Carpi, 30 April, 2023 / 10:00 AM
Nella IV domenica di Pasqua nella liturgia della Parola ci viene presentata la la figura di Cristo, Buon Pastore. Si tratta di un’immagine particolarmente amata dalle prime generazioni cristiane, le quali - come appare dagli affreschi, dalle incisioni, dai sarcofagi delle catacombe e dai mosaici delle antiche basiliche romane - la preferirono a qualsiasi altra raffigurazione, addirittura anche a quella del Crocifisso, che nell’iconografia cristiana appare molto più tardi. La scelta di raffigurare Cristo Buon Pastore è dovuta al fatto che questa figura riassume in sé i tratti schematici della sua vita e della sua missione. Egli, infatti, è l’Amore incarnato, che si prende cura dell’umanità sofferente e abbandonata a un destino di morte. Gesù, dunque, è “buono” non perché ha esercitato in sommo grado la virtù morale della bontà, ma perché Egli è il “vero” custode del gregge di Dio, ovvero l’umanità, per la cui salvezza ha donato la vita.
In effetti, fin dall’inizio della parabola, il Signore interloquisce con i suoi ascoltatori su un aspetto che, a prima vista ci lascia sconcertati perché, per ben due volte, introduce il tema della “porta”. Di sé, Gesù dice di essere anzitutto la «porta» delle pecore, cioè un elemento essenziale per la vita del gregge. Infatti, se manca la porta nel recinto delle pecore queste, se sono all’interno, sono impedite a raggiungere i pascoli dove potersi nutrire e le acque tranquille dove dissetarsi. Se, invece, le pecore sono fuori dal recinto, e quindi impossibilitate ad entrare, rimangono esposte ai ladri e alle bestie feroci (v. 9). Quindi Gesù utilizzando questa immagine si presenta nello stesso tempo come il guardiano o custode fedele, sommamente protettivo, e come la guida
La similitudine della porta non viene colta dai giudei e, allora, Gesù riprende l’immagine rapportandola questa volta a sé: “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, darà salvato; entrerà ed uscirà e troverà pascolo”. L’insistenza sulla porta permette, dunque, al Signore di sottolineare l’attendibilità del suo ministero, rivendicandone al tempo stesso l’origine divina. La porta è dunque simbolo della legittimità di Gesù di essere vero pastore e sicurezza delle pecore. Lui è l’unica porta di accesso al Padre. Senza Cristo è impossibile conoscere Dio ed essere salvati. Il Signore utilizzando questa immagine ci svela che l’uomo, quando accetta di lasciarsi guidare da Lui, è condotto a “pascoli erbosi” ed “acque tranquille”. Ossia entra in possesso della vita. Mentre per chi lo rifiuta “il mondo è vecchio, i pascoli brulli, l’acqua stantia” (R. Spaemann, Meditazione di un Cristiano sui salmi 1-51, Cantagalli 2019, 166).
I “pascoli erbosi” e le “acque tranquille” che il Signore promette ci vengono partecipata fin d’ora dai sacramenti. Il Battesimo immette l’uomo in un cammino nuovo nel quale si viene “istruiti dal Signore” per cui l’intelligenza umana, illuminato dallo Spirito Santo, diventa capace di interpretare il mondo e la vita alla luce di Dio. Il sacramento della Penitenza, invece, rinnova continuamente in noi la vita divina che possiamo perdere a causa dei peccati commessi dopo la nostra rinascita a figli di Dio. L’Eucarestia, infine, rende “possibile…incontrare la vita vera” (sant’Agostino). Infatti, i nostri corpi, nutriti dal Corpo e Sangue di Cristo, a suo tempo risorgeranno perchè il Verbo di Dio circonda di immortalità il nostro corpo mortale. Il Signore offre veramente ciò che nessun uomo può promettere.
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