Markowa, 01 September, 2023 / 4:00 PM
24 marzo 1944. In un villaggio della Polonia, Markowa, viene sterminata un’intera famiglia: Józef e Wiktoria, con i loro bambini Stasia, Basia, Władziu, Franio, Antoś, Marysia e un piccolo sul punto di nascere. Nello spazio di poche ore, forse anche meno, un’intera, dunque una numerosa famiglia - nove persone - viene sterminata. Sono sempre stati poveri, ma hanno vissuto dignitosamente e, nei limiti delle difficoltà e delle angosce imposta dai tempi cupi in cui hanno vissuto, anche felicemente. E poi destinati ad una morte orribile. Perché “colpevoli”, secondo i criminali nazisti, di avere nascosto nella loro casa otto persone di origine ebraica, delle famiglie Goldman, Grünfeld e Didner, uccisi con loro lo stesso giorno. Questo accade nella Polonia occupata dai tedeschi. Gli Ulma hanno deciso di aiutare dei perseguitati e questo appunto costituisce un crimine da pagare con torture e con la vita stessa. Avere pietà, provare compassione, fare agli altri quello che si vorrebbe fosse fatto a noi, ora è un delitto e la punizione inesorabile. Ma la stoia della famiglia Ulma, di queste nove persone inghiottite del buio inferno che a volte si apre nello svolgersi della Storia, non è finita così, nella morte e nell’oblio. Come un seme piantato nella terra, ha germinato nel tempo e ha dato frutti. Tutti loro sono stati proclamati “Giusti tra le nazioni”, che è l’onore più grande che lo Stato d’Israele concede ai non ebrei, e Beati per la Chiesa cattolica. Sono stati riconosciuti tutti “martiri”. Un gesto compiuto per amore, il loro, che gli ha guadagnato il soprannome di “samaritani di Markowa”. Per loro, del resto, la parabola del Buon Samaritano era lettera viva, quotidiana, da farsi carne e sangue. Nel loro paese si trovavano molte famiglie ebree e diverse famiglie di cattolici decisero di nasconderle, come fecero anche Josef e Wiktoria.
Il 10 settembre, come stabilito da Papa Francesco, la Chiesa proclama martiri e beati i 9 componenti della famiglia Ulma. «L’esempio di questa famiglia eroica che ha sacrificato la propria vita pur di salvare i perseguitati ebrei», ha detto Francesco nell’ultima udienza in Piazza San Pietro, «vi aiuti a comprendere che la santità e i gesti eroici si raggiungono attraverso la fedeltà nelle piccole cose quotidiane». Mai prima d’ora la Chiesa aveva elevato alla gloria degli altari in un’unica cerimonia un’intera famiglia.
La storia degli Ulma è raccontata nel volume Uccisero anche i bambini (pp. 152, euro 15), per le edizioni Ares, appena disponibile nelle librerie. È il frutto di un’accurata inchiesta giornalistica compiuta dalla vaticanista Manuela Tulli insieme con Pawel Rytel-Adrianik, responsabile della sezione polacca di Vatican News e di Radio Vaticana. Il libro si sviluppa sui luoghi in cui la famiglia Ulma ha vissuto e attinge alle fonti del processo di beatificazione. Due autorevoli contributi del cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero per le Cause dei Santi, e di monsignor Stanisław Gądecki, presidente della Conferenza episcopale polacca, introducono alla lettura.
Perché gli Ulma hanno preso quella fatale decisione? E’ giusto che due genitori facciano in coscienza una scelta del genere, mettere in pericolo la propria vita e quella di tutti i loro figli? Non è, in fondo, anche questa una pericolosa follia? Potrebbe esserlo, agli occhi di chi misura l’esistenza secondo principi come la tranquillità, il quieto vivere, il benessere personale. Chi vuole salvare la propria vita la perderà, dice il Vangelo. E la famiglia lo conferma totalmente.
Del resto, il cardinale Semeraro spiega bene che “il martirio non è mai scelto, il martirio è sempre subito, come violenza per l’amore di Dio. Un’antica formula dice che quello che rende tale il martire è l’uccisione in odio della fede”. Ma può un bambino così piccolo avere consapevolezza di quanto stanno facendo, della possibilità di perdere la vita per aiutare qualcuno? “Erano cristiani e sono stati uccisi perché una famiglia, solidalmente, ha esercitato un atto di carità. Tutti e nove gli Ulma erano cristiani: è quella dimensione comunitaria della santità che è proprio peculiare di questo caso”, considera il cardinale.
Un capitolo a parte, ancora più commovente e cruciale, si potrebbe dire, in una storia che non può non colpire, lasciare indifferenti, è rappresentato dal settimo bambino degli Ulma, che al momento dell’eccidio non era ancora nato. Una questione molto sensibile, che nel corso della causa di beatificazione è stato sottoposto a una e scrupolosa analisi. A cominciare dalle testimonianze, ovviamente. Tutti coloro che dovettero scavare una fossa comune per le vittime confermarono che Wiktoria quando morì era incinta. Qualche giorno dopo i parenti degli Ulma – correndo un grosso rischio a loro volta- decisero di riesumare i corpi per metterli almeno nelle bare. Fu in questa occasione si constatò che il nascituro dopo l’eccidio era parzialmente uscito dalla madre. Dunque il bimbo era nato dalla mamma morente, senza poter sopravvivere. E’ un caso di “Battesimo del sangue”, quello versato da sua mamma uccisa in odio alla fede. Orrore su orrore, ma senza che l’orrore possa aver vinto, senza che quell’odio furibondo abbia potuto distruggere la forza dell’amore.
Manuela Tulli e Pawel Rytel-Adrianik, Uccisero anche i bambini, Ares Edizioni, pp.152, euro 15
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