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Un servizio di EWTN News

Diplomazia pontificia, Papa Francesco in Ungheria

La presidente di Ungheria Katalin Novak e Papa Francesco di spalle al Palazzo Sandor, 28 aprile 2023

C’è stato anche un bilaterale Ungheria – Santa Sede, a margine dell’incontro del Papa con la presidente Novak, che ha visto impegnati il Segretario di Stato, il Cardinale Pietro Parolin, e il Primo Ministro ungherese Viktor Orban. Non ci sono stati comunicati su questo bilaterale, ma i rapporti tra Ungheria e Santa Sede sembrano piuttosto rafforzati dopo la visita in cui il Papa ha lanciato la necessità di riumanizzare l’Europa proprio dal Paese centro europeo.

Oltre all’analisi dei temi diplomatici del viaggio, questa settimana è importante riepilogare i temi della visita dell’arcivescovo Gallagher in Liechtenstein, e in particolare il contenuto della sua conferenza su “Diplomazia e Vangelo”.

L’Armenia ha celebrato l’anniversario del Grande Male mentre l’occupazione del corridoio di Lachin rischia di avere gravissime conseguenze umanitarie.

                                                           FOCUS PAPA – UNGHERIA

Quale è stato il significato del discorso di Papa Francesco ai diplomatici

Il tema dell’Ungheria come Paese ponte è stato centrale nel discorso di Papa Francesco alle autorità di Budapest, nel monastero dei Carmelitani. Lo sottolinea Márk Aurél Érszegi, già collaboratore dell’Ambasciata di Ungheria presso la Santa Sede, che ha seguito da vicino i preparativi del viaggio.

“Sua Santità – spiega -  ha definito Budapest come città di ponti, ma anche di storia e di santi. Ha richiamato l’immagine di Budapest, dove i ponti collegano sì, le due parti della città, ma in modo che esse mantengano le proprie specificità, non solo architettoniche ma anche culturali. Con ciò il Papa ha voluto illustrare come secondo lui, e anche secondo i padri fondatori, dovrebbe essere l’Europa di oggi: “un’Europa centrata sulla persona e sui popoli … dove nazioni diverse siano una famiglia in cui si custodiscono la crescita e la singolarità di ciascuno”.

Secondo Érszegi, si tratta di un richiamo all’Ungheria di essere “un pontiere, che sembra “riflettere una frase del discorso della Presidente dell’Ungheria Katalin Novák dove ella richiamava l’attenzione al fatto che negli ultimi decenni in Ungheria, ma potremmo dire in Europa Centrale, uno dei campi della collaborazione ecumenica è quello della difesa della vita basata sui valori cristiani tradizionali, ossia dell’’Ecumenismo della preservazione dei valori’.”

Ma l’Ungheria vuole anche “essere un ponte cercando la collaborazione prima di tutto con i paesi e le nazioni della regione. Quando si critica l’Ungheria per un presunto nazionalismo viene del tutto trascurato che abbiamo una legge, quella sull’unità nazionale (Legge N. XLV del 2010) in cui si chiarisce la posizione ungherese per la soluzione dei problemi ereditati dal passato, soprattutto per quanto riguarda le minoranze ungheresi che vivono oltre i nostri confini (e che sono stati salutati in modo speciale da papa Francesco alla fine del suo discorso)”.

Inoltre, “La legge dichiara che l’Ungheria deve perseguire la soluzione a tali problemi tramite la collaborazione con i Stati vicini – questo è di per sé esclude l’autoreferenzialità e il nazionalismo contrario ai diritti degli altri popoli. Altrettanto significativo si può dire in un contesto centro-europeo che il Papa abbia elogiato la Costituzione ungherese, dicendo essere “veramente evangelica questa prospettiva”.

Papa Francesco ha pronunciato un discorso fortemente europeista, con una spinta per l’Ungheria di essere centro della rinascita europea, in una situazione forse paradossale considerando come l’Europa sembra mettere ai margini dell’Europa. Nota  Érszegi che il discorso è stato “pronunciato nell’Ex-Convento Carmelitano, ossia la sede del Governo ungherese”, e che rifletteva richiami precedenti del papa affinché l’Europa rispettasse l’identità dei suoi componenti.

Il diplomatico ungherese sottolinea che l’Ungheria “ha resistito tentativi di dominazione ‘imperiale’, ossia omologante, lottando sia contro gli Ottomani, sia contro gli Asburgo, ma anche contro il regime sovietico, e Papa Francesco ha voluto ricordare proprio la Rivoluzione ungherese del 1956!”

In particolare, è da notare che Papa Francesco abbia messo in luce il problema del gender, mentre l’Ungheria viene criticata “per voler arginare proprio l’ideologia del gender, a difesa soprattutto dei bambini”, così come viene criticata per la sua legge fondamentale, che invece il Papa ha citato cinque volte nel suo discorso.

L’appello europeista del Papa è particolarmente sentito in Ungheria, aggiunge Érszegi, perché “per gli ungheresi fa parte della propria identità nazionale appartenere all’Europa, quella delle nazioni, quella nata dai valori cristiani. È questo che l’Ungheria afferma di voler perseguire anche oggi. Il ché non significa forzare la fede, ma di stare chiaramente sul fondamento dei valori derivanti dalla fede cristiana. Quelli presenti anche nel pensiero dei padri fondatori, rievocati dal Papa”.

Piuttosto, sono da considerare i rapporti tra Chiesa e Stato, considerando che Francesco ha fatto un chiaro riferimento all’importanza della fede cristiana nel Paese.

Nel suo discorso, Papa Francesco ha parlato di “sana laicità”, ma ha anche ringraziato le Autorità ungheresi per il sostegno che lo Stato dà alle istituzioni caritative ed educative delle Chiese, nonché per “il sostegno concreto a tanti cristiani provati nel mondo, specialmente in Siria e in Libano”.

Nota Érszegi che “la Legge fondamentale ungherese pur prendendo atto del fatto che lo Stato e le Chiese ‘operano separatamente’ (cioè non è la legge che li separa, ma si prende atto di una realtà), aggiungendo che le due parti possono collaborare per i fini comuni della società”, un passaggio che “rende del tutto normale che lo Stato sostenga le iniziative delle varie Chiese presenti in Ungheria in quanto di utilità sociale, ossia importanti per una grande porzione della popolazione. Così abbiamo il finanziamento statale per le scuole e le istituzioni sociali cristiane uguale a quelle statali”.

Insomma, lo Stato ungherese “considera le Chiese come fattori di aggregazione, che favoriscono una società basata sulle comunità, sulle famiglie perciò le sostiene in questi sforzi. Ciò rappresenta per la Chiesa in Ungheria una opportunità di essere ‘in uscita’, ossia presente nei vari campi della vita”.

Érszegi mette anche in luce che ci sono diversi punti in comune tra Santa Sede e Ungheria, “dalla famiglia, all’Europa, all’attenzione ecologica”. Mentre sul tema delle migrazioni “dicuramente vi è un approccio diverso tra Papa Francesco e il Governo ungherese dovuto anche al fatto che i due hanno diverse responsabilità. Il Primo Ministro Viktor Orbán ha detto una volta che la responsabilità politica si sviluppa ‘a cerchi concentrici’: il Governo è prima di tutto responsabile per i propri cittadini, e poi vengono le alleanze e le varie situazioni dove si deve mostrare solidarietà anche con popolazioni lontane. Come per l’Ungheria succede con il Programma Hungary Helps che ha come uno dei principali obiettivi l’aiuto ai cristiani perseguitati o in varie situazioni di difficoltà”.

Allo stesso tempo, il diplomatico ungherese nota che “anche Papa Francesco dice che è la responsabilità dei politici valutare quante possibilità ha il proprio paese per integrare dei migranti. Non solo di accoglierli, ma anche di integrarli. E che il problema delle migrazioni forzate va risolto anche curando i problemi che stanno alla radice del fenomeno. Un approccio che è in linea con quanto l’Ungheria sta facendo.

Un tema in comune è sicuramente quello della costruzione della pace nello scenario ucraino. Érszegi sottolinea che “soprattutto negli incontri dell’ultimo anno tra le Autorità ungheresi e il papa i punti in comune sono stati approfonditi ancora di più, aggiungendo ultimamente il tema della pace in Ucraina, su cui vi è un identità di vedute tra la Santa Sede e l’Ungheria”.

“L’Ungheria – spiega infine -  dimostra la propria solidarietà fattiva con gli ucraini, accogliendo i rifugiati e inviando un’enorme quantità di aiuti umanitari nell’Ucraina stessa. Tuttavia sin dal principio ha ritenuto pericoloso per la pace in Europa l’avvio di una escalation militare. E non bisogna dimenticare che in Ucraina, nella Transcarpazia, vive una consistente minoranza autoctona di ungheresi che ovviamente soffrono allo stesso modo con gli altri ucraini. La posizione ungherese anche in questo tema cerca di tenere presente anche ‘il dopodomani’, cioè gli effetti a lungo termine”.

Il commento della presidente Novak

Nel suo discorso davanti a Papa Francesco, la presidente Katalin Novak ha ribadito l’impegno per la pace.

(La storia continua sotto)

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“È con dolore e speranza – ha detto - che mi rivolgo ora a Vostra Santità. Noi ungheresi possiamo quasi toccare con mano la devastante realtà della guerra. Stiamo facendo di tutto, al limite delle nostre possibilità per aiutare il milione e mezzo di persone che fuggono dall'Ucraina verso di noi, vediamo il dolore delle famiglie lacerate, sentiamo le grida delle madri che piangono i loro figli. Tra di esse anche quelle delle madri ungheresi della Transcarpazia. Vediamo l'ingiustizia. Vogliamo proteggere i nostri valori e il nostro futuro comune. Ma noi madri vogliamo in primo luogo vincere la pace, non la guerra. Non vogliamo mandare i nostri figli, i nostri mariti sul fronte”.

La presidente ha aggiunto che ci si trova “ancora distanti dalla strada che conduce alla pace! E dalla reale volontà di arrivare al silenzio delle armi! Dov'è la consapevolezza della necessità di non riscaldare, al contrario, di raffreddare la guerra, gli animi!”

Inoltre, la presidente ha lanciato l’idea di un ecumenismo per la protezione dei valori cristiani, che si affianca all’ecumenismo cosiddetto del sangue che è l’ecumenismo del martirio, e ha sottolineato che Ungheria e Santa Sede possono essere alleati in questi valori comuni.

Dopo l’incontro, la presidente Novak ha raccontato in un tweet che il Papa le ha chiesto di “essere ambasciatrice di pace e di fare tutto il possibile per far giungere ad una giusta pace il prima possibile”, lodando anche la leadership femminile.

In un tweet successivo, Novak ha detto che “la Santa Sede è importante nel difendere i valori della famiglia tradizionale e abbiamo ulteriormente rafforzato questo legame con la Santa Sede nell’incontro con Papa Francesco oggi. Il Papa ha anche grandemente apprezzato ciò che l’Ungheria fa per i cristiani perseguitati”.

Papa Francesco in Ungheria, l’arcivescovo Banach spiega il senso del viaggio

Alla vigilia del viaggio di Papa Francesco in Ungheria, l’arcivescovo Michael Wallace Banach, nunzio apostolico in Ungheria, ha concesso una lunga intervista al Magyar Kurir per definire l’importanza del viaggio.

Nell’intervista, il nunzio ha sottolineato che “è particolarmente interessante che l'Ungheria sia il primo paese che visita due volte: penso che questo sia un segno di riconoscimento del paese. D'altra parte, la sua visita è un grande piacere per la nunziatura e per me personalmente. La nunziatura apostolica è presente nei paesi come rappresentanza diplomatica, ma allo stesso tempo è chiamata anche la casa del papa”.

Il nunzio ha detto che la visita del Papa va vista da due aspetti: sia la facilità di un viaggio in un volo breve, sia dalla vicinanza all’Ucraina, che rende questo viaggio nel cuore dell’Europa ancora più forte.

Per l’arcivescovo Banach, è importante che il Papa sia venuto a rafforzare i cattolici nella fede, perché “oggi essere cristiani può non essere di moda, soprattutto in Occidente, ma allo stesso tempo, qui in Ungheria, le persone possono professare e vivere la loro fede cristiana nel mondo moderno. Questa è una bella eredità che il Papa può dare ad altri Paesi come esempio da seguire”. 

                                               FOCUS SEGRETERIA DI STATO

La visita di Gallagher in Liechtenstein

L’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, è stato in visita in Liechtenstein il 24 e 25 aprile, e ha avuto incontri istituzionali con il primo ministro Daniel Risch e il ministro degli Esteri, dell’Istruzione e dello Sport Dominique Hasler, e ha fatto una visita di cortesia al principe ereditario Alois von und zu Liechtenstein.

Il viaggio è iniziato con una preghiera privata nella cappella di St. Maria zum Trost auf Dux (Santa Maria della Consolazione su Dux) e ha avuto un momento importante il 25 aprile, quando il “ministro degli Esteri” vaticano è intervenuto alla conferenza “Diplomacy and the gospel”, “La diplomazia e il Vangelo”, che si è tenuta presso il municipio di Vaduz.

Nel suo discorso, l’arcivescovo Gallagher ha notato che “ora che anche l’Europa sente più che mai la minaccia per la pace, essendo ferita dalla tragica guerra di aggressione della Russia contro la martoriata terra ucraina, non si può dare più nulla per scontato”. E ha chiesto di guardare al “movimento verso la pace” che si può trovare nel vangelo, con l’obiettivo di tirare fuori “le persone, le nazioni, i popoli dalla spirale della guerra, del rancore e dell’odio, per portarli alla strada del dialogo e della ricerca del bene comune”.

L’arcivescovo Gallagher ha sottolineato che "la diplomazia pontificia non ha interessi di potere: né politico, né economico, né ideologico", ha spiegato che non è una diplomazia come quelle degli Stati, perché tiene prima di tutto alla promozione del bene comune, cosa che le permette di rappresentare "con maggiore libertà agli uni le ragioni degli altri e denunciare a ciascuno i rischi che una visione autoreferenziale può comportare per tutti".

Per questo, il Papa è considerato una autorità morale e un punto di riferimento. Ma, per quanto riguarda il conflitto in Ucraina, purtroppo “malgrado tutti gli sforzi del Santo Padre e della Santa Sede, ancora non si è aperto uno spiraglio utile per favorire una mediazione di pace tra la Russia e l’Ucraina".

Il “ministro degli Esteri” della Santa Sede ha messo in luce che ci sono diversi tipi di guerre, dalle guerre dirette a quelle per procura, da quelle civili a quelle ibride, fino a quelle congelate che rischiano di diventare conflitti transnazionali. In alcuni casi, l’attività diplomatica sembra fallire, ma questo dipende anche dal fatto che “a volte la situazione geopolitica è talmente differenziata e polarizzata, colma di frantumazione di ogni legame, che ogni riassestamento diventa estremamente difficile. Non dimentichiamo, poi, che spesso sono i flussi di denaro e di armi che sostengono e alimentano i conflitti”.

La domanda è come sia possibile “reclamare comportamenti corretti, se si continua ad approvvigionare le parti in conflitto con le armi?".  

Da parte sua, la Santa Sede – dice l’arcivescovo Gallagher – “sostiene una diplomazia che deve riscoprire il suo ruolo come portatrice della solidarietà tra le persone e i popoli come l’alternativa alle armi, alla violenza e al terrore. Una diplomazia che si fa vettore di un dialogo, di una cooperazione e di una riconciliazione, che subentrano al posto delle rivendicazioni reciproche, delle opposizioni fratricide, dell’idea di percepire altri come nemici o di rifiutare totalmente l’altro”.

L’arcivescovo Gallagher ha poi affermato che l’università è “un luogo privilegiato per far crescere una cultura della pace”, e ha ribadito la necessità di ritornare alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, che il prossimo 10 dicembre compirà il 75esimo anniversario, diritti sui quali la Chiesa è in prima linea.

“In un mondo – ha detto - in cui spesso sono persistenti e gravi le violazioni dei diritti umani, la Chiesa invita a riconoscere l'interdipendenza dei popoli come presupposto di uno spirito di fratellanza”.

Gallagher ha anche messo in luce la crisi del multilaterale che si è resa evidente con il conflitto in Ucraina, ribadendo un antico cavallo di battaglia della Santa Sede, ovvero la riforma delle Nazioni Unite, di cui si parlava già nella Caritas In Veritate di Benedetto XVI. Una riforma – dice l’arcivescovo – “in modo più rappresentativo, che tenga conto della necessità di tutti i popoli”.

Come la Santa Sede ha già fatto in più occasioni, Gallagher ha chiesto del recupero dello “spirito di Helsinki”, ovvero dello spirito che portò nel 1975 alla dichiarazione che fu alla base della costituzione dell’Organizzazione per la Cooperazione e la Sicurezza in Europa (OSCE).

L’arcivescovo Gallagher ha anche messo in luce il rischio che l’Europa diventi “sempre più un corpo - magari anche apparentemente ben organizzato e molto funzionale - ma senza anima; il che è in profondo contrasto con la reale identità dell’Europa, invece ricca di storia, di tradizione e di umanità".

Per il rappresentante della Santa Sede, la responsabilità politica deve essere vissuta “nel segno della misericordia”, come forma alta di carità. E torna al tema della guerra in Ucraina. “Non ci possiamo rassegnare – sottolinea - al fatto che la guerra in Ucraina possa continuare per lungo tempo con conseguenze tragiche ed inimmaginabili".

E continua: "Anche se al momento non sembrano esserci spiragli di apertura per eventuali negoziati, non bisogna mai perdere la speranza e, soprattutto i credenti in Cristo, devono mantenere vivo l’ideale della pace e la fiducia in Dio che questa guerra finirà, anche se non sarà la fine immaginata dal Presidente Zelensky o dal Presidente Putin”.

Ci vuole “una pace concreta, mutabile e in divenire, in modo che sia l’anello di un nuovo processo virtuoso tra le parti in conflitto e non solo un’attribuzione di vincitori e vinti”.

Il viaggio dell’arcivescovo Gallagher avviene a poco tempo dalla rinuncia per limiti di età dell’arcivescovo di Vaduz Haas. L’arcivescovado di Vaduz era stato creato dalla diocesi di Coira in Svizzera, ed è l’unica conferenza episcopale nazionale senza in realtà alcuna rappresentanza nel Consiglio delle Conferenze Episcopali di Europa. Dato che la posizione era stata creata con il vescovo Haas, c’era il timore che l’arcivescovado venisse riassorbito.

Nel suo incontro al municipio di Vaduz, tuttavia, Gallagher ha assicurato che l’arcidiocesi sarebbe rimasta in vita e ha assicurato che si sarebbe trovato un buon pastore per il Liechtenstein.

                                                           FOCUS ASIA

Crisi Lachin, le parole di L’Oeuvre d’Orient

Il 27 aprile si è celebrato l’anniversario dello Yetz Megernh, il Grande Male, ovvero il genocidio armeno che portò allo sterminio di un popolo. Ma da quasi 140 giorni c’è il rischio della ripetzione di eventi simili, dato che il corridoio di Lachin, unica via d’accesso tra il Nagorno Karabakh / Artsakh e la capitale dell’Armenia Yerevan, è bloccato da attivisti ecologici che si dice siano legati al governo azerbaijano. Da parte sua, il governo azerbaijano nega un coinvolgimento e lamenta l’esagerazione delle accuse armene.

Di fatto, però, la situazione è drammatica, tanto che l’Oeuvre d’Orient, che si occupa da 170 anni dei cristiani in 20 Paesi, ha denunciato che “con il blocco nel corriodio di Lachin il genocidio armeno continua”.

“Dal 12 di dicembre – si legge ancora nella comunicazione - l'Azerbajgian ha dispiegato un blocco armato nel corridoio di Latchine, l'unica via che collega il Nagorno all'Armenia, unica fonte di approvvigionamento di cibo, medicine ed energia e dove c'è una situazione di carenza di beni di prima necessità (cibo, prodotti per l'igiene, medicine, carburante ed elettricità). Oggi, 20.000 studenti non frequentano più la scuola in Nagorno-Karabakh e 860 imprese locali hanno sospeso le loro attività economiche. I 120.000 armeni che vivono nella regione stanno soffrendo grandi difficoltà”.

L’associazione francese arriva a sottolineare che il governo di Baku “dimostra uno spirito non dissimile da quello degli autori del genocidio armeno del 1915. Con questo blocco, l'Azerbaigian intende svuotare l'intera popolazione armena del Nagorno-Karabakh, soffocandola”.

La questione del corridoio di Lachin è stata affrontata anche da Papa Francesco nei suoi appelli dopo l’Angelus, mentre il 19 gennaio 2023, il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione sulle conseguenze umanitarie del blocco chiedendo all'Azerbaigian di aprire immediatamente il corridoio”.

Il blocco del corridoio è una delle conseguenze del conflitto del 2020, che si è concluso con una pace dolorosa per l’Armenia, costretta a cedere il controllo di diversi territori e a lasciare isolate alcune delle grandi vestigia storiche della presenza armena nella regione. Da tempo, si parla di un “genocidio culturale” in atto nella storica terra dell’Artsakh.

India, il Primo Ministro Modi incontra otto vescovi

Continuando nel suo impegno di dialogo con il mondo cattolico in vista delle elezioni, il Primo Minsitro indiano Narendra Modi ha incontrato il 24 aprile otto vescovi lo scorso lunedì. Si trattava del Cardinale George Alencherry, capo della Chiesa siro Malabarese, il Cardinale Baselios Cleemis, capo della Chiesa Sior Malankarese, il capo della Chiesa siro ortodossa Baselios Marthom Mathews III, il metropolita della Chiesa Giacobita Joseph Mar Gregorius.

Il primo ministro indiano ha anche incontrato l’arcivescovo Joseph Kalthiparambil, l’arcivescovo Kuriakose Mar Severioso, e il metropolita della Chiesa Siriaco – Caldea Mar Awgin Kuriakose.

L’incontro era parte di un tour di due giorni in Kerala programmato dal capo del governo di Nuova Delhi per visitare i leader delle minoranze religiose.

                                                                       FOCUS AFRICA

Sudan, evacuato il personale diplomatico

La difficile situazione in Sudan ha portato anche all’evacuazione di diverso personale diplomatico, tra cui alcuni impiegati della nunziatura apostolica a Karthoum. Già la scorsa domenica, il ministro degli Esteri Antonio Tajani aveva annunciato l’evacuazione di circa 200 civili, da tra cui 140 cittadini italiani, diversi svizzeri, 20 cittadini europei e alcuni impiegati della nunziatura.

Negli scorsi giorni, in Sudan è stata attaccata persino la cattedrale di El Obeid, mentre alcuni ribelli erano arrivati fino alla chiesa della nunziatura.

Papa Francesco ha fatto un appello per la cessazione degli scontri già nell’Angelus dello scorso 18 aprile.  

                                                                       FOCUS EUROPA

La visita del Primo Ministro di Ucraina all’ordine di Malta

Ha invitato Papa Francesco a visitare l’Ucraina, ma prima ancora ha chiesto al Papa di aiutare a liberare i bambini che sono stati portati in Russia, e di cui non ci sono notizie. Denys Shmyhal, primo ministro dell’Ucraina, è stato tra Italia e Santa Sede in questi giorni. Tra i suoi incontri, la visita alla Villa Magistrale del Sovrano Militare Ordine di Malta fra’ John Dunlap, che ha marcato anche il quindicesimo anniversario dello stabilimento delle relazioni diplomatiche tra l’Ordine di Malta e l’Ucraina.

Un comunicato dell’Ordine di Malta nota che, nonostante le relazioni diplomatiche siano state avviate nel 2008, “i legami di amicizia e cooperazione risalgono al 1990 quando l'Organizzazione di soccorso dell'Ordine di Malta in Ucraina ha avviato le sue prime attività umanitarie. I programmi delle sue tre strutture - situate a Lviv, Ivano-Frankivsk e Berehove - si sono sviluppati sempre di più nel corso degli anni, soprattutto a partire dal febbraio 2022, all’indomani dello scoppio della guerra con la Russia”.

Nel corso dei colloqui – sottolinea ancora il comunicato – “si è parlato della drammatica situazione umanitaria nel Paese, che risulta essere il più contaminato al mondo da mine antiuomo. Il premier Shmyhal ha spiegato che le operazioni per sminare il territorio impiegheranno centinaia di anni e per questo sarà necessario personale altamente qualificato”.

Il primo ministro ucraino ha messo in luce tra le priorità la “la salute mentale della popolazione ucraina - soprattutto quella dei bambini”, e ha auspicato che questa emergenza sarà affrontata con una ulteriore sinergia con l’Ordine.

Fra’ John Dunlap, Luogotenente di Gran Maestro, ha da parte sua sottolineato che “la stretta e proficua sinergia tra la nostra Ambasciata a Kiev e la nostra organizzazione di soccorso ci permette di svolgere al meglio la nostra missione umanitaria, che beneficia anche dell'Accordo di cooperazione che abbiamo firmato con l'Ucraina nel 2019”.

All’incontro hanno partecipato anche il Gran Commendatore Fra’ Emmanuel Rousseau, il Grande Ospedaliere Alessandro de Franciscis, il Ricevitore del Comun Tesoro Fabrizio Colonna, il Segretario Generale degli Affari Esteri Stefano Ronca e l’Ambasciatore dell’Ordine di Malta in Ucraina, Antonio Gazzanti Pugliese di Cotrone.

La stretta collaborazione tra le entità diplomatiche e operative dell'Ordine, sia in Ucraina che nei Paesi limitrofi, ha permesso di offrire aiuti d'emergenza e supporto umanitario a centinaia di migliaia di sfollati e rifugiati che hanno attraversato i confini.

 L’Ordine di Malta ha attivato una rete di sostegno sia in Ucraina che nei paesi confinanti fornendo sostegno medico e sociale, assistenza logistica e psicologica, mettendo a disposizione rifugi per gli sfollati e distribuendo generatori e batterie solari e allestendo un laboratorio mobile di protesi per le vittime delle mine antiuomo. Il Malteser International, l’agenzia di soccorso mondiale dell’Ordine di Malta, ha coordinato - e coordina tutt’oggi - gli sforzi nazionali e internazionali, aumentandone l'efficacia.

Più di 6.100 tonnellate di aiuti sono stati distribuiti a circa 65 città e paesi dell’Ucraina; oltre 680.000 razioni di cibo sono state distribuite ai punti di confine e all'interno dell'Ucraina; oltre 130 psicologi sono impegnati nel Paese con progetti di assistenza soprattutto per i bambini traumatizzati e per dare supporto ai medici e infermieri a rischio “burn out”; oltre 13.000 persone hanno seguito i corsi di primo soccorso di base. Le Associazioni nazionali dell’Ordine di Malta nei paesi circostanti – Polonia, Ungheria, Slovacchia, Romania – hanno tutte partecipato ai soccorsi fornendo personale qualificato, alloggi, assicurando assistenza medica e trasporto di feriti.

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