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Leone XII a 200 anni dalla elezione ci sono ancora da studiare le sue riforme

Annibale della Genga nacque a Monticelli di Genga, nel distretto e diocesi di Fabriano, il 22 agosto 1760; sesto di dieci figli, la stessa nascita e una tradizione familiare di presenza nel clero predisponevano Annibale alla carriera ecclesiastica; educato nel collegio ‘Campana’ di Osimo e passato nel collegio ‘Piceno’ di Roma, dopo aver conseguito tra il 1782 e il 1783 il suddiaconato e il diaconato, il 14 giugno 1783 fu ordinato sacerdote.

Nell’agosto 1790 papa Pio VI gli affidò l’incarico di pronunziare nella cappella Paolina del Quirinale l’orazione in morte dell’imperatore d’Austria Giuseppe II che tanti problemi aveva provocato alla Chiesa con il suo giurisdizionalismo. Nel 1816 papa Pio VII lo elevò al cardinalato, destinandolo alla diocesi di Senigallia. Afflitto dalle sue croniche infermità, il neoporporato non raggiunse mai la sua sede vescovile e già a settembre annunziava la propria decisione di farsi da parte (ma dovette aspettare quasi due anni perché fosse designato il suo successore).

Almeno in parte ristabilito, ebbe come cardinale il titolo della basilica di Santa Maria in Trastevere ed assunse le cariche di prefetto della Sacra Congregazione dell’Immunità Ecclesiastica (9 maggio 1820) e di cardinale vicario (12 maggio 1820). Ma nel 1823 morì papa Pio VII ed il conclave, che si aprì, si rivelò il luogo in cui si scontravano da una parte l’esigenza francese di avere un papa sicuramente ostile all’Austria e, se possibile, moderatamente riformatore; dall’altra la preoccupazione austriaca di portare al trono un candidato di sicura fede legittimistica, allineato sui principi della Santa Alleanza e come tale disposto anche a sacrificare parte dell'indipendenza della Chiesa.

Questa contrapposizione, mentre confermava il ruolo d’interdizione del ‘partito delle corti’, minacciava di bloccare l’esito delle votazioni su uno stallo dal quale si sarebbe potuto uscire con un'unica soluzione: quella di un candidato di passaggio e con una non lunga prospettiva di vita, la cui elezione avrebbe consentito di prendere tempo in attesa che si risolvessero le diatribe delle potenze.

I turni iniziali delle votazioni del Conclave videro un ‘testa a testa’ tra il card. Severoli, ex nunzio a Vienna, zelante ma poco gradito all’Austria, ed il card. Castiglioni, considerato sostenitore del riformismo ‘consalviano’, il quale era gradito alla Francia anche per la sua natura incline alla moderazione. Nessuno dei due raggiunse il numero di voti che occorrevano per essere eletti, perché la forza di tutti gli schieramenti in campo stava nell’impedire l’elezione del candidato avverso, ma non nel far vincere il proprio. Per questo fu proposto il nome del card. Della Genga, che scelse il nome di Leone XII, divenuto papa il 28 settembre 1823.

A 200 anni dall’elezione a papa abbiamo chiesto alla prof.ssa Ilaria Fiumi Sermattei, docente di ‘Storia e Beni culturali della Chiesa’ alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, di raccontare quanto è stata importante per la Chiesa l’elezione a papa di Leone XII: “L’elezione al soglio pontificio di Leone XII, al secolo Annibale della Genga, che regnò dal 1823 al 1829, giunse in un momento cruciale della storia della Chiesa. I pontificati che lo precedettero, quello di Pio VI Braschi, l’ultimo papa dell’Antico Regime morto prigioniero nella Francia rivoluzionaria, e quello di Pio VII Chiaramonti, durato oltre 20 anni tra l’età napoleonica e il Congresso di Vienna, furono segnati da guerre, occupazioni e prigionie.

Si può dire che l’avvento di papa Leone XII chiuse un’epoca tormentata, e che la sua elezione fu percepita, ed auspicata, dall’opinione pubblica come una svolta nella direzione di una necessaria stabilizzazione e della ricerca della difficile ricomposizione delle novità napoleoniche con la tradizione del passato. Nell’età della Restaurazione la Chiesa si appresta a confrontarsi con le tensioni e le contraddizioni dell’età moderna, che pervade ogni aspetto della società umana, nella piena consapevolezza che nulla potrà più essere come prima della rivoluzione, e che occorre elaborare nuove risposte per le sfide dei tempi moderni”.

Come preparò il Giubileo del 1825?

La celebrazione del Giubileo del 1825 fu preparata con grande cura, come occasione per ‘risacralizzare’ la città di Roma dopo le burrascose vicende rivoluzionarie di inizio secolo. Sin dall’anno precedente furono organizzate le pubbliche prediche, o ‘missioni’, nelle principali piazze romane, affidate ai più valenti predicatori del tempo e destinate al popolo di Roma. Si voleva infatti che il Giubileo non fosse rivolto solo ai pellegrini stranieri ma in primo luogo ai cittadini romani. Fu verificato lo stato delle chiese, dei monasteri e dei conventi, esaminandone gli aspetti materiali per programmare i restauri, ma anche la tenuta spirituale e l’osservanza delle regole da parte delle congregazioni religiose. Fu organizzata l’accoglienza degli stranieri nell’Arciconfraternita dei Pellegrini, coinvolgendo ogni classe sociale nel servizio ai pellegrini poveri”.

Per quale motivo emanò la costituzione apostolica 'Super universam'?

“Sin da quando, ancora cardinale, era vicario di papa Pio VII, Annibale della Genga aveva elaborato un piano di riforma delle parrocchie di Roma, avendo verificato come la struttura vigente non fosse più adeguata al mutato quadro sociale dell’Urbe. Eletto papa, egli riprende quella proposta di riforma, e la mette in atto con la costituzione apostolica ‘Super universam’. Sopprime alcune parrocchie, ne istituisce di nuove, per consolidare quel ruolo di preminenza religiosa che è ora affidato alla città rispetto ad altre valenze temporali e mondane. E’ proprio mediante questa riforma che Roma è rilanciata come ‘città santa’ nel clima di intenso risveglio religioso che caratterizza l’età del Romanticismo”.

Quanto furono importanti le riforme di papa Leone XII?

“Il pontificato di papa Leone XII, e, più in generale, il governo papale nei primi decenni del XIX secolo, sono segnati da una vera e propria ansia riformistica. Se da un lato, proprio questa continua sollecitazione finì per inficiarne inesorabilmente gli esiti (tanto che all’epoca il popolo mormorava ‘ordini, contrordini e disordini’!) pure in questa spiccata attitudine riformatrice si coglie una ottimistica volontà di incidere nella realtà migliorandola”.

Quale ‘posto’ occupavano i poveri nella politica di papa Leone XII?

“La propensione verso i poveri da parte di papa Leone XII è rivelata da uno dei suoi primi atti appena eletto, e cioè il ripristino della tavola dei pellegrini, un’antica consuetudine tradizionalmente riferita a papa Gregorio Magno, ma abbandonata a seguito dell’occupazione francese di Roma. Si trattava di un pranzo offerto ogni giorno ai poveri dal papa che serviva personalmente i suoi ospiti indossando lo ‘zinale’, o grembiule. Questa cerimonia, di grande impatto comunicativo e pregnanza simbolica, mirava anche a funzionare da modello esemplare per le classi dominanti, sollecitando alla pratica della carità e del servizio nei confronti dei soggetti più deboli”.

 

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