Roma, 12 October, 2023 / 2:00 PM
Era il 1984 e, nel teatro che allora si chiamava ancora ‘Salone Pier Lombardo’, debuttava, con la regia di Andrée Ruth Shammah, l’ultimo lavoro di Giovanni Testori: una rilettura critica dei ‘Promessi sposi’ di Alessandro Manzoni, una ‘messa alla prova’, da parte di una piccola compagnia di paese, guidata da un maestro d’arte e di vita. In uno spoglio palcoscenico di provincia, le pareti biancastre, l’attrezzeria falsamente in disordine, le porticine, i pontili, le scalette a vista e una saracinesca grigia sullo sfondo, un gruppo di giovani attori appassionati ed inesperti, un po’ smarriti e un po’ curiosi, prova, sotto la guida di un maestro, qualcosa che assomiglia al capolavoro di Manzoni, ‘I promessi sposi’, ma che diventa qualcos’altro nel tentativo di liberare i personaggi dalla pagina scritta e di fare, degli attori, degli uomini che camminano da soli.
In occasione della duplice celebrazione dei due autori milanesi (100 anni della nascita di Giovanni Testori e 150 anni della morte di Alessandro Manzoni), lo spettacolo torna nuovamente in scena nella stagione 2023/2024, come ha sottolineato la regista Andrée Ruth Shammah: “Ci sono momenti storici in cui alcuni testi ci sembrano necessari. La prima volta che ho messo in scena ‘I Promessi sposi alla prova’ con Franco Parenti ne sentivo la necessità e la sento oggi, come e forse più di allora. Testori ha accolto, tradito o tradotto le parole di Manzoni in una nuova forma che rende contemporanee e facilmente comunicabili verità antiche di cui abbiamo nuovamente bisogno. Con questo spettacolo, non solo si vuole restituire al pubblico uno dei capisaldi della letteratura italiana e far conoscere e amare la riscrittura di Testori, ma si intende esortare a camminare con una nuova consapevolezza nel nostro tempo e a riscoprire i fondamenti del teatro, come lo intendo io, ancora e sempre di più”.
Quali sono i motivi per portare di nuovo nei teatri ‘I Promessi Sposi alla prova’?
“Questo spettacolo è necessario perché, oggi più che mai, bisogna riflettere sull’importanza del ruolo dei maestri. E’ un testo che stimola riflessioni su come i potenti possano manipolare un innocente, temi che attraversano di continuo la nostra vita. Inoltre, con la sua lunghezza sfida il pubblico a tornare a immergersi nel tempo teatrale e a lasciarsi guidare dalle parole. La particolarità di questa edizione dei ‘Promessi Sposi’ è la presenza di un allievo di allora che si fa maestro. Questo tramandare è uno dei momenti in cui vivo intensamente il 50^ del teatro; considero riprendere i ‘Promessi Sposi’ a Milano, terra di Giovanni Testori e del Teatro ‘Franco Parenti’, un bisogno della città e portarlo al ‘Piccolo Teatro’ sancisce un importante passaggio di consegne. Infine, uno dei motivi più alti è sicuramente ridare vita alle parole, insegnare a comunicare partendo proprio da ciò che sembra più lontano da noi, eppure così denso di significato”.
Perché Testori mise alla ‘prova’ i Promessi Sposi?
“Testori mise i ‘Promessi Sposi’ alla prova di oggi. Grande studioso del Manzoni, voleva capire se gli antichi valori del maestro, che sembravano così lontani, ancora risuonassero nelle orecchie dei più giovani, e così è stato. Testori si mise alla ricerca di una sensibilità contemporanea diversa, che continua ancora oggi attraverso le sue parole e, in ultimo, lancia una sfida anche su come si possa mettere in scena un grande classico”.
Quale è l’attualità di questo testo?
“Agli occhi di oggi ‘I Promessi Sposi alla prova’ possono sembrare antichi, invece, come aveva ben previsto Testori, questo classico è uno specchio della società e continua a parlarci. E’ un testo che, ora come allora, stimola un’intelligenza emotiva che arriva con intensità allo spettatore. Si pensi ai giovani, che ricevono input spesso sbagliati e si perdono, mentre quando vengono correttamente stimolati diventano estremamente ricettivi. L’immagine di Lucia sulla barchetta con Renzo e la madre, nello struggente ‘addio monti’ fa pensare ai migranti. Ma sopra ogni cosa sono le parole; è recentissima un’occupazione dello spazio vuoto riempito comunicando, con l’obiettivo di trasmettere un valore più alto; così accade anche con la riscrittura di Testori, dove le parole mantengono la loro profondità antica per restituire argomenti e valori che vanno buttati nel futuro”.
Come ha conosciuto i ‘Promessi Sposi’ di Alessandro Manzoni?
“Sono ebrea, lontana dal cattolicesimo di Testori, in più ho fatto la scuola francese e Manzoni non era in programma. La prima volta che ho letto i ‘Promessi Sposi’ è stato con Franco Parenti, quando volevo capire meglio il lavoro che aveva fatto Testori; il testo era enorme, dovevano essere due serate, andava lavorato e trattato. L’ho amato, ci sono dei sentimenti, quando sono alti e veri, che trovano sempre altri riferimenti”.
Per quale motivo fondò con Giovanni Testori e Franco Parenti il ‘Salone Pier Lombardo’?
“Sentivamo la necessità di creare un nuovo spazio per arrivare a un pubblico nuovo e accogliere quello che non aveva spazio nelle istituzioni. Io ebrea, Testori cattolico e Parenti comunista, avevamo i valori dell’uomo al centro. Testori è tra i fondatori del teatro, il nostro autore di riferimento, e accanto a lui per Parenti doveva esserci un autore classico come Molière che parla come nessun altro della nevrosi dell’uomo moderno. Siamo diventati il luogo dove tutto ciò che non si poteva esprimere, interpreti di tutto ciò che non aveva spazio e che richiedeva parola a Milano. Oggi Testori è festeggiato anche dalle istituzioni ma in quel momento era ‘ribelle’, anarchico”.
‘Maria Brasca’, ‘L’Arialda’ ed ‘I Promessi Sposi alla prova’: in quale modo Giovanni Testori raccontava la vita?
“Testori, come Manzoni, raccontava la vita a partire dalle parole: amore, libertà, determinazione dell’uomo di lottare per valori alti. La Brasca lancia un urlo contro una società che le sta stretta e la costringe al conformismo; Eros, fratello di Arialda, lotta per essere accettato. Nei ‘Promessi Sposi alla prova’, che non sono confrontabili perché sono immensi, Renzo e Lucia hanno un forte spirito religioso. Il complesso ritratto di vita che Testori ha ricreato da Manzoni, è chiuso in un’unica parola: ‘speranza’, che conclude lo spettacolo, confermando l’intensità di un valore antico che parla al futuro”.
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