Budapest, 27 April, 2023 / 9:00 AM
L’Ungheria è una nazione che ha la sua vocazione ad essere ponte tra Oriente e Occidente, luogo di dialogo. E l’ungherese è un cittadino del mondo, ma radicato nella sua storia, nella sua identità. Il Cardinale Péter Erdő, arcivescovo di Budapest, lo racconta ad ACI Stampa in una intervista a tutto campo che tocca i temi della visita del Papa, che sarà a Budapest dal 28 al 30 aprile. Una visita cercata dal Papa, che include anche un incontro con il mondo della cultura, e che arriva in una Ungheria che raccoglie ancora i frutti del Congresso Eucaristico Internazionale del settembre 2021.
A un anno e mezzo dal Congresso Eucaristico Internazionale di Budapest, il Papa torna per un viaggio questa volta in Ungheria. Cosa ha lasciato il Congresso nel cuore degli ungheresi? E cosa è stato costruito da allora?
Dopo il Congresso Eucaristico Internazionale è rimasto molto. Stanno continuando i programmi che durante il Congresso sono stati più di successo, come le adorazioni musicali con la gioventù, che raccolgono ogni anno migliaia e migliaia di giovani. Sono state stabilite reti di consulenza cattolica e aiuto cattolico per le situazioni famigliari, per le coppie, per l’educazione di figli per gli anziani, per i malati, ma anche per le persone che vivono nella disoccupazione. È diventato evidente che i cattolici possono incontrarsi e aiutarsi a vicenda. Si tratta di un passo avanti verso una Chiesa che non è solo una comunità liturgica, ma che si estende alla vita. Questo processo è diventato più intenso anche con l’apertura verso il mondo dell’arte e della cultura. L’apertura era già presente, ma oggi è più conosciuta, e più praticata. La stessa fondazione dell’università cattolica di Budapest è stata una iniziativa per riprendere il dialogo tra scienza e fede.
L’Ungheria è una nazione nel cuore nel cuore dell’Europa. In che modo la Chiesa ungherese può dare un contributo ad una Europa che oggi è lacerata da un conflitto che ha luogo, tra l’altro, a un passo dall’Ungheria? Come può essere ponte?
Quello di essere ponte è sempre stata la nostra vocazione. Il Danubio che attraversa la città di Budapest è stato il confine dell’Impero Romano, il confine dell’Impero di Carlo Magno, è stata la provincia più settentrionale dell’Impero Ottomano. Da mille l’anni, l’Ungheria si comprende come parte del mondo occidentale, e vi è entrata attraverso la Santa Sede con il nostro re Santo Stefano. Per questo, i nostri rapporti con il pontificato e con il Papa hanno un valore anche simbolico per la nazione, e non solo per i cattolici.
Ma qual è la situazione delle religioni in Ungheria?
In Ungheria sono presenti molte religioni e diverse confessioni cristiane, sebbene la Chiesa Cattolica di rito latino è ancora la più grande del Paese. Circa il 5 per cento dei cattolici nel Paese sono di rito bizantino, c’è una comunità calvinista che conta il 15-17 per cento della popolazione, circa il 3 per cento sono luterani. C’è anche una comunità ebraica molto consistente, con una propria università, e nella città di Budapest ci sono tante sinagoghe che funzionano e che rappresentano forme di dialogo preziose. A Budapest sono presenti anche diverse Chiese Ortodosse antiche e le Chiese pre-calcedoniane. La città è sede di un vescovo della Chiesa ortodossa copta, e ci sono anche gli Apostolici Armeni. Budapest è anche territorio di almeno cinque patriarcati ortodossi: Costantinopoli, Mosca, Bucarest, Belgrado e Sofia.
Come si sviluppa il dialogo con queste confessioni?
Come abbiamo imparato molto bene durante gli anni del nostro servizio presso il Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee, il nostro compito a livello ecumenico non è mercanteggiare sui principi dogmatici ma piuttosto la ricerca di posizioni comuni e di azioni comuni a livello sociale e morale, ci sono questioni che incontrano grande consenso. Questi temi sono: la dignità della vita umana, l’apprezzamento della famiglia, la giustizia sociale, la difesa dei più deboli e anche direi il rapporto tra religione e vita pubblica, l’autonomia o indipendenza della sovranità della Chiesa: anche qui ci sono punti di conformità o di consenso.
Quale è il messaggio che spera Papa Francesco porterà al popolo ungherese?
Il Santo Padre ha deciso di venire in Ungheria dopo il suo viaggio a Budapest e in Slovacchia. Già sulla via di ritorno per Roma ha detto che ha intenzione di ritornare in Ungheria. Voleva fare una visita pastorale, voleva incontrare il popolo e la Chiesa ungherese, una grande manifestazione di attenzione e di simpatia verso di noi, per cui ci sentiamo molto onorati per la visita. Secondo noi la visita del Papa potrà rinforzare la nostra fede e darci molta speranza. Quando il Papa appare in una visita apostolica, i fedeli sentono Gesù Cristo stesso nella sua persona. Perché è vero che noi incontriamo Cristo nei sacramenti, nei poveri ma in modo speciale nel vicario di Cristo, e il mondo ha bisogno di speranza, di futuro. Il motto di questa visita è: “Cristo è il nostro futuro”. Il Papa rappresenta questa speranza.
Dire che “Cristo è il nostro futuro” è anche un grande omaggio a Giovanni Paolo II, che venti anni fa nell’esortazione Ecclesia in Europa diceva che “Cristo è la speranza dell’Europa” …
San Giovanni Paolo II era un grande europeo, parlava molto di Europa. Per esempio, quando parlava di oriente e occidente parlava come europeo. Questi concetti hanno senso solo in contesto europeo e mediterraneo, perché sin dall’antichità cristiana c’è forma orientale e occidentale del cristianesimo. Giovanni Paolo II parlava anche degli edifici di culto sulle Chiese, perché i monumenti sono anche mezzi potenti di evangelizzazione. I campanili rappresentano un segno verso l’Alto. Ti invitano a guardare verso il cielo, a vedere che tutta la nostra comunità, tutta la nostra vita è inserita nel progetto di Dio. Non siamo soltanto prodotti di un caso, ma di un grande progetto saggio e benevolo, pieno di carità verso di noi e questo può essere manifestato.
C’è qualcosa di rivoluzionario nel dire che “Cristo è il nostro futuro” in un mondo sempre più secolarizzato.
Cristo è sempre stato rivoluzionario anche nei suoi tempi. La fede è sempre un atteggiamento rivoluzionario. Bisogna capire e apprezzare l’esperienza dei cristiani del Centro-Est europeo, delle generazioni che hanno attraversato tutta l’epoca comunista. Naturalmente essere credenti è sempre stata una decisione non conformista. Noi siamo per natura non conformisti, siamo figli di non conformisti. Abbiamo vissuto il momento in cui tutti i mass media dicevano che la religione era superata, e la scienza diceva che era provato che la religione non potesse essere vera.
Durante questa visita, Papa Francesco ha incluso un incontro con il mondo della cultura, all’Università Cattolica Pázmány Péter. Quale è l’importanza di questa visita?
Una delle sfide più grandi della Chiesa cattolica in Ungheria è la gioventù. Negli ultimi decenni abbiamo visto la restituzione di non poche scuole che prima erano cattoliche, e poi abbiamo potuto assumere la gestione di altre scuole su richiesta della maggioranza dei genitori. Per questo, tra il 15 e il 17 per cento delle scuole del Paese è in gestione cattolica. Gli insegnanti tuttavia sono laici cattolici e laici magari non cattolici, ma animati degli stessi valori.
Che peso ha l’università Cattolica?
L’Università Cattolica è nata da noi per la necessità di rompere il muro tra fede e scienze. Si tratta di un muro artificiale, ma presente. Nel mondo della scienza quelli che erano religiosi non potevano entrare, e questo ha avuto luogo durante tutto il periodo comunista. Persino nella nostra costituzione era stato scritto che la forza guida della società è il partito marxista leninista della classe operaia. Per questo, chi non era marxista-leninista aveva meno accesso. Era dunque necessario riprendere il dialogo tra fede e cultura, e fede e scienza, e per questo bisognava creare qualche istituzione. Proprio trenta anni fa abbiamo fondato università cattolica. Essa ha ricevuto, poi, l’atto di fondazione anche da parte della Santa Sede.
Ma quanto è importante la visita del Papa?
Il Papa andrà nella Facoltà di Informatica e Bionica, ed è una scelta importante per noi. La fede cristiana è una visione del mondo, e la visione del mondo presuppone una immagine sul mondo, sull’universo, sulla totalità della realtà in cui viviamo, e le scienze naturali possono dare un grande aiuto perché la cultura cattolica sia in viva relazione con il sapere generale dell’umanità, quindi il compito è grande. Aspettiamo dal Papa un incoraggiamento, in un incontro in cui sono invitati anche i rappresentanti della vita scientifica come il presidente attuale e i presidenti passati dell’Accademia delle Scienze di Ungheria.
Che importanza ha la cultura cattolica in Ungheria?
(La storia continua sotto)
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La cultura cattolica non è grazie a Dio un ambito ermeticamente separato dal resto della nostra cultura, ma in ogni settore ci sono personaggi credenti che non devono nascondere la loro fede. Ci sono altri che non hanno una tale visione che non ostacola il dialogo, ci sono tanti intellettuali che sono aperti alla fede, ci sono anche intellettuali credenti di altre confessioni.
Ma c’è un impatto sul mondo culturale?
In Ungheria oggi si può professare pubblicamente la propria fede, questo è chiaro. Altra questione è che forse ci sono ambienti che sono caratterizzati piuttosto da altre visioni del mondo, Ma ci sono anche riviste, programmi radio e tv, centri di cultura che sono piuttosto cattolici o cristiani. Una novità che viviamo è la rinascita delle sale parrocchiali. Sotto il comunismo, tutto era stato confiscato, tranne gli edifici delle chiese, e per questo i fedeli non avevano occasione di incontrarsi fuori dalla liturgia. Ora ci sono sale parrocchiali, sale di cultura presso le parrocchie. Ci sono programmi culturali, e alcuni di queste sale sono molto frequentate.
Leggo che più di 3000 Chiese sono state ricostruite o restaurate in Ungheria nell'ultimo decennio. È il frutto di una nuova religiosità del popolo ungherese? Quanto è significativo come dato?
Quando parliamo di chiese, si parla di chiese non solo cattoliche. Era necessario. Dopo la guerra, il 66 per cento delle parrocchie stava sotto giuspatronato. A seguito delle confische i patroni erano espropriati e anche le amministrazioni comunali avevano dichiarato di non riconoscere questo dovere, e così né la Chiesa aveva i mezzi per la manutenzione, né altri si sobbarcavano questi costi. Era dunque necessaria una manutenzione, e l’aiuto dello Stato è stato importante. Ma è lo stesso in tutti gli altri Paesi che erano di là della Cortina di Ferro. Per esempio, in Romania ci sono state molte costruzioni religiose finanziate dallo Stato. La rinascita dopo il comunismo portava anche con sé l’impegno di far rinascere l’eredità culturale e morale delle diverse nazioni, dopo il crollo del sistema marxista è rimasto un vuoto morale, culturale, che era un pericolo per la società.
Quindi non ci troviamo di fronte ad una società troppo secolarizzata…
Io direi che ci sono due processi principali che vanno in senso opposto. Il primo è la secolarizzazione generale, che si lega con il consumismo. Non era questa entrata gradualmente nella società come in occidente, ma c’è stata rottura all’inizio dell’epoca comunista. Oggi c’è una secolarizzazione che si mostra come disinteresse, distrazione, agnosticismo. Poi c’è un altro processo, dato dalla rinascita di alcune strutture che viene anche di questo bisogno di dare senso alla vita, dare una moralità alla comunità. Sono due processi che il ministero delle Chiese deve tenere presente.
Parlando di dialogo ecumenico sorprende che non c’è un incontro con i protestanti, mentre c’è una visita non prevista inizialmente alla comunità greco cattolica. Perché?
Quando il Papa venne per il Congresso Eucaristico Internazionale, c’è stato incontro con membri del Consiglio Ecumenico delle Chiese e anche rappresentanti delle comunità ebraiche. Questa volta i programmi erano molto stretti, ma naturalmente tutti i rappresentanti ecumenici sono aspettati con grande gioia alla messa di chiusura del programma su piazza Kossuth, dove avranno posto di onore, ci saranno anche alcuni non cristiani.
Ma cosa è davvero l’Ungheria?
Bisogna venire a vedere. Viviamo qui da ormai 1150 anni quasi. Sempre abbiamo l’impressione che non ci capiscono. Gli ungheresi di 1100 anni fa avevano comunque già una visione geografica molto larga. Santo Stefano ha fondato delle case per i pellegrini con le rispettive chiese e cappelle a Roma, Ravenna, Costantinopoli, Gerusalemme. Ci sono cappelle ungheresi in diverse chiese del mondo, partendo dalla basilica di San Pietro, ma anche a Cracovia, nel National Shrine di Washington. Esiste una presenza, che mostra la voglia di avere questi rapporti di appartenenza e comprensione soprattutto nella fede. L’ungherese è un cittadino del mondo, ma profondamente radicato nella sua storia.
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