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Un servizio di EWTN News

Dopo Papa Francesco in Mongolia, l’impegno di Salesiani e Caritas

Papa Francesco inaugura la "Casa di Misericordia" di Ulaanbatar, 4 settembre 2023

I Salesiani sono arrivati in Mongolia nel 2001, hanno portato diverse iniziative, fondato scuole, centri giovani con un gruppo di missionari provenienti da ogni parte del mondo. La Caritas Mongolia è invece guidata da una dinamica suora kenyana, Anne Waturu, arrivata nel Paese sette anni fa. Sono i due volti della carità della Chiesa mongola, esaltata da Papa Francesco nel suo discorso di inaugurazione alla “Casa di Misericordia”, l’ultima grande opera della Chiesa locale.

Di che tipo di carità c’è bisogno in Mongolia? Suor Waturu spiega ad ACI Stampa che in sette anni è cambiata la povertà, “sebbene la povertà che vedi in Mongolia può essere differente da quella che vedi altrove”.

E un esempio è dato dalla ger, le tende dei nomadi, dove c’è tutto quello di cui c’è bisogno per vivere confortevoli, ma “non ci sono i soldi per portare i bambini a scuola”, anche perché con le temperature che scendono, comprare carbone e legna per scaldarsi può essere troppo costoso.

Da qui, l’emigrazione per mandare soldi a casa. Con il COVID però, spiega Suor Waturu, “molte persone sono tornate perché stavano perdendo il lavoro. Unica risorsa è ora il turismo, ma non c’è molto da fare di inverno, e e il gap tra ricchi e poveri cresce di più”.

La Caritas lavora in Mongolia dal 1999, anche se poi ha avuto un riconoscimento ufficiale solo dal 2010. La maggior parte dei progetti si trovano in Ulaanbatar. Vengono distribuiti cibo e abiti alle famiglie che ne hanno bisogno, e anche un tetto, perché i poveri “quando è freddo e vivono nelle ger arrivano a bruciare qualunque cosa pur di dormire e si ritrovano con il non avere nulla da mangiare”.

In generale, ci sono diversi progetti, a partire dai progetti di daycare. “Quando le persone vengono dalla campagna e trovano lavori saltuari, poi hanno il problema di trovare le persone con cui lasciare i bambini, che non hanno ancora l’età di andare a scuola. Così portano i bambini al nostro centro e ci prendiamo cura di loro”.

I salesiani invece arrivarono in Mongolia nel 2001, inviati dal vescovo Padilla perché la nazione si stava cominciando a sviluppare, ma c’era molto da fare ancora, c’erano molti giovani che venivano dalla campagna senza alcuna conoscenza o abilità, e allora diventava molto difficile per loro vivere nella città e anche tenere il passo con le pressioni governative.

Padre Leung, che proviene a Hong Kong, ha detto che “la nostra prima risposta fu di dare il via al centro vocazionale. Quindi, abbiamo presto stabilito il ‘Centro Ragazzi’, per i ragazzi di strada che venivano dalla campagna oppure erano abbandonati dalla loro famiglia. Questi ragazzi spesso, durante l’inverno, di riuniscono e nascondono dietro tubi per il riscaldamento, in situazioni di grande pericolo. Li cerchiamo insieme a degli operatori sociali, diamo loro del cibo, delle bevande calde e li invitiamo a passare del tempo nel nostro Centro Ragazzi”.

Da Ulaanbatar, i salesiani hanno anche espanso le attività verso Darkhaan, la seconda città della Mongolia, dove hanno invece stabilito un centro studi. “Attraverso questi centri – racconta padre Leung – abbiamo cominciato ad evangelizzare le persone in Mongolia. Così abbiamo stabilito una parrocchia. È stato il secondo passo del nostro impegno di evangelizzazione”.

Infine, il vescovo Padilla ha chiesto di cominciare un’altra opera in un piccolo villaggio a Shuwuu.  

“In questo momento – racconta padre Leung – abbiamo tre centri principali: uno in Ulaanbatar con la scuola vocazione e il centro ragazzi, uno nel Nord, a Darkham, con il centro studi e la parrocchia, e un altro a Shuwuu, con una parrocchia e un centro studi”.

La comunità salesiana in Mongolia è molto internazionale. I missionari provengono da Hong Kong, Corea, Repubblica Ceca, Polonia, Timor Est, Indonesia, Guatemala. Tutti i missionari sono inviati dal Rettore Maggiore. I salesiani ci tengono che la comunità internazionale.

Padre Leung ha detto anche delle difficoltà avute inizialmente con il governo, specialmente nell’avere dei permessi. Lui proviene da Hong Kong, e ha detto che la situazione comunque “non è la stessa che si trova in Cina”, ma tuttavia “può sentire qualcosa di simile, perché all’inizio della missione il governo non comprendeva cosa fosse la Chiesa cattolica. Specialmente in Mongolia, con così tanti cristiani, non distinguevano nemmeno quale fosse la Chiesa cattolica e cosa fosse parte della stessa chiesa o di altre confessioni cristiane. Ma non posso dire che il governo ci abbia causato molti problemi o abbia messo a rischio la nostra missione. Hanno i loro regolamenti. Sappiamo che la Mongolia era una nazione comunista, e lì rimanevano molte restrizioni alle religioni che non sono morte insieme nel momento in cui il Paese si è aperto”.

La verità è piuttosto che fu il governo a invitare i cattolici. Certo, la visita di Papa Francesco, spiega padre Leung, è un grande aiuto, perché permette finalmente alla Chiesa Cattolica di essere riconosciuta e compresa. “Ad esempio – dice padre Leung – quando il Papa ha annunciato che sarebbe venuto, molti ci hanno aiutato a preparare. È stato un grande possibile impatto sulla società”.

Tra le sfide più grandi, c’è quella di conoscere “la mentalità del popolo nomade” e anche la loro “mentalità del matrimonio”. Padre Leung, che è in Mongolia dal 2006, ha sottolineato che “lavorando nel centro città, ha visto molti problemi. E sono sicuro che, se saremo in grado di affrontare i problemi famigliari, la società cambierà”. Uno dei grandi problemi famigliari è anche l’attitudine al consumo di alcolici. Ma “ci vuole tempo, si deve cambiare un sistema di valori. Non è facile”.

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