Città del Vaticano , 17 June, 2023 / 4:00 PM
Dopo la missione di pace del Cardinale Matteo Zuppi in Ucraina, ora lo sguardo è tutto verso la possibile missione a Mosca. Probabilmente, la presenza del metropolita Antonij a Roma, per un viaggio programmato (ma tornerà a inizio luglio) servirà anche a stabilire i contatti con il Patriarcato di Mosca per un incontro del Cardinale con il Patriarca Kirill.
Antonij, che è capo del Dipartimento delle Relazioni Estere del Patriarcato di Mosca, dovrebbe vedere anche Papa Francesco. Il loro incontro era previsto il 17 giugno, ma alla fine si sono incontrati il 16 giugno, nella Domus Sanctae Marthae, dove il Papa risiede e dove Antonij alloggia. Comunicazione dell’incontro è stata data solo dal sito del Patriarcato di Mosca, ma non dalla Sala Stampa della Santa Sede, e si legge che “il presidente del DECR ha trasmesso i saluti e gli auguri di pronta guarigione di Sua Santità il Patriarca di Mosca e di tutta la Rus' Kirill al capo della Chiesa cattolica romana. Al termine dell'incontro, gli interlocutori si sono scambiati regali memorabili”.
Il Papa ha comunque confermato tutte le udienze già previste per la prossima settimana, con l’eccezione dell’udienza generale del 21 giugno.
Proseguono, intanto le iniziative per la pace in Colombia, dove c’è un grande impegno dei vescovi. L’Italia nomina un inviato speciale per i cristiani perseguitati. Continua invece la crisi in Sudan.
FOCUS UCRAINA- RUSSIA
Si prepara la missione del Cardinale Zuppi a Mosca
Non ci sono molte anticipazioni del viaggio che il Cardinale Matteo Zuppi sta organizzando a Mosca, come inviato del Papa. E probabilmente, come è avvenuto per l’Ucraina, il cardinale arriverà con pochissimo preavviso. L’obiettivo, comunque, è di incontrare il Patriarca Kirill, anche sperando in un eventuale incontro o nuova videoconferenza con Papa Francesco, ma anche cercare di avere contatti ad alto livello con il governo. Un incontro con il presidente Vladimir Putin sembra non essere nemmeno in discussione, e dunque non ci sarà un incontro simile a quello che Zuppi ha avuto con Zelensky. Possibile, invece, un incontro con il ministro degli Esteri Lavrov, che non ha mai chiuso i contatti con la Santa Sede, o con qualcuno del ministero degli Esteri russo.
Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo, ha riconosciuto il “sincero desiderio della Santa Sede di facilitare il processo di pace”, ma ha fatto sapere che il Vaticano non ha “ancora intrapreso passi concreti” per una visita di Zuppi a Mosca.
Parlando alla manifestazione “Repubblica delle Idee”, il Cardinale Zuppi ha anche notato che il rischio del nucleare “deve farci paura. È folle accettare che ci possa essere il ricorso al nucleare”.
FOCUS PAPA FRANCESCO
Il presidente cubano Diaz-Canel da Papa Francesco
Il prossimo 20 giugno, il presidente cubano Miguel Diaz-Canel sarà in visita da Papa Francesco. Diaz-Canel, 63 anni, è stato rieletto presidente di Cubalo scorso 19 aprile, e va in visita di inizio mandato. Il presidente cubano sarà ricevuto anche al Quirinale del presidente della Repubblica italiano Sergio Mattarella e dal Primo Ministro italiano Giorgia Meloni.
Sarà un viaggio di poche ore, che lo porterà subito dopo in Francia, dove parteciperà all’incontro mondiale sul Nuovo Patto Finanziario Internazionale che si terrà il prossimo 22-23 giugno.
Lo scorso 26 aprile, Diaz-Canel ha ricevuto nel palazzo del Governo la presidenza della Conferenza Episcopale Cubana per uno scambio di opinioni e analisi, e per discutere le differenze. La Conferenza Episcopale aveva ringraziato il governo per la possibilità di dialogare “sui criteri e sopra la visione della realtà che attraversa il Paese”.
Lula da Papa Francesco
Il prossimo 21 giugno, il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva farà visita a Papa Francesco. Il presidente sarà in Italia, e incontrerà anche il presidente italiano Sergio Mattarella. Parlando al programma “Conversa con il presidente” il 13 giugno, Lula ha annunciato: “La prossima settimana vado in Italia a parlare con il Papa. Ma voglio anche incontrare il presidente dell'Italia. Sono passati molti anni da quando abbiamo ricevuto un presidente dall'Italia, e abbiamo molti italiani e discendenti qui in Brasile. Dobbiamo rafforzare i rapporti”.
FOCUS AMBASCIATE
La cena annuale del Corpo diplomatico con il Cardinale Parolin
Il 15 giugno, si è tenuta la cena annuale offerta dalla Segreteria di Stato della Santa Sede ai capi missione. L’ospite della serata è stato il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano. Si è rivolto direttamente a lui l’ambasciatore Georges Poulides, che rappresenta Cipro presso la Santa Sede da più di venti anni e che è decano del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede.
“Il nostro tempo – ha detto l’ambasciatore - ci pone sfide estremamente complesse. Dopo gli anni drammatici legati alla lotta contro la pandemia dove la Comunità Internazionale ha cercato di dare una risposta condivisa ed unitaria alla crisi sanitaria, purtroppo oggi assistiamo ad uno sgretolamento dei rapporti tra Stati. Le guerre grandi del passato, che hanno generato innumerevoli sofferenze, profonde inquietudini ed atroci distruzioni, incombono come una spada di Damocle sulle nostre teste. Dinanzi a tali scenari, le Nazioni si scoprono deboli e timide nel cercare soluzioni che possano arrestare una drammatica escalation”.
Il decano del Corpo diplomatico presso la Santa Sede ha riconosciuto il coraggio e l’opera del Santo Padre e della Segreteria di Stato, che “con forza, al ruggire delle armi ed alla logica delle divisioni nette, ha contrapposto, come soluzione, l’amicizia sociale e la cultura dell’incontro.”
Prendendo a prestito le parole del Cardinale Parolin alla Fondazione Centesimus Annus la scorsa settimana, Poulides ha ricordato che il il senso profondo dell’agire dei rappresentanti diplomatici è quello “di prestare attenzione ad ogni frammento di verità che incontrano nell’esperienza di vita e nella cultura degli altri”.
L’ambasciatore ha sottolineato la necessità di impegnarsi ad “erigere le fondamenta di una cultura dell’incontro”, e di affrontare decisioni globali “scevri da preconcetti ideologici o distinzioni valoriali”, dato che è “sempre più urgente, dunque, riportare fiducia e credibilità nel nostro agire da diplomatici affinché le nubi che si addensano sul nostro futuro possano diradarsi e far trapelare un raggio di luce e speranza per l’umanità tutta”.
FOCUS NUNZIATURE
(La storia continua sotto)
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Papa Francesco nomina il suo ex responsabile di viaggi nunzio in Costa d’Avorio
Monsignor Mauricio Rueda Beltz, già responsabile dei viaggi papali, è stato nominato nunzio in Costa d’Avorio. È la prima nomina in nunziatura per monsignor Rueda Beltz, mandato come numero due della nunziatura in Portogallo per un breve periodo dopo quello passato a fianco del Papa, e poi richiamato pochi mesi dopo a Roma come numero due della Terza Sezione della Segreteria di Stato.
Colombiano, classe 1970, sacerdote dal 1996, monsignor Rueda Beltz è dal 2004 nel servizio diplomatico della Santa Sede, lavorando nelle nunziature di Guinea, Cile, Stati Uniti e Giordania. Ha quindi trascorso un periodo nella seconda sezione della Segreteria di Stato, prima di diventare responsabile dell’Organizzazione dei Viaggi Apostolici in Prima Sezione.
Ad inizio 2020 viene trasferito alla nunziatura apostolica in Portogallo, ma già il 17 dicembre 2020 viene nominato sotto-segretario della Sezione per il Personale di Ruolo e diplomatico della Santa Sede.
Papa Francesco nomina il nunzio in Pakistan
Resta praticamente vacante la diocesi di Romania, senza nunzio – perché l’arcivescovo Miguel Maury Buendia è stato trasferito in Inghilterra, dove ha presentato molto velocemente le credenziali per essere all’incoronazione del re Carlo – e ora anche senza numero due. Germano Penemote, infatti, Consigliere di Nunziatura, è stato nominato nunzio in Pakistan.
Angolano, classe 1969, Penemote è sacerdote dal 1998 e nel servizio diplomatico della Santa Sede dal 2003. Ha servito nelle nunziature di Benin, Uruguay, Slovacchia, Thailandia, Ungheria, Perù, Romania.
Papa Francesco nomina il nunzio in Kazakhstan
La girandola di promozioni interessa anche la nunziatura di Cipro, solo di recente riunita alla Giordania come rappresentanza pontificia, e che ora sta lavorando a definire una sede permanente dopo essersi appoggiata per anni alla Custodia Francescana (Cipro, infatti, fa parte della Terrasanta). Il responsabile della missione a Cipro, Monsignor George Panamthundil, è stato infatti inviato il 16 giugno dal Papa come nunzio in Kazakhstan. Nato nel 1972, sacerdote da 1998, è nel servizio diplomatico della Santa Sede dal 2005. Ha lavorato nelle rappresentanze pontificie di Iraq, Austria, Israele e nella delegazione apostolica in Gerusalemme e Palestina, e infine appunto a Cipro.
FOCUS SEGRETERIA DI STATO
Gallagher sottolinea il contributo alla pace della Santa Sede
Dando l’avvio il 15 giugno al policy dialogue su “Religione, conflitto e costruzione della pace nelle crisi globali contemporanee”, l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, ha messo in luce il ruolo delle fedi nei processi di pace.
L’arcivescovo ha sottolineato che è “comunemente accettato che la religione ha peso nelle politiche, specialmente a causa dei suoi valori conservativi e positivi”, e per questo c’è un proliferare di organizzazioni e iniziative che impegnano soprattutto la religione in politica, e c’è anche “più impegno, specialmente dal momento in cui i politici hanno scoperto l’importanza e l’influenza della religione”, e nonostante ciò di cui si abbia più percezione è “il fondamentalismo religioso, che può anche portare al terrorismo”.
Ma questo, ha aggiunto il “ministro degli Esteri” vaticano non “ha niente a che fare con la religione”.
I valori religiosi, ha detto Gallagher, possono “contribuire alla sfera politica e più concretamente a costruire la pace”, e ci sono quattro direttiva etiche positive che si trovano in tutte le grandi tradizioni religiose: il rispetto per la vita, l’impegno alla non violenza, l’impegno a parlare e agire con verità; e l’impegno ad agire onestamente e chiaramente.
Sono direttive – aggiunge Gallagher – che “sono anche alla base del dialogo interrelligioso, cruciale per costruire la pace tra le nazioni”, se si considera che circa l’85 per cento della popolazione mondiale si identifica con la religione.
Il tema del dialogo, dunque, non sorprendentemente è stato parte del magistero dei Papi, e in particolare Gallagher fa riferimento all’enciclica Ecclesiam Suam di Paolo VI, ma anche alla costituzione conciliare Gaudium et Spes. Eppure, ha aggiunto, mentre oggi siamo d’accordo sulla necessità del dialogo, si deve guardare “allo scopo del dialogo: evitare o terminare la guerra e sviluppare la pace”.
Guerra significa, in fondo, confusione, mentre pace significa “unire”, cosa che ci impone – dice Gallagher – di decidere tra “confusione e armonia” e purtroppo “la scelta fatta non è sempre la più ovvia”.
I Papi hanno anche dovuto affrontare il tema della “guerra giusta”, che è la “conseguente giustificazione dell’uso della forza, che va in contrasto in qualche modo con la prospettiva non violenta del Vangelo. Due dottrine considerate “distinte ma compatibili”, perché la guerra giusta è “l’espressione più adeguata del principio naturale di giustizia e civiltà”.
C’è stata, nota il “ministro degli Esteri” vaticano, una tensione tra queste dottrine, e argomenta che secondo alcuni la Chiesa ha cominciato ad abbandonare il concetto di guerra giusta solo con la perdita degli Stati pontifici nel 1870, ma in realtà “già prima sembrava già chiaro che ci fosse una nuova comprensione e coscienza”. Infatti, parlando al Concistoro del 20 aprile 1849, Pio IX comincia “parlando dello scandalo della guerra, specialmente tra le nazioni cristiane” e afferma che “non può fare niente più che “predicare la pace incessantemente”, perché “sarebbe contro la nostra missione invitare gli uomini alla carneficina della guerra”.
Insomma, sin dalla metà del XIX secolo i Papi sono diventati “più coscienti del loro dovere di affermare la specificità della Santa Sede”, sebbene Pio IX fu forse “il primo ad esprimerlo concretamente” e non tanto con un discorso o un documento, ma “concretamente con la ratifica della Prima Convenzione di Ginevra”, solo dopo aver specificato che “la Chiesa non andrebbe in guerra contro nessuno, a differenza di altri Stati che hanno sostenuto questo diritto in nome della loro sovranità”.
E specificò anche che, se attaccata, la Santa Sede avrebbe comunque “continuato a trattare le vittime con umanità, come fatto in passato”. Solo dopo aver detto questo, differenziandosi da altri Stati, il Papa ratificò la Convenzione di Ginevra del 1868.
Gallagher ha raccontato che da allora in poi i Papi non hanno “risparmiato alcuno sforzo nel difendere la pace e promuovere la costruzione della pace”, e questo ha portato anche ad un nuovo dialogo sull’interpretazione classica della “guerra giusta”.
Perché, spiega il “ministro degli Esteri” vaticano, i teologi che per primi avevano sviluppato la teoria della guerra giusta avevano enfatizzato i parametri imposti alla coscienza quando si trova di fronte ad una situazione di conflitto, cercando così di “limitare lo scoppio delle ostilità rivolgendosi alla coscienza dei leader civili e militari”.
Oggi più che mai, aggiunge, la difesa degli interessi nazionali “è stato rafforzato dall’obbligo di considerare l’interesse globale dell’umanità”.
In questo percorso di coscienza, oggi parliamo più di “pace giusta” che di “guerra giusta”. Papa Francesco, da parte sua, considera la fraternità come “fondamento e via per la pace”, e questa è “una qualità umana essenziale perché tutti gli esseri umani sono collegati gli uni gli altri”. Lo spirito di fraternità, ha enfatizzato Papa Francesco, dovrebbe perciò guidare lo “spirito delle Nazioni”.
FOCUS EUROPA
Un inviato dell’Italia per i cristiani perseguitati
Era stato promesso a inizio legislatura, ma è stato annunciato solo ieri: è Davide Dionisi l’inviato speciale dell’Italia per i Cristiani perseguitati. L’annuncio della nomina è stato fatto dal ministro degli Esteri Antonio Tajani in un messaggio inviato ai partecipanti al simposio dell’ISPI su “Religione, conflitto e costruzione della pace nelle crisi globali contemporanee”, che si è tenuto il 15 e 16 giugno presso la Camera dei Deputati e presso il Notre Dame Global Gateway di Roma.
Dionisi, già caporedattore del desk esteri dell’Osservatore Romano e curatore della rubrica settimanale I Cellanti sulle iniziative dei carceri italiani per Vatican News, aveva lavorato nei media vaticani per 25 anni prima di essere chiamato a collaborare con il governo, come portavoce di Tajani nel suo incarico di vice primo ministro a Palazzo Chigi. L’inviato speciale è legato al governo, mentre resta l’incarico di Andrea Benzo come inviato special per la libertà religiosa, incarico questo legato alla Farnesina.
L’Italia è il secondo Paese in Europa, dopo l’Ungheria, ad aver stabilito un inviato speciale per la persecuzione dei cristiani. In Ungheria, l’inviato speciale è in realtà un vero sottosegretariato legato al governo, con un ufficio molto attivo che sviluppa i programmi di sostegno dei cristiani perseguitati di Hungary Helps.
A Kyiv, famiglia e dignità umana protagoniste
La società civile dell’Ucraina ha organizzato lo scorso 9 giugno la prima conferenza internazionale su famiglia e dignità umana. È il primo evento di questo tipo che ha luogo dall’inizio dell’aggressione su vasta scala della Russia sull’Ucraina.
All’incontro, ha partecipato anche Nicola Speranza, segretario generale della Federazione delle Associazioni Famigliari in Europa, ONG cattolica accreditata presso il Parlamento Europeo e il Consiglio di Europa.
Tra i relatori della conferenza c’era anche Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo maggiore della Chiesa Greco Cattolica ucraina, il quale ha sottolineato che è importante pensare già ora a ciò che diventerà l’Ucraina del dopoguerra: sarà un Paese che terrà conto della religiosità della sua popolazione, oppure ignorerà la posizione delle Chiese e dei loro fedeli?
Speranza ha sottolineato di aver avuto uno scambio con Sua Beatitudine. Inoltre, Speranza ha avuto un incontro con l’arcivescovo Visvaldas Kulbokas, nunzio apostolico in Ucraina. Speranza ha sottolineato che Kulbokas è “un grande esempio, di diplomatico e di pastore, che sta mostrando concretamente la vicinanza della Santa Sede, non solo ai cattolici nel Paese, ma a tutti gli ucraini."
FOCUS AFRICA
Un simposio su Senghor organizzato dall’ambasciata del Senegal presso la Santa Sede
Ha visto anche la partecipazione del Cardinale Parolin, Segretario di Stato vaticano, il simposio su “Civilizzazione dell’Universale e Fraternità Umana” dedicato dall’ambasciata del Senegal presso la Santa Sede in onore di Leopold Sédar Senghor, padre della nazione.
La relazione del Segretario di Stato vaticano si è concentrata sul tema “La Civiltà dell’Amore nel Magistero della Chiesa”.
Il cardinale ha ricordato che “la missione del Presidente Senghor si è prodigata per coniugare e non solo far convivere i sentimenti religiosi tradizionali presenti nel Paese con la visione cristiana dell'amore per Dio e dell'amore per il prossimo”.
Il Cardinale ha sottolineato che “la discesa delle Spirito Santo dimostra come l'espressione civiltà dell'amore esprima l'essenza del messaggio cristiano, capace di proporre non soltanto la scelta di fede in un rapporto personale con Dio e con gli altri membri della comunità, ma anche di sostenere la capacità dei cristiani di porsi sul piano delle relazioni sociali, delle decisioni politiche e di tutto ciò che riguarda l'essere umano e che pertanto è interesse della Chiesa” .
Nella costituzione conciliare Gaudium et Spes, sottolinea Parolin, si ponevano le basi “ per un nuovo modo di realizzare la presenza della Chiesa nelle realtà di un mondo ormai già proiettato oltre la modernità e per altro non privo di una visione critica verso la dimensione religiosa. In quel contesto la Chiesa ha potuto riconoscere tra i segni dei tempi la coscienza acquisita di popoli sottoposti al dominio coloniale e la necessità di favorirne lo sviluppo, la crescita integrale e un progresso fatto di libertà dallo sfruttamento, dall'odio e dalla sottomissione”.
Obiettivo era sostenere e incoraggiare “la definizione di nuove forme di società in grado di includere, di armonizzare e non contrapporre”.
In questo, il lavoro di Paolo VI, in particolare con la Populorum Progressio, è cruciale, perché vi sono molti temi che stanno a cuore al mondo di oggi, definendo “lo sviluppo come nuovo nome della pace”.
Ma c’è anche il tema della “destinazione universale dei beni”, questione rilanciata come “il nuovo volto della questione sociale, quella che si pone su scala planetaria”.
Nota il Cardinale Parolin: “L'accesso a quanto prodotto, normalmente avviene mediante i canali della commercializzazione e della distribuzione, ma come negare che, nonostante i correttivi alla de-regolamentazione, il commercio internazionale resta dominato dalle economie più forti? Paesi e strutture che sono in grado di porre ai margini i piccoli produttori o di precludere l'accesso ai beni ai più deboli, concentrando il tutto in poche mani”.
Il tema, per il Segretario di Stato vaticano, è cruciale, perché si lega a “un'altra urgenza legata all'evolversi delle tecnologie e dei procedimenti per realizzarle”, e cioè “ai beni del sapere, alla cosiddetta proprietà intellettuale collegata a scoperte e sperimentazioni: il criterio della destinazione universale si estende anche ad essi? E allora, come consentire che tutti ne possano beneficiare o avere accesso alla conoscenza di metodiche che sono in grado di modificare il corso dello sviluppo di una regione o di una comunità?”
Sono beni, questi, che né diminuiscono né perdono efficacia”, e allora “il mancato accesso al sapere tecnico e alle tecnologie determinato da una ripartizione ineguale, aggrava la più ampia distribuzione anche dei beni primari: è quanto evidenziano le diverse ‘crisi’, da quella energetica a quella alimentare, oppure le ‘sfide’ ricorrenti sulle azioni per preservare la ‘casa comune’ e i beni della creazione, o sui metodi e regole di prevenzione e soluzione dei conflitti”.
Contenti della civiltà dell’amore sono “una rinnovata relazione Chiesa mondo”, ma anche il primato della persona, che include anche la questione dello sviluppo umano integrale.
Afferma il Cardinale Parolin: “La fede in Dio unita alla determinazione di andare oltre i tempi e i limiti posti dalla realtà sociale rende possibile intercettare e superare le difficoltà e le sfide, quasi una forza d'amore che ha ripercussioni sociali, politiche e istituzionali”.
E dunque “riflettere sui tempi, modi e contenuti della civiltà dell'amore è forse il modo per essere disponibili ad aprire le nostre vedute e cosi individuare le forme e le strategie per affrontare la "questione sociale" nei suoi contenuti e dimensione”, e non basta più qualificarla come “questione mondiale”.
Il cardinale ha ricordato che “anche per il Presidente Senghor creare una società senza limiti ed esclusione di popoli Paesi dai processi di sviluppo, ha significato lo sforzo di cercare la Verità, coniugando alle qualità di statista l'esperienza di fede e l'amore verso l'altro. Questo processo gli ha consentito di perseguire la ricerca della giustizia e impegnarsi per la trasformazione della realtà umana e sociale in cui operava”.
Nel suo indirizzo di saluto al simposio, l’ambasciatore di Senegal presso la Santa Sede Martin Pascal Tine ha messo in luce che “il dialogo delle culture nella filosofia politica di Senghor riflette il dovere della fratellanza, che è un invito ad accogliere l'alterità, o almeno l'altro, con entusiasmo e rispetto, quale occasione per fare un cammino insieme£, e che il dialogo tra le culture “passa per il dialogo tra le religioni”, le quali, secondo Senghor, hanno lo scopo di fare la volontà di Dio, che è quella di realizzare la fratellanza tra gli uomini quaggiù, attraverso la giustizia per tutti gli uomini”. Questa giustizia, ha aggiunto, si realizza quando ci sono pari opportunità di tutti, e quando reddito e conoscenza sono distribuiti in maniera equa.
Sudan, saccheggiata la nunziatura di Karthoum
L’arcivescovo Luis Miguel Muñoz Cárdaba, nunzio apostolico in Sudan, ha messo in luce come nel conflitto del Paese, ormai dimenticato, la popolazione civile sta soffrendo. Il nunzio è ad Asmara, dove è dovuto spostarsi lasciando sguarnita la nunziatura quando il personale diplomatico fu evacuato lo scorso 15 aprile, e ha spiegato che quello che si vive in Sudan “per ora non è una guerra civile, religiosa o tribale”, ma è solo “un conflitto tra gruppi militari molto potenti”.
Da una parte, c’è l’esercito regolare del generale Abdel Fattah al Burhan, che dal golpe del 2019 è la massima autorità del Paese. Dall’altra parte, i paramilitari delle Forze di Appoggio Rapido del Generale Mohammed Hamdan Dagalo.
Al momento, la maggior parte del territorio sudanese si trova sotto il controllo dell’esercito regolare, e c’è una situazione di pace relativa, però sia nella capitale Karthoum che nella regione del Darfur, dove c’è una forte presenza dei paramilitari, continua una battaglia durissima.
L’arcivescovo Muñoz Cárdaba ha ricordato che ci sono “più di un milione e mezzo di sfollati che hanno abbandonato la capitale” e oltre 200 mila persone sono uscite dal Paese.
C’è ancora paura, e “non solo per i bombardamenti, le bombe, l’artiglieria. Nella capitale sono frequenti i saccheggi. È una città senza legge”. E anche la nunziatura, insieme ad altre ambasciata, è stata occupata e saccheggiata, come – nota il nunzio – è “successo in università, residenze, chiese”, e nella stessa cattedrale cattolica, dove hanno preso “la curia arcivescovile e hanno rubato tutto il denaro della diocesi”. Tra le situazioni drammatiche, il nunzio ricorda anche la morte di più di 50 bambini piccoli a causa della fame perché non potevano essere alimentati”.
Sette capi di Stato africani per una missione di pace in Ucraina
È l’Africa la nuova frontiera in cerca di una risoluzione di pace in Ucraina. Il presidente del Sudafrica Cyril Ramaphosa ha avuto una conversazione telefonica con il presidente russo Vladimir Putin e lo ha informato che sei capi di Stato, insieme al presidente di turno dell’Unione Africana Azali Assoumani, andranno in missione in Ucraina e in Russia.
L’iniziativa coinvolge i capi di Stato di Congo, Egitto, Senegal, Sudafrica, Uganda e Zambia. La missione di pace è stata definita in un incontro virtuale che si è tenuto lo scorso 5 giugno.
L’iniziativa è partita proprio da Ramaphosa, il quale il 17 maggio aveva reso noto di avere avuto conversazioni telefoniche sia con il presidente russo che con il presidente ucraino. L’iniziativa è parte anche dello sforzo sudafricano di mostrarsi come Paese non allineato che promuove il negoziato per la risoluzione del conflitto, tato che il ministro sudafricano alla presidenza Khumbudzo Tshaveni ha aperto alla possibilità che sia proprio il Sudafrica ad ospitare un vertice per la pace.
D’altra parte, il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba ha fatto sapere che l’Ucraina intende aprire nuove ambasciate in dieci Paesi africani nel tentativo di contrastare l’influenza russa nel continente.
Una iniziativa di dialogo interreligioso e pace per il Mozambico
La Chiesa Cattolica in Mozambico lancia una iniziativa di dialogo interreligioso e pace che ha lo scopo di terminare la violenza armata nel Mozambico del Nord, con lo scopo di risolvere le tensioni causate dalla rivolta militare che è cominciata nel 2017 nella regione di Cabo Delgado e da allora ha creato la morte di più di 4 mila persone e circa un milione di sfollati.
L’iniziativa è gestita dal Centro Interreligioso per la Pace nella Diocesi di Pemba, il cui fondatore è padre Eduardo Roca. Parlando con Aiuto alla Chiesa che Soffre, padre Roca ha sottolineato che “la Chiesa cattolica è non solo preoccupata, ma impegnata e seriamente implicata a fare qualunque cosa possa per i negoziati di pace”.
Nei prossimi mesi, ha aggiunto padre Roca, ci saranno “incontri con circa 50 leader di organizzazioni musulmane e cristiane per studiare e promuovere il Documento sulla Fraternità Umana siglato da Papa Francesco e il Grande Imam di al Azhar ad Abu Dhabi”.
Nel novembre 2022, la Conferenza Episcopale del Mozambico ha pubblicato una lettera pastorale mettendo in luce il coinvolgimento della Chiesa nel processo di pace a Cabo Delgado”.
FOCUS ASIA
Armenia e Ordine di Malta festeggiano 25 anni di relazioni diplomatiche
Lo scorso 13 giugno, presso la Villa Magistrale dell’Ordine di Malta a Roma, si è tenuto un ricevimento seguito da un concerto per celebrare il 25esimo anniversario delle relazioni diplomatiche tra Ordine di Malta e Armenia. Nell’occasione, era presente Anahit Avanesyan, ministro della Salute di Erevan.
Nel suo discorso, il ministro ha notato che i legami e le interazioni tra la prima nazione cristiana e uno dei più antichi ordini cristiani risalgono addirittura ai tempi medievali, e sono basate su una mutua fiducia.
La prontezza operativa dell’Ordine di Malta, ha detto Avanesyan, è stata “di aiuto nel portare avanti attività umanitarie in una regione tendente al conflitto”, e che per l’Armenia è importante “osservare che la rete diplomatica dell’Ordine promuove attivamente il rispetto e la santità della vita di ogni persona e l’osservanza dei diritti umani come definiti nella convenzione di Ginevra.
Il ministro della Salute armeno è anche co-presidente per conto della sua nazione per conto del comitato chiamato a monitorare l’implementazione dell’accordo di cooperazione tra Ordine di Malta e Armenia, e si è detta fiduciosa che “questo documento legale che ha l’obiettivo di promuovere le azioni ospedalieri, sociali e sanitarie espanderanno ulteriormente le iniziative umanitarie dell’Ordine in Armenia”.
Garen Nazarian, ambasciatore dell’Armenia presso la Santa Sede, ha invece dato i suoi saluti nella basilica dei Santi Bonifacio ed Alessio, prima del concerto.
“Quando ascoltiamo la musica – ha detto – la ascoltiamo non solo con le nostre orecchie ma anche con le nostre menti. Il suono tocca le nostre menti, e il ritmo muove la nostra anima”.
L’incontro ha visto anche un bilaterale tra il ministro Avanesyan e il Gran Cancelliere dell’Ordine di Malta Riccardo Paternò di Montecupo, durante il quale si è discusso dell’accordo. Il ministro Avanesyan – si legge in un comunicato - ha espresso la sua gratitudine per a posizione di principio assunta dall’Ordine di Malta in merito al blocco illegale del
Corridoio Lachin e ha presentato la situazione di emergenza nel Nagorno Karabakh”.
La Chiesa apostolica armena in disaccordo con il primo ministro armeno
Mentre prosegue il blocco azerbaijano del Corridoio di Lachin, l’unica forma di approvvigionamenti dell’Arsakh (l’antico noem armeno del territorio ora conosciuto come Nagorno Karabkh), il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha detto di poter immaginare di riconoscere l’enclave armena del Nagorno Karabakh come parte dell’Azerbaijan. Dichiarazioni che sono state fortemente contestate dalla Chiesa Apostolica Armena.
Pashinyan ha espresso la sua volontà di riconoscere il Nagorno Karabakh come parte dell’Azerbaijan il 22 maggio. Secondo l'ufficio stampa del Primo Ministro, Pashinyan ha detto che "la comunità internazionale è sempre più dell'idea che Armenia e Azerbaijan, senza riserve, debbano riconoscere rispettivamente la loro integrità territoriale di 29,800 chilometri quadrati e di 86,600 chilometri quadrati, e che un dialogo deve avere luogo tra Baku e Stepanakert con lo scopo di assicurare i diritti e la sicurezza degli armeni in Nagorno-Karabakh".
FOCUS AMERICA LATINA
Colombia, passi avanti nel processo di pace
Lo scorso 9 giugno, il presidente di Colombia Gustavo Petro e i Capi dell’Esercito Liberazione Nazionale (ELN) hanno firmato un accordo per un cessate il fuoco di sei mesi. La trattativa con la ELN, ultima organizzazione di stampo marxista sul territorio, è cruciale per arrivare ad una vera e propria pace in Colombia, dopo l’accordo con le FARC.
In quelli stessi giorni, c’era un incontro dei vescovi colombiani alla guida delle zone ancora coinvolte in conflitti e violenze.
Il cessate il fuoco è un passo avanti verso l’obiettivo della “pace sociale”. Padre Rafael Castillo, direttore del Segretariato di Pastorale Sociale della Conferenza Episcopale Colombiana, ha sottolineato che la Chiesa colombiana conferma l’appoggio “perché il cessate il fuoco si mantenga nel tempo” e sottolineato che “la pace duratura può nascere solo dal basso. Non è sufficiente il dialogo con i vertici”.
Padre Castillo ha detto che c’è bisogno anche di giustizia riparativa e comunitaria, e di attenzione agli incubatori di violenza e ingiustizia.
FOCUS MULTILATERALE
Il Cardinale Parolin diffonde un messaggio del Papa all’Organizzazione Internazionale del Lavoro
Si era persino pensato ad un viaggio di Papa Francesco a Ginevra solo per il centenario dell’ILO, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro nel 2019. D'altronde, dal 1926 l'ILO ha un consulente per gli affari religiosi che è sempre un prete cattolico e sempre un gesuita – l’attuale è padre Pierre Martinot Lagarde. l’unico ente che ha nei suoi ranghi un consulente per gli affari religiosi che è sempre un gesuita.
Per questo, l’attenzione della Santa Sede verso l’organizzazione è massima, e lo dimostra il fatto che Papa Francesco ha voluto inviare un messaggio al Vertice sul Mondo del Lavoro 2023, letto dal Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato.
Il messaggio chiede di basarsi, per le questioni del lavoro, sui tre pilastri di “dignità umana”, “solidarietà” e “sussidiarietà”. "La Santa Sede – sottolinea Papa Francesco - rimane impegnata a sostenere ogni sforzo per promuovere la giustizia sociale, specialmente nei luoghi di lavoro, mettendo i suoi mezzi a disposizione della comunità internazionale e, soprattutto, condividendo la dottrina sociale della Chiesa".
Papa Francesco ricorda l’instabilità e i conflitti del mondo, e auspica che la Coalizione Globale per la Giustizia Sociale possa contribuire a promuovere la "causa della pace", ribadendo il principio della Chiesa che "l'impegno per la giustizia deve essere strettamente legato all'impegno per la pace nel mondo moderno".
Una visione forse “utopica”, se si guarda ai milioni di persone alla mercé di “lavori degradanti” con i quali a malapena sopravvivono, in particolare migranti e rifugiati impiegati in lavori Dangerous, Dirty and Degrading, cosa che “calpesta la dignità umana”.
La Chiesa, nota il Papa, "rimane impegnata a continuare ad annunciare il Vangelo della pace e a cooperare con tutte le autorità nazionali e internazionali per salvaguardare questo immenso bene universale, il dono della pace alimentato da una vera giustizia sociale".
Ci vuole “un nuovo cammino di solidarietà”, una esigenza venuta fuori con forza durante la pandemia. Un cammino che porti a coinvolgere gli emarginati come “come partecipanti attivi e a pieno titolo alle decisioni che prendiamo per raggiungere una pace più sicura nelle nostre società, trovando il modo in cui la giustizia sociale possa contribuire ad affrontare le cause della povertà, come la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, la mancanza di alloggi o la negazione dei diritti sociali e del lavoro”.
Il Papa chiede di “guardare oltre gli indicatori economici e sociali”, mantenendo ferma la stella polare del rispetto della dignità umana, perché "la protezione dei diritti fondamentali e del benessere di tutti gli individui, compresi i loro bisogni fisici, emotivi e spirituali 'dal concepimento alla morte naturale'".
Ma anche la solidarietà, che dimostra “l’interconnessione e l’indipendenza di tutti” e che porta a “prendersi cura gli uni degli altri, soprattutto i più vulnerabili”, e poi la sussidiarietà, perché “le istituzioni o le autorità più grandi possono fornire un sostegno generale quando necessario, mentre a livello locale gli individui e le comunità hanno la libertà di prendere decisioni che riguardano la loro vita".
Secondo Papa Francesco, questo equilibrio può evitare un'eccessiva concentrazione di potere e sostenere l'empowerment e la partecipazione degli individui e delle comunità per plasmare il proprio destino.
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