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Un servizio di EWTN News

Processo Palazzo di Londra, chiesti 7 anni e 3 mesi per il Cardinale Becciu

Una udienza del processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato

Ora spetterà al presidente del Tribunale Giuseppe Pignatone tirare fuori il bandolo della matassa del processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato. Dopo cinque giorni di requisitoria dai toni durissimi, che a volte hanno persino rasentato l’offesa personale nei confronti personali, con giudizi taglienti e netti, il promotore di Giustizia Alessandro Diddi ha fatto le sue richieste di condanna. Ha detto che si è tenuto sempre nel limite più basso di quello consentito dalla legge, tranne che in un caso: quello che riguarda il Cardinale Angelo Becciu. Perché Becciu, alla fine – è il ragionamento di Diddi – non ha mai mostrato segni di rincrescimento, anzi è voluto andare persino allo scontro frontale con la magistratura, negando ogni accusa, e “legandosi il cappio al collo da solo”. E così, per il Cardinale Becciu vengono chiesti 7 anni e 3 mesi di reclusione, l’interdizione dei pubblici uffici, e gli viene anche comminata una multa di 10329 euro, mentre il presunto procurato danno alla Segreteria di Stato gli porta una richiesta di confisca di 14 milioni.

Sembrerà strano, ma non è la richiesta di condanna più alta. E sembrerà ancora più strano, ma la richiesta di condanna più alta è nei confronti di un officiale della sezione amministrativa della Segreteria di Stato, Fabrizio Tirabassi, per il quale gli anni di reclusione richiesti sono addirittura 13. Vero è che un officiale di Segreteria di Stato non può fare nulla senza l’autorizzazione dei superiori. Secondo Diddi, però, il lavoro di Tirabassi lo portava anche a maturare degli interessi personali.

In totale, il promotore ha fatto richieste di confisca per 417,699 milioni di euro, mentre sono stati chiesti 73 anni e un mese di reclusione complessivi.

Il processo

Come sempre, vale la pena prima di tutto guardare al processo e a cosa riguarda. Ci sono tre filoni di indagine principali.

Il primo: l’investimento, da parte della Segreteria di Stato, nelle quote di un palazzo di lusso a Londra. Dopo aver deciso di non dare seguito alla possibilità di partecipare ad una piattaforma petrolifere in Angola, la Segreteria di Stato diede in gestione al broker Raffaele Mincione un fondo utilizzato per comprare le quote di un palazzo da sviluppare. Poi, diede le stesse quote in gestione al broker Gianluigi Torzi, che mantenne per sé le uniche azioni con diritto di voto, e di conseguenza il controllo del palazzo. Infine, rilevò l’intero palazzo, che è stato recentemente rivenduto.

Il secondo filone: il contributo dato dalla Segreteria di Stato alla Caritas di Ozieri per lo sviluppo di un progetto della cooperativa SPES, presieduta dal fratello del Cardinale Becciu. L’accusa, nei confronti di Becciu, è quella di peculato.
Il terzo filone riguarda la sedicente esperta di geopolitica Cecilia Marogna, ingaggiata dalla Segreteria di Stato, che avrebbe utilizzato denaro a lei erogato per delle presunte operazioni di salvataggio per fini personali.

Le richieste di condanna

Prima di addentrarsi nelle richieste di condanna, il promotore di Giustizia Diddi ha spiegato la ratio che lo ha portato a fare delle richieste. Ci sono due assoluzioni, per reati minori, di Crasso e di Bruelhart, perché non sussiste interesse privato in atto di ufficio.

Per il resto, l’accusa conferma tutto il suo impianto accusatorio, dice di essersi mantenuto in una forchetta bassa anche per quanto riguarda richieste di condanna eccetto che per il Cardinale Becciu, sottolinea che la nuova legge fondamentale prevede anche la riabilitazione.

Ma per Diddi la considerazione principale è che “nonostante ci siamo molti reati contro il patrimonio, per danni piuttosto consistenti quantificati ed elaborati dalle parti civili, nessuno ha avanzo una offerta di risarcimento del danno, e non stiamo parlando di persone disagiate o non abbienti. Ci sono sequestri di milioni di euro, sono persone che hanno dimostrato di avere grandissime disponibilità”. E lamenta che questo dimostra una non volontà conciliatoria, tanto che il Cardinale Becciu “in questo processo ha fatto tutto fuorché cercare una conciliazione delle parti”.

Le pene richieste

Si arriva così alle pene richieste. Oltre ai 7 anni e 3 mesi, per Becciu è richiesta anche l’interdizione dai pubblici uffici, nonché il pagamento di 10329 euro di Multa. Per René Bruelhart, già presidente dell’Autorità di Informazione Finanziaria, si chiedono 3 anni e 8 mesi di reclusione, interdizione temporanea dai pubblici uffici, il pagamento di 10329 euro di multa.

Per monsignor Mauro Carlino, che era segretario del sostituto al tempo dell’operazione, vengono chiesti 5 anni e 4 mesi di reclusione, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, 8 mila euro di multa.

Enrico Crasso, che era il gestore delle finanze della Segreteria di Stato attraverso Credit Suisse, dovrebbe scontare, secondo l’accusa 9 anni e 9 mesi di reclusione, pagare 18 mila euro di multa ed essere perpetuamente interdetto dai pubblici uffici.

Per Tommaso Di Ruzza, direttore dell’Autorità di Informazione Finanziaria, vengono chiesti 4 anni e 3 mesi di reclusione, l’interdizione temporanea dai pubblici uffici e 9600 euro di multa. Su Cecilia Marogna, 4 anni e 8 mesi di reclusione, interdizione perpetua dai pubblici uffici e 10329 euro di multa. Per il broker Raffaele Mincione sono chiesti 11 anni e 5 mesi di reclusione, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e 15450 euro di multa.

E ancora, per l’officiale di Segreteria di Stato Fabrizio Tirabassi sono richiesti 13 anni e 3 mesi di reclusione, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, 18750 euro di multa. Per l’avvocato Nicola Squillace, che reclamava di aver agito per conto della Segreteria di Stato, 6 anni di reclusione, la sospensione dall’esercizio della professione e 12500 euro di multa. Per il broker Gianluigi Torzi, 7 anni e 6 mesi di reclusione, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e 9 mila euro di multa.

E poi ci sono le società: la Logsic di Cecilia Marogna dovrebbe, secondo le richieste dell’accusa, essere sanzionata di 150 mila euro, ricevere tre anni di divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, essere confiscata di 174210 euro.

Quindi, le tre società riconducibili ad Enrico Crasso: la sanzione per la Prestige Family Office di 150 mila euro, con confisca di 902,585,51 franchi svizzeri; lo stesso per la Sogenel Capital Investment, cui però dovrebbero essere confiscati 308.547 euro; e lo stesso per HP Finance. Per tutti è richiesta l’interdizione dai pubblici uffici.

La requisitoria

Le richieste arrivano al termine di una seconda tranche di requisitoria del promotore di Giustizia Alessandro Diddi, che in questi tre giorni si è concentrato sul Cardinale Becciu, su monsignor Mauro Carlino e in parte sulla vicenda dell’Autorità di Informazione Finanziaria.

È una requisitoria in cui si possono notare diversi “mutamenti di genere”. Così Crasso viene parificato ad un officiale di Stato (ma è un consulente), Becciu viene descritto come una “controfigura dell’amministratore apostolico e controfigura dell’amministratore delle cooperative” per un presunto ruolo occulto nella gestione SPES e negli affari della diocesi (ma è tutto da dimostrare), per Carlino viene delineato una sorta di concorso nell’estorsione di Torzi (ma non si sa dove sia il vantaggio personale), le fees, le provvigioni, sono descritte come tangenti (ma ci sarebbero stati dei contratti da rispettare).

Secondo il promotore di Giustizia, l’impianto accusatorio ha retto, e lo dimostra il fatto che non vengono considerate in alcun modo molte delle testimonianze, anzi addirittura si arriva a dire che queste testimonianze sono false. Tanto che, alla fine, fa persino minacciosamente sapere che per monsignor Carlino si potrebbe aprire un fascicolo per calunnia, perché è vero che un imputato può mentire per difendersi in interrogatorio, ma non può calunniare. E, secondo Diddi, con la sua testimonianza Carlino avrebbe calunniato sia il sostituto, l’arcivescovo Pena Parra, sia il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato.

Eppure, l’arcivescovo Pena Parra aveva difeso l’operato dei suoi sottoposti in interrogatorio, confermando un memoriale clamoroso che metteva persino in luce quello che lui definiva un “metodo Perlasca”, il capo dell’ufficio amministrativo della Segreteria di Stato. Ma Perlasca viene difeso a spada tratta da Diddi. Perché è vero che, nel caso dell’affare di Londra, Perlasca avrebbe firmato un contratto senza l’autorizzazione del sostituto. Ma è altrettanto vero che Perlasca ha avuto il coraggio di disubbidire, di parlare con i magistrati, aveva fatto pressioni per denunciare Torzi dopo che si era reso conto che il contratto era in perdita, aveva persino contestato il trasferimento di soldi alla Marogna per il presunto pagamento di un riscatto per liberare suor Cecilia Narvaez, rapita in Mali nel 2017. Insomma, Perlasca si è ribellato al sistema, ha mostrato di essere onesto.

(La storia continua sotto)

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E invece Carlino ha ubbidito, è stato leale, ma allo stesso modo – è la tesi di Diddi – era addirittura complice in quella che lui chiama una “estorsione” operata da Torzi ai danni della Segreteria di Stato per restituire le mille azioni con diritto di voto.

Nel farlo, nega che ci fosse un negoziato – e in effetti aveva anche commentato in maniera brusca le risultanze del giudice inglese Baumgartner, che faceva sapere che tutto lasciava pensare che si stesse negoziando – e addirittura accusa una manipolazione nel momento in cui si fa entrare il Papa nella stanza delle trattative. C’è, il 26 dicembre 2018, una foto che ritrae il Papa insieme a Gialuigi Torzi, ed è confermato dal Tribunale che lo scopo della presenza di Torzi fosse la trattativa. Prima si è negato che il Papa sapesse, poi che il Papa fosse stato bene informato, ora si dice che è stato persino manipolato. Tra l’altro, in quella stanza dei negoziati c’era anche GM., presidente delle OSA, chiamato dal Papa, di cui è amico, a mediare sulla vicenda con Torzi, e descritto da Diddi come impegnato anche a collocare i suoi crediti sanitari – tra l’altro 6 milioni di questi finiranno in pancia agli investimenti della Segreteria di Stato. Questi., tuttavia, non è mai stato indagato né perseguito per nessun reato. 

Se Carlino, ubbidiente, è descritto un po’ come quello che perpetua un sistema quasi omertoso, il promotore di Giustizia ha una descrizione ancora più dura del Cardinale Becciu, che accusa senza mezzi termini di aver compiuto delle “porcherie”, di essere un “vile”, di aver fatto delle schifezze, persino di aver mantenuto “la ragazzina”, guardandosi bene però dal fare illazioni su una possibile violazione del celibato – lo specifica lui stesso – ma di fatto lasciando una scia di sospetto su quello che c’era.

Non solo. Il promotore di Giustizia arriva a configurare una sorta di influenza di tutta la famiglia Becciu sulla diocesi di Ozieri, basandosi sul fatto che il conto della Caritas era descritto come “presso SPES”, mettendo in luce come fosse la diocesi ad agire come il braccio della SPES e non viceversa – e lo fa riprendendo la testimonianza di monsignor Orru – e arrivando a descrivere una serie di pressioni sul vescovo di Ozieri Pintor perché lasci ai 75 anni, notando come le sue ultime nomine sono state annullate, e come ci sia stata pressione anche per cacciare delle suore di clausura che “non so che abbiano fatto, ma erano simpatiche a Pintor”.

Tutto, nella requisitoria di Diddi, viene letto come una grande manipolazione. Anche la firma di don Mario Curzu per l’apertura del conto presso SPES è considerata falsa, e così però c’è il rischio di non avere una lettura serena della vicenda.

Ma a Becciu, Diddi contesta soprattutto le lettere al Papa che gli chiedevano di dichiarare che sì, il Santo Padre era al corrente e aveva autorizzato le operazioni e che poi, alla risposta negativa del Papa, in una lettera infarcita di linguaggio giuridico, Becciu si sia permesso di obiettare che quella lettera sembrava aver preso solo le ipotesi accusatorie. Becciu poi telefonerà al Papa, registrandolo, e sarà questa registrazione, acquisita dalla procura di Sassari, ad essere definita la più grande “schifezza”, mentre la seconda è appunto data dalla presenza del Papa nella stanza delle trattative a Santa Marta.

E infine c’è la questione della fuga di notizie sull’accordo di Londra, comparse sull’Espresso. Il giornalista Emiliano Fittipaldi aveva negato fossero venute dall’Autorità di Informazione Finanziaria e dal direttore Tommaso Di Ruzza, anzi aveva detto che quando aveva fatto richieste non aveva mai ricevuto riscontri. E ha anzi prodotto le chat, mostrando che quell’accordo gli era stato mandato da Massinelli, un consulente di Mincione. Ma per Diddi questa non è una prova, non viene nemmeno menzionata, e addirittura si pone il dubbio che Massinelli possa aver avuto le carte.

Il sistema finanziario vaticano

Da una parte, l’accusa mostra di accogliere le riserve della Segreteria di Stato, che si è costituita parte civile e che lamenta che Mincione avrebbe dato le quote del Palazzo di Londra alla Segreteria di Stato incassando 100 milioni di sterline in più del prezzo cui l’aveva acquistato un anno e mezzo prima con un mutuo del 75 per cento del valore, senza però dirlo alla controparte vaticana. E poi, nel cedere le quote, si sarebbe fatto dare un addizionale 40 milioni, facendo lievitare il prezzo a 275 milioni di sterline. Il palazzo è stato poi rivenduto dal Vaticano a 186 milioni di sterline. E si lamenta che Mincione avrebbe usato i soldi investiti per fare le scalate a Banca Popolare di Milano e Cassa di Risparmio di Genova, anche in questo caso senza farlo sapere alla controparte.

Ma su questa ricostruzione sarà interessante leggere i contratti, comprendere anche come sta andando un processo parallelo intentato a Londra da Mincione contro la Segreteria di Stato, comprendere se davvero si possono quantificare i danni considerando che la Segreteria di Stato è uscita dall’accordo con Mincione a due anni dal lock up del contratto.

È stata, la Segreteria di Stato, un investitore affrettato? Sarà questo da valutare, come saranno da valutare gli accordi presi con Torzi, i contratti che hanno portato al pagamento di quello che Diddi chiama “estorsione”, che lo porta di conseguenza a definire gli accordi una “patacca”.

C’è da dire, però, che la finanza vaticana ha sempre diversificato, la Segreteria di Stato è sempre stata un fondo sovrano, e che gli investimenti immobiliari sono presenti sin dagli anni Trenta, come dimostra la vicenda Grolux, la società riconducibile alla Segreteria di Stato che possedeva vari immobili di pregio a Londra.

Anzi, il bilancio APSA di due anni fa presentava un investimento a Parigi in tutto e per tutto simile a quello del Palazzo di Londra.

Allora ci si deve chiedere se, di fatto, questo processo non metta in discussione proprio il sistema finanziario vaticano, la sovranità del suo organo di governo, lo stesso funzionamento dello Stato. In fondo, lo IOR ha rifiutato un anticipo istituzionale all’organo di governo, la Segreteria di Stato, ed è arrivata addirittura a denunciarla, mettendo a rischio la stessa istituzione.  

Ma per Diddi quella denuncia è stata un atto di onestà, anzi Diddi mette in luce che queste operazioni arrivano mentre in Vaticano, a partire dalla costituzione della COSEA, si è cominciata una operazione trasparenza. Eppure, i dati dicono che le speculazioni ad alto rischio sono cominciate ad essere attuate soprattutto nel 2014, e sono anche gli anni in cui il bilancio dello IOR comincia a decrescere, distaccandosi dalla gestione precedente che faceva 86,6 milioni di utili.

Se alcuni modus operandi potevano essere considerati troppo personalisti, allo stesso tempo il problema non era destrutturare il sistema, ma andare risolvere alcuni comportamenti. Ci troviamo invece di fronte ad una sorta di rivoluzione copernicana, che rischia di indebolire la Santa Sede.

Verso una conclusione?

Soprattutto, l’impianto dell’accusa è tutto da dimostrare. In molti casi, la dialettica di Diddi è arrivata a contestare una campagna contro lo stesso ufficio del Promotore, cosa di cui imputa soprattutto il Cardinale Becciu. Eppure, della mancanza di operatività dell’ufficio del promotore sui reati finanziari non si parlava solo a livello interno. C’era un rapporto cdel comitato MONEYVAL del Consiglio d’Europa del 2017  che  notava che “i risultati nella applicazione delle leggi e l’attività giudiziaria a due anni dall’ultimo rapporto restano modesti”, cosa messa in luce anche nell’ultimo rapporto sui progressi del 2021. In effetti, in questi anni c’è stata anche una dialettica dell’ufficio del promotore che si è difeso dalle accuse di non aver dato seguito alle segnalazioni, mostrando anche i passi avanti, come lo stabilimento di un ufficio per i reati finanziari.

Questo per dire che le criticità dell’ufficio erano note a livello internazionale. Mentre, a livello interno, MONEYVAL aveva chiesto che almeno uno dei promotori e dei giudici fosse full time, ma l’ultima riforma dell’ordinamento giudiziario vaticano ha permesso di nuovo che tutti i giudici e i promotori di giustizia siano part time. Questo, di certo, non aiuta l’indipendenza di uno Stato, che si trova con giudici e promotori che lavorano anche in altri ordinamenti.

Nel frattempo, si ha un processo che è diventato molto mediatico, con accuse e controparti, ma in cui è difficile a volte trovare vere configurazioni di reato. Durante la requisitoria, Diddi è arrivato a parlare di una “certezza morale” di un reato, e utilizzato il diritto canonico come base per le sue accuse. Diritto canonico sul quale si basava anche lo IOR per rifiutare l’anticipo alla Segreteria di Stato.

Ma questo è positivo per il sistema giudiziario della Santa Sede? Dà credibilità al micro-Stato? E, soprattutto, si possono definire dei reati sulla base di certezze morali, indizi e ricostruzioni, senza però certezze probatorie?

Sono le domande a cui dovrà rispondere anche il presidente Pignatone, dopo aver sentito parti civili e difese, che saranno chiamate a ricostruire i fatti e dimostrare se l’aggressività della requisitoria non si è attaccata a fatti concreti.

Di certo, in gioco non c’è più una questione personale, e nessuna piccola vendetta interna può giustificare il rischio che si ha per la stessa Santa Sede. La sentenza definirà anche questo. Intorno a Natale, dunque, si saprà in che modo la Città del Vaticano sarà quel tanto di corpo per dare sostegno all’anima della Santa Sede nel futuro.

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