per san Filippo Neri nel Codice Vaticano Latino 3798 e in altri esemplari dell'archivio dell'Oratorio di Roma, I, a cura di Giovanni Incisa della Rocchetta e Nello Vian, Città del Vaticano 1957, p. 133).

E i suoi biografi, primo fra tutti Antonio Gallonio  scrive che spessissimo si soffermava a pregare presso quel cimitero chiamato San Calisto. E sempre al processo di canonizzazione padre Germanico Fedeli, oratoriano e intimo di padre Filippo racconta di come spesso il santo gli raccontasse che da giovane "andava spessissime volte, solo, di notte, alle Sette Chiese, pernottando nelle dette Chiese, et, anco nel cemeterio di Calisto, et, che, quando trovava le chiese serrate, si fermava nelli porticati di dette chiese, a far oratione, et (...) alle volte a leggere qualche libro al lume della luna".

Sono tanti gli episodi della vita del Santo legati alle catacombe, luogo per lui di ispirazione e raccoglimento. Lo ricorda il professore Fiocchi Nicolai del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana in un articolo su L' Osservatore Romano del 2010. E tanti gli aneddoti spirituali. Ad esempio "quello della tentazione da parte di tre diavoli, dalle sembianze di giovani, avvenuta, secondo la testimonianza del Gallonio - il primo a riferirla - presso Capo di Bove (cioè il sepolcro di Cecilia Metella) e arbitrariamente trasferita, nella Roma Sotterranea dell'Aringhi (1651), nelle catacombe, dove, tra l'altro, i tre diavoli, per spaventare san Filippo, si sarebbero cimentati nello scuotere le lapidi che chiudevano le tombe.

Così, soprattutto, l'episodio miracoloso della frattura del costato, che ancora Gallonio e altre autorevoli fonti ricordano avvenuto, nel 1544, senza una localizzazione precisa, e che solo successivamente viene ambientato negli ipogei di san Sebastiano".

Ma cosa cercava Filippo nelle catacombe? "La volontà di trarre alimento spirituale dal contatto con quelle antiche testimonianze e di recuperare in esse i valori più genuini del cristianesimo".

A metà del '500 a Roma le catacombe erano quasi tutte infrequentabili, in rovina, tranne quella di San Sebastiano, e in una certa zona di questo cimitero, secondo la tradizione, Filippo si ritirava più spesso, tanto che oggi viene chiamata "il cubicolo di san Filippo".

E alla preghiera nelle catacombe Filippo univa la pratica della visita alla Sette Chiese, così che da allora questa pratica iniziò a diffondersi. La prima di queste visite fu il giovedì grasso del 1552, quando San Filippo Neri per la prima volta oppose ai festeggiamenti paganeggianti del carnevale romano la devozione ai luoghi più santi di Roma, e la meditazione sulla Passione.

Iniziavano all'epoca i primi studi dei cimiteri dei primi cristiani. A farli erano "gli antiquari interessati alle memorie religiose,- spiega Fiocchi Nicolai-  ma anche dell'attenzione delle gerarchie ecclesiastiche che, nel clima infuocato della Riforma cattolica, vedevano, come è noto, nello studio e nella valorizzazione dei primi monumenti cristiani, un mezzo per combattere le tesi dei protestanti. Soprattutto le immagini dipinte nelle catacombe, che si andavano allora recuperando, sembravano fornire - con l'oggettività propria di un monumento antico - argomenti per affermare la realtà del culto dei santi e delle immagini sacre tra le primissime generazioni cristiane".

La strada aperta da San Filippo portò alla attenzione di studiosi come il maltese Antonio Bosio, che di fatto inventò la nuova disciplina scientifica dell'archeologia cristiana. Il suo libro Roma Sotterranea fu pubblicata, postuma, nel 1632, dall' oratoriano Giovanni Severano, autore di un libro sulle Sette Chiese.

Ma ci sono anche cardinali come Federico Borromeo a studiare le catacombe. Aveva perlustrato varie catacombe e curò una raccolta di copie di pitture delle catacombe. Federico Borromeo, della cerchia più vicina all'Oratorio, fu probabilmente colui che possedeva una più spiccata e autentica vocazione per gli studi archeologici.

E san Filippo non solo aprì le porte agli studiosi, ma aprì anche la strada a chi si smarrisce. Tra i tantissimi aneddoti eccone uno. L'abate Giacomo Crescenzi e un gruppo di amici si sperede nella catacomba dei Giordani sulla via Salaria, il 10 dicembre 1598. Solo le preghiere rivolte a padre Filippo ("chi con parole et chi col core") li fanno miracolosamente uscire.

E anche di questo, per chi fosse interessato, si parlerà nel corso di Storia dei Giubilei organizzato dalla Gregoriana a Roma.

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