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Un servizio di EWTN News

La guerra in Sudan raccontata dalle ‘Missioni Don Bosco’

“Quando due elefanti litigano tutta l’erba viene calpestata: dice un proverbio africano. Nel caso del Sudan i due elefanti sono i due generali al-Burhan e Dagalo e l’erba è l’intero Sudan. ‘I due cretini’ sospira Walid Ahmed, che sta seduto su un letto, guarda in basso, con una mano si tiene la fronte e con l’altra stringe il polso di sua moglie. Quel giorno al mercato del Darfur è andato a fuoco quasi l’intero raccolto di un territorio grande quanto la Francia… Non è una ‘guerra civile’ poiché non nasce da contrapposizioni ideologiche o da contrasti etnici nel popolo sudanese, ma è una violenza che si è scatenata quando il capo delle forze speciali si è reso conto di poter aumentare il suo potere a Karthoum anche a prezzo del sangue”.

Così inizia l’articolo ‘Martirio Sudan’, apparso sul numero luglio/agosto del ‘Bollettino Salesiano’, curato da Antonio Labanca, addetto stampa di ‘Missioni don Bosco’ che descrive la situazione del Paese africano dove dal 15 aprile scorso si combatte una guerra fratricida. E ribadisce con le parole del direttore della Casa di Karthoum che i figli di don Bosco vogliono ‘continuare a fornire aiuto materiale e spirituale a ogni persona’.

Fa eco l’appello di ‘Missioni Don Bosco’ per la raccolta di aiuti per questa emergenza: “Il Sudan, sconvolto da diverse guerre da decenni, tra queste il conflitto in Darfur nel 2003 e la conseguente devastante crisi umanitaria, si trova in una regione molto instabile: molti Paesi vicini hanno subito importanti sconvolgimenti politici e conflitti, e questo continua a causare milioni di profughi in tutta quell’area”.

La voce, raccolta dal giornalista, che proviene dal teatro di guerra è quella di p. Mathew Job, direttore della comunità salesiana della città di Al Ubayyid (El Obeid), nel sud ovest del Paese, che chiede al mondo di parlare di quanto accade poiché questo ‘non è il momento del silenzio’. Però, nonostante tutto, i missionari hanno deciso di restare a Karthum e a El-Obeid fino a che le condizioni politico-militari lo consentono.

Lì sono apprezzati per la loro capacità di formare i giovani ai lavori dei quali il Sudan ha necessità per perseguire lo sviluppo economico. Alle due scuole professionali - la cui presenza risale a più di 40 anni fa - accedono anche i figli di famiglie musulmane, in un rispetto reciproco del quale sono consapevoli garanti le istituzioni pubbliche del Paese, caratterizzato da una progressiva presa di fiducia reciproca.

Labanca sottolinea che la battaglia fra i due centri di potere sudanesi, la Presidenza della repubblica e la Vice presidenza, iniziata nella primavera, sembrava potersi risolvere con la presa del potere assoluto da parte del più forte. Sono coinvolti due eserciti contrapposti, quello regolare del generale Abdel Fattah al-Burhan e quello mercenario (Rapid Support Forces) di Mohamed Hamdan Dagalo, suo vice: “E’ una guerra molto feroce, scaturita non da differenti visioni sulla politica per il Paese o da rivalità etniche strumentalizzate ad hoc, ma dalla sfida personale fra i due uomini e i loro sostenitori”.

A distanza di quattro mesi i combattimenti continuano, fra la popolazione si sono registrati circa 1.500 morti, di cui 435 bambini, e 7.000 feriti, di cui 2.025 bambini, secondo i dati forniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: “La gente rimane indifesa a sostenere la carenza di cibo e di mezzi per sopravvivere, più di 2.000.000 sono gli abitanti che hanno dovuto scegliere la via della fuga, 1.300.000 già nel primo mese. Una catastrofe umanitaria si profila all’orizzonte, capace di riversarsi nei territori confinanti di Egitto, Eritrea, Etiopia, Sud Sudan, Ciad, Repubblica centrafricana”.

Sono questi i Paesi di destinazione, ognuno scelto in base alla vicinanza ma anche alla speranza di trovare accoglienza. Sono masse che incrementano il totale spaventoso di profughi in Africa, il continente in cui anche per ragioni climatiche si stanno manifestando le più consistenti migrazioni di tutti i tempi”, hanno sottolineato i salesiani.

Le potenze internazionali sembrano aver scelto la strada della non intromissione, dichiarata di fatto con il richiamo in patria di tutti i funzionari operanti in Sudan e dal disinteresse manifestato dai grandi media. Chi è rimasto, ha osservato ‘Missioni Don Bosco’, riporta “diversi casi di violenza brutale, saccheggi, uccisioni indiscriminate e stupri. La situazione è terribile, milioni di persone non hanno accesso a cibo, acqua, riparo e cure mediche. Secondo le Nazioni Unite un terzo della popolazione sudanese ha bisogno di aiuti umanitari”.

Padre Job, testimone con i suoi confratelli, ha precisato che “l’epicentro delle violenze è stata la capitale; ma anche le città limitrofe di Omdurman e di Bahari sono state duramente colpite fin dall’inizio della guerra. Una delle comunità religiose femminili e una scuola cristiana sono state occupate da una delle parti”. La popolazione ha cercato le vie di fuga, ma l’aeroporto è stato presto occupato dagli insorti: “Gli sforzi di evacuazione dei civili si sono presto interrotti e così molti hanno tentato di raggiungere la città di Kosti per attraversare la frontiera con il Sud Sudan”, ha spiegato il missionario.

Da Valdocco ricordano che i salesiani hanno tre presenze in Sudan: St. Joseph VTC a Khartoum, St. Joseph a Kalakala e Don Bosco VTC a El Obeid. Si occupano di aiuto e di sostegno alla popolazione più povera e vulnerabile: gestiscono scuole primarie, secondarie ed istituti di formazione professionale.

Negli ultimi mesi sono stati costretti ad abbandonare la scuola tecnica San Giuseppe a causa dell’avanzata dei paramilitari e dell’insicurezza della zona. “Non escludiamo che possano evacuare temporaneamente dal Paese perché la situazione peggiora di ora in ora” è scritto nell’appello di ‘Missioni Don Bosco’. Gli aiuti sono diretti a “distribuire beni di prima necessità alle persone più colpite dal conflitto e agli sfollati nei Paesi adiacenti (Sud Sudan e Ciad): donne, bambini, anziani e persone con disabilità, oltre a coloro che soffrono di grave malnutrizione. E’ per questo che i missionari chiedono aiuto urgente”.

E nell’articolo, Antonio Labanca ha descritto la situazione a quattro mesi dall’inizio del conflitto: “La carenza di cibo, acqua, medicine, elettricità e carburante sta diventando sempre più grave. Molte persone non hanno accesso ai contanti e il sistema bancario è in gran parte paralizzato. Un comitato medico locale ha riferito che il 70% degli ospedali generali di Khartoum e degli Stati vicini ha dovuto interrompere le operazioni da quando è scoppiato il conflitto, mentre il resto offre servizi di base. E spostarsi in alcuni quartieri, soprattutto quelli più colpiti dagli scontri, è molto rischioso e richiede un’attenta pianificazione. Distribuiscono cibo, acqua e altri beni di prima necessità come latte artificiale, insulina e forniture di pronto soccorso a centinaia di famiglie”.

Per chi volesse sostenere la  missione salesiana in Sudan ecco il link.

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