Città del Vaticano , 15 July, 2023 / 3:00 PM
Papa Francesco decide, “per il maggior bene della diocesi”, di sanare l’irregolarità canonica che si era creata a Shanghai, quando lo scorso aprile le autorità cinesi avevano trasferito il vescovo Shen Bin da Haimen senza coinvolgere la Santa Sede, in quello che era il secondo “schiaffo” in poco tempo dato da Pechino alla Santa Sede. Ma la nomina viene accompagnata da una intervista a Vatican News del Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, che punta prima di tutto a notare che si tratta di una concessione, non certo della soluzione di un problema, e che anzi ci sono tre problemi che permangono nonostante l’accordo tra Cina e Santa Sede sulla nomina dei vescovi, e ribadisce l’intenzione di aprire un ufficio di collegamento in Cina per superare i problemi e entrare pienamente nello spirito dell’accordo.
Più che la nomina di Shen Bin, va ponderata appunto l’intervista del Cardinale Parolin, che subito nota come già un mese dopo il rinnovo dell’accordo provvisorio le autorità cinesi avevano installato il vescovo di Yujiang Giovanni Peng Weizhao come ausiliare della diocesi di Jainxi, diocesi “non riconosciuta dalla Santa Sede e senza che quest’ultima sia stata né consultata né informata”.
Quindi, la Santa Sede è stata informata della decisione di spostare Shen Bin a Shanghai, ma “ancora una volta non è stata coinvolta”.
Al tempo non c’erano stati commenti ufficiali, e il Cardinale Parolin spiega che “a decisione di prendere tempo prima di commentare pubblicamente il caso va attribuita alla necessità di valutare attentamente sia la situazione pastorale della Diocesi di Shanghai, che è riconosciuta dalla Santa Sede e che da troppo tempo era senza Vescovo, sia l’opportunità di trasferire Mons. Shen Bin, Pastore stimato. Ambedue i trasferimenti sono stati compiuti senza coinvolgimento della Santa Sede”.
Il cardinale Parolin denuncia che “questo modus procedendi pare non tenere conto dello spirito del dialogo e della collaborazione instauratisi tra la Parte vaticana e la Parte cinese negli anni e che ha trovato un punto di riferimento nell’Accordo”, e sono parole ponderate con cura, a testimoniare il totale disaccordo con quello che è successo. Allo stesso tempo, il Segretario di Stato vaticano nota che Papa ha “comunque deciso di sanare l’irregolarità canonica creatasi a Shanghai, in vista del maggior bene della Diocesi e del fruttuoso esercizio del ministero pastorale del Vescovo”, con una intenzione “fondamentalmente pastorale”, e ha l’obiettivo di permettere “a Mons. Shen Bin di operare con maggior serenità per promuovere l’evangelizzazione e favorire la comunione ecclesiale”.
Il cardinale aggiunge anche un messaggio sibillino a Shen Bin, asupicando che “egli possa, d’intesa con le Autorità, favorire una soluzione giusta e saggia di alcune altre questioni pendenti da tempo nella Diocesi, come - per esempio - la posizione dei due Vescovi ausiliari, S.E. Mons. Taddeo Ma Daqin, tuttora impedito, e S.E. Mons. Giuseppe Xing Wenzhi, ritirato”.
Non sono riferimenti a caso. La Santa Sede non aveva ancora nominato un successore del vescovo di Shanghai Aloysius Jin Luxian, morto nel 2013 mentre il suo ausiliare Thaddeus Ma Daqin, è agli arresti domiciliari dal 2012.
Il cardinale Parolin va anche oltre, ricordando che il testo dell’accordo è “riservato perché ancora non approvato in via definitiva”, segno che la Santa Sede ancora spera di migliorare l’accordo, come lo stesso cardinale sottolineò in una intervista ad ACI Stampa nell’aprile 2022.
Tuttavia, il Segretario di Stato nota che l’accordo “ruota attorno al principio fondamentale della consensualità delle decisioni che riguardano i Vescovi. Qualora si presentino situazioni che sembrano nuove e impreviste, si tratterà di cercare di risolverle in buona fede e con lungimiranza, rileggendo meglio quanto è scritto e ispirandosi ai principi che ne hanno guidato la stesura”.
Il Cardinale Parolin aggiunge che la Santa Sede sta cercando di “chiarire questo punto” con la controparte cinese. Anche in questo caso, non sono parole a caso. Già nel caso della nomina del vescovo Peng come ausiliare della diocesi non riconosciuta dalla Santa Sede di Jianxi, le autorità cinesi giocarono sul possibile equivoco che la strutturazione delle diocesi non era tema dell’accordo. Nel caso di Shen Bin, hanno invece fatto leva sul fatto che si trattasse di un trasferimento, e che alla fine Shen Bin era già stato nominato vescovo con il doppio accordo di Cina e Santa Sede. Ma tutti le nomine episcopali sono nomine pontificie, anche le assegnazioni delle diocesi. Non esiste un qualcosa come un trasferimento nel senso di un mero spostamento amministrativo.
Anche questo tema viene sviluppato dal Cardinale Parolin. Questi sottolinea che i trasferimenti non sono una anomalia canonica, ma rientrano nella “fisiologia del governo della Chiesa in tutto il mondo, quando, ovviamente, lo richiedono le necessità pastorali e, in ultima analisi, il bene delle anime. Anche in Cina, qualora non si trovi nella Diocesi vacante un candidato adatto, è utile cercarlo a raggio più largo”.
Ma se la Santa Sede non è contraria ai trasferimenti di vescovi, si rea un problema “qualora si procedesse in modo non consensuale” E il cardinale Parolin sottolinea che “l’applicazione corretta dell’Accordo consente di evitare tali difficoltà. È importante, perciò, direi anzi indispensabile, che tutte le nomine episcopali in Cina, compresi i trasferimenti, vengano fatte consensualmente, come pattuito, e mantenendo vivo lo spirito del dialogo tra le Parti”.
Infine, con un messaggio che sembra direttamente inviato alle controparti cinesi, il cardinale Parolin chiede di “prevenire insieme le situazioni disarmoniche che creano dissapori e incomprensioni anche all’interno delle comunità cattoliche e la buona applicazione dell’Accordo è uno dei mezzi per farlo, unitamente a un dialogo sincero”.
Infine, il Cardinale mette in luce i temi che hanno urgenza di essere trattati, a partire da tre: la Conferenza episcopale; la comunicazione dei Vescovi cinesi con il Papa; l’evangelizzazione.
Nel caso della Conferenza Episcopale, il Cardinale Parolin sottolinea che è necessario, al fine di avere maggiore responsabilità dei vescovi, “riconoscere quanto prima una Conferenza episcopale dotata di Statuti adeguati alla sua natura ecclesiale e alla sua missione pastorale”, stabilendo “una regolare comunicazione dei Vescovi cinesi con il Vescovo di Roma, indispensabile per una effettiva comunione, sapendo che tutto ciò appartiene alla struttura e alla dottrina della Chiesa cattolica, che le Autorità cinesi hanno sempre detto di non voler alterare”.
Il cardinale Parolin nota che “i troppi sospetti rallentano e ostacolano l’opera di evangelizzazione”, e afferma che “i cattolici cinesi, anche quelli definiti ‘clandestini’, meritano fiducia, perché vogliono sinceramente essere leali cittadini ed essere rispettati nella loro coscienza e nella loro fede”. Un cenno, nemmeno troppo velato, al fatto che dopo il primo accordo, le autorità cinesi quasi spingevano i cattolici di Cina a registrarsi all’Associazione Patriottica, l’organo governativo dei vescovi cinese. Insomma, perché Gesù possa “farsi cinese con i cinesi”, è necessario “superare la diffidenza verso il cattolicesimo, che non è una religione da considerarsi estranea - tanto meno contraria - alla cultura di quel grande popolo”.
Il Cardinale Parolin poi spiega che ha accettato di rilasciare l’intervista perché “i fedeli cattolici, non solo quelli in Cina, hanno il diritto di essere adeguatamente informati. Infatti, mi sono pervenute molte richieste al riguardo da parte di varie comunità ecclesiali e di persone sinceramente interessate al tema”.
E aggiunge che sì, ci sono ostacoli che “minano la fiducia e sottraggono energie positive”, ma per il cardinale “le ragioni del dialogo sembrano a me ancora più forti”, e “in effetti, il dialogo tra la Parte vaticana e la Parte cinese resta aperto e io credo che si tratta di un cammino in qualche modo obbligato. Che ci siano dei problemi è inevitabile, ma se tale dialogo cresce nella verità e nel rispetto reciproco, potrà risultare fecondo per la Chiesa e per la società cinese”.
Degno di nota il fatto che il Cardinale ribadisce l’intenzione di aprire “un ufficio stabile di collegamento della Santa Sede in Cina”, che “favorirebbe non solo il dialogo con le Autorità civili, ma contribuirebbe pure alla piena riconciliazione all’interno della Chiesa cinese e al suo cammino verso una desiderabile normalità”.
Ribadisce il Cardinale: “Il servizio, ispirato al Vangelo e non ad interessi economico-politici, che la Chiesa, proprio in quanto cattolica, rende ai popoli e al loro progresso umano, spirituale e materiale, è sotto gli occhi di tutti gli onesti osservatori”. . E conclude: “Abbiamo firmato un Accordo che può essere definito storico e che ha bisogno però di essere applicato integralmente e nella maniera più corretta possibile. Oggi, nel momento cruciale dell’applicazione, abbiamo bisogno della buona volontà, del consenso e della collaborazione, che ci hanno permesso di stipulare questo patto lungimirante! La Santa Sede è decisa a fare la sua parte perché il cammino continui”.
La decisione del Papa sana dunque la decisione unilaterale cinese di trasferire il vescovo Shen Bin a Shanghai, dove si è insediato lo scorso 4 aprile.
Il vescovo Shen Bin, 52 anni, di famiglia di tradizione cattolica, ha studiato filosofia nel Seminario di Sheshan a Shanghai e teologia al Seminario Nazionale di Pechino, ed è sacerdote dal 1996, e vescovo di Haimen dal 2010, con mandato pontificio e riconoscimento delle autorità politiche. Figura conosciuta a livello internazionale, Shen Bin ha partecipato a due meeting internazionali per la pace organizzati dalla Comunità di Sant’Egidio a Münster e Osnabrück nel 2017 e a Bologna nel 2018, ed è stato uno dei tre vescovi incluso nella squadra di 11 rappresentanti cattolici che hanno preso parte al XIV Comitato nazionale della Conferenza consultiva politica del popolo cinese.
Nel 2017, era stato scelto dalla Santa Sede per andare a Shanghai a ordinare quattro nuovi sacerdoti, essendo la sede vacante dalla morte del vescovo Jin Luxian e con l’ausiliare Ma Daqin agli arresti.Lo scorso settembre, Shen Bin era stato nominato presidente del Consiglio dei vescovi cinesi, organismo non riconosciuto dalla Santa Sede, in una nomina che aveva avuto luogo insieme a quella il vescovo di Pechino Giuseppe Li Shan come presidente dell’Associazione Patriottica. Quest’ultima nomina era stata un segno di distensione, perché si metteva a capo di un organismo governativo come l’Associazione Patriottica, un vescovo nominato nel 2007 con la doppia approvazione di Cina e Santa Sede.
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