Roma, 22 June, 2023 / 6:00 PM
Non è mai un rapporto di rose e fiori, quello sulla libertà religiosa nel mondo redatto ogni due anni dalla fondazione pontifica Aiuto alla Chiesa che Soffre. E però in quest’ultimo rapporto, presentato oggi, ci sono dei segnali preoccupanti che vanno al di là del problema delle persecuzioni anti-religiose. Si mette in luce proprio un tentativo di marginalizzare la religione, arrivando a confondere la libertà religiosa nella libertà di pensiero, mentre le autocrazie si fanno sempre più largo, e così anche l’impunità.
Insomma, il rischio non sta solo nei numeri, ma nelle tendenze. I numeri, tuttavia, descrivono una realtà a tinte fosche. In pratica, in un Paese su tre del mondo la libertà religiosa è a rischio. I Paesi dove la libertà religiosa viene violata sommano una popolazione di 4,9 miliardi di persone. In ben 61 Paesi sono state riscontrate grave violazioni della libertà religiosa nei confronti di cittadini.
I Paesi con categoria “Rossa”, ovvero quelli dove le persecuzioni sono palesi, include 28 Paesi che ospitano 4,03 miliardi di persone. Tredici di questi 28 Paesi sono in Africa.
Nella categoria Arancione sono stati raggruppati Paesi in cui ci sono fattori critici emergenti che possono potenzialmente causare un deterioramento significativo della libertà religiosa. Gli altri Paesi, invece, non sono stati categorizzati, che non significa però che non ci siano criticità.
Il problema non riguarda solo la libertà religiosa, dunque, ma una tendenza generale a mettere da parte il fattore religioso. Lo studio copre il periodo compreso tra gennaio 2021 e dicembre 2022.
“A livello globale – si legge nel rapporto - il mantenimento e il consolidamento del potere nelle mani di autocrati e leaders di gruppi fondamentalisti hanno portato a un aumento delle violazioni di tutti i diritti umani, inclusa la libertà religiosa. Una combinazione di attacchi terroristici, distruzione del patrimonio e dei simboli religiosi (Turchia, Siria), manipolazione del sistema elettorale (Nigeria, Iraq), sistemi di sorveglianza di massa (Cina), proliferazione di leggi anti-conversione e restrizioni finanziarie (Sud-Est asiatico e Medio Oriente) ha intensificato l’oppressione di tutte le comunità religiose”.
Più frequenti i casi “ibridi” di persecuzione educata e allo stesso tempo feroce, mentre il rapporto nota che in America Latina gli attacchi violenti contro coloro che appartengono alla religione “sbagliata” sono stati “normalizzati” in larga parte non perseguiti.
Secondo il rapporto, le comunità religiose minoritarie si trovano in una situazione sempre più drammatica, e in alcuni casi persino a rischio di estinzione.
Poi, il rapporto messe in luce il fenomeno dell’impunità, che in molti casi – come quando riguarda potenze geografiche come Cina e India – si combina al silenzio dell’Occidente. In particolare, in 12 dei 28 Stati dell’India sono state approvate leggi anti-conversione, che prevedono pene fino a 10 anni di reclusione e includono vantaggi finanziari per quanti si convertono e ritornano alla religione maggioritaria.
Non sono diminuiti gli episodi di conversioni forzate, rapimenti e violenze sessuali, anzi in alcune circostanze vengono persino ignorate dalle forze dell’ordine locali, come accade in Pakistan.
Il Nicaragua per la prima volta entra tra i Paesi con il più alto numero di violazioni alla libertò religiosa, ma in generale è l’Africa il continente più violento, laddove c’è una recrudescenza jihadista nel Sahel, intorno al lago Ciad, in Mozambico e Somalia.
Cina e Corea del Nord rimangono i due Paesi asiatici con il peggior record di violazioni dei diritti umani, inclusa la libertà religiosa.
Il Rapporto di ACS denuncia anche i crescenti limiti alla libertà di pensiero, coscienza e religione
nei Paesi che appartengono all’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE). Negli ultimi due anni, nei confronti di coloro che vogliono esprimere e vivere apertamente la propria fede, l’Occidente è passato da un clima di “persecuzione educata” a una diffusa “cultura
dell’annullamento” e al “discorso forzato”, caratterizzato da forti pressioni sociali per indurre a
conformarsi alle correnti ideologiche di tendenza.
Il Rapporto sottolinea anche alcuni fenomeni positivi, ad esempio l’aumento delle iniziative di
dialogo interreligioso e il gioioso ritorno alle celebrazioni religiose senza restrizioni dopo i blocchi dovuti al COVID-19.
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