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Un servizio di EWTN News

Papa Francesco spiega il tipo di primato del vescovo di Roma sulle Chiese ortodosse

Papa Francesco e Job di Pisidia in preghiera davanti la tomba di Pietro, Basilica di San Pietro, 29 giugno 2023

Prendendo le mosse dal documento congiunto “Sinodalità e primato dal secondo millennio ad oggi” finalizzato al Cairo lo scorso giugno, Papa Francesco fa un ulteriore passo nel cammino verso l’unità dei cristiani spiegando che non è possibile che le prerogative che il vescovo di Roma ha sulla comunità cattolica possano essere estese alle Chiese ortodosse. Parole che puntano a rassicurare l’ortodossia, preoccupata che il primato di Roma, sul quale si era raggiunto un accordo sostanziale già nel documento di Ravenna del 2007, possa andare a toccare anche la loro gerarchia, la loro esistenza, la loro indipendenza.

Il passo di Papa Francesco – alla fine, sulla scia dell’eventualità di “nuove forme dell’esercizio del primato petrino” delineate da San Giovanni Paolo II nella Ut Unum Sint – arriva nel discorso di fronte alla delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, che il Papa consegna, ma non pronuncia. Come tradizione, per la festa dei Santi Pietro e Paolo, c’è una delegazione da Costantinopoli in Vaticano, mentre per la festa di Sant’Andrea c’è una delegazione vaticana a Costantinopoli, nell’ambito di un reciproco scambio che punta proprio a ristabilire una unità nel tessuto ecumenico. La delegazione di Costantinopoli è guidata dal Metropolita di Pisidia Job, copresidente della Commissione mista internazionale per il Dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, accompagnato dal Vescovo di Nazianzus Athenagoras e dal Diacono patriarcale Kallinikos Chasapis. È a Roma dal 27 giugno, e ieri ha partecipato alla celebrazione in onore dei Santi Pietro e Paolo.

Il Papa, nel suo discorso, esprime “gioia” per l’accordo sul documento licenziato dalla XV sessione plenaria della Commissione Mista Internazionale per il Dialogo Teologico tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa ortodossa, e ritiene che è stato importante “aver condotto una lettura comune del modo in cui si è sviluppato in Oriente e in Occidente il rapporto tra sinodalità e primato nel secondo millennio: ciò può contribuire al superamento di argomenti polemici utilizzati da entrambe le parti, argomenti che possono sembrare utili a rinsaldare le rispettive identità, ma che in realtà finiscono con il concentrare l’attenzione solo su sé stessi e sul passato”.

Come nota a margine, va ricordato che il documento è la logica prosecuzione del documento di Chieti su sinodalità e primato nel primo millennio, mentre tra i due documenti ce ne era stato un altro che faceva il punto della situazione intitolato “Verso l’unità della fede: questioni teologiche e canoniche”. Alla fine, tutti erano d’accordo sul fatto che la Chiesa di Roma presiedeva nella carità le altre Chiese. Il vero tema era come questo primato si fosse sviluppato nel secondo millennio, e come oggi potesse essere realizzato senza andare ad intaccare equilibri secolari.

Ed è qui che viene la precisazione di Papa Francesco. “Non è possibile – afferma il Papa - pensare che le medesime prerogative che il Vescovo di Roma ha nei riguardi della sua Diocesi e della compagine cattolica siano estese alle comunità ortodosse; quando, con l’aiuto di Dio, saremo pienamente uniti nella fede e nell’amore, la forma con la quale il Vescovo di Roma eserciterà il suo servizio di comunione nella Chiesa a livello universale dovrà risultare da un’inscindibile relazione tra primato e sinodalità”.

Papa Francesco aggiunge che “l’unità piena sarà dono dello Spirito Santo e che nello Spirito va cercata, perché la comunione tra i credenti non è questione di cedimenti e compromessi, ma di carità fraterna, di fratelli che si riconoscono figli amati del Padre e, colmi dello Spirito di Cristo, sanno inserire le loro diversità in un contesto più ampio”.  Per il Papa, lo Spirito Santo “armonizza le differenze senza omologare le realtà”.

Papa Francesco affronta anche le preoccupazioni comuni, a partire dalla preoccupazione per la pace, con uno sguardo particolare alla guerra in Ucraina che “toccandoci più da vicino, ci mostra come in realtà tutte le guerre sono solo dei disastri, dei disastri totali: per i popoli e per le famiglie, per i bambini e per gli anziani, per le persone costrette a lasciare il loro Paese, per le città e i villaggi, e per il creato, come abbiamo visto recentemente a seguito della distruzione della diga di Nova Kakhovka”. È la prima volta che il Papa menziona la distruzione della diga in Ucraina.

Papa Francesco sottolinea che “come discepoli di Cristo, non possiamo rassegnarci alla guerra, ma abbiamo il dovere di lavorare insieme per la pace”, compiendo “un comune sforzo creativo per immaginare e realizzare percorsi di pace, verso una pace giusta e stabile”.

Anche la pace “è un dono del Signore”, ma si tratta – argomenta il Papa – “di un dono che richiede un atteggiamento corrispondente da parte dell’essere umano, e soprattutto del credente, il quale deve partecipare all’opera pacificatrice di Dio”, e infatti “la pace non viene dalla mera assenza di guerra, ma nasce dal cuore dell’uomo”, e viene ostacolata dalla “radice cattiva che ci portiamo dentro”, ovvero “il possesso, la volontà di perseguire egoisticamente i propri interessi a livello personale, comunitario, nazionale e persino religioso”.

Papa Francesco chiede dunque di “convertire il cuore”, perché “se la nostra vita non annuncia la novità di questo amore, come possiamo testimoniare Gesù al mondo?” Allora, “alle chiusure e agli egoismi va opposto lo stile di Dio che, come ci ha insegnato Cristo con l’esempio, è servizio e rinuncia di sé. Possiamo esser certi che, incarnandolo, i cristiani cresceranno nella comunione reciproca e aiuteranno il mondo, segnato da divisioni e discordie”.

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