Roma, 05 April, 2023 / 12:30 AM
“Ecco il primo annuncio di Pasqua che vorrei consegnarvi: è possibile ricominciare sempre, perché sempre c’è una vita nuova che Dio è capace di far ripartire in noi al di là di tutti i nostri fallimenti. Anche dalle macerie del nostro cuore (ognuno di noi sa, conosce le macerie del proprio cuore) anche dalle macerie del nostro cuore Dio può costruire un’opera d’arte, anche dai frammenti rovinosi della nostra umanità Dio prepara una storia nuova. Egli ci precede sempre: nella croce della sofferenza, della desolazione e della morte, così come nella gloria di una vita che risorge, di una storia che cambia, di una speranza che rinasce”.
Abbiamo preso in prestito l’inizio dell’omelia di papa Francesco pronunciata nella veglia di Pasqua del 2021 per incontrare il teologo prof. Giuseppe Falanga, docente di Liturgia alla Pontificia Università della Santa Croce in Roma ed autore di pubblicazioni e di numerosi articoli e recensioni in riviste scientifiche e divulgative, chiedendogli di spiegarci in quale modo è possibile vivere la vita nuova della Pasqua:
“Nello stesso modo che fu chiesto agli ebrei e a Gesù Cristo: compiendo un passaggio. Un passaggio diverso, dall’uomo vecchio all’uomo nuovo, da un modo di vivere a un altro, dal vivere per il mondo e secondo il mondo, al vivere per Dio. Il Vangelo ha una parola per esprimere tutto questo, ed è quella con cui abbiamo iniziato la nostra Quaresima: conversione. ‘Pasqua’ significa ‘passaggio’, dicevano i nostri padri nella fede; ‘Pasqua’ significa ‘conversione’, diremo noi con altrettanta verità. Un passaggio tra sponde ravvicinate, ma quanto profonde! C’è un abisso di mezzo: dall’io a Dio, dal me agli altri. Ecco, credo che se entreremo in questa prospettiva coraggiosa, mettendoci in stato di decisione e di conversione davanti a Dio, noi quest’anno potremo davvero fare la Pasqua con Cristo. I riti non saranno più solo riti, ma diventeranno realtà viventi, segni e fonte di grazia e ci verrà da esclamare, per la prima volta in modo nuovo: è la Pasqua del Signore!”
Allora quale bellezza offre la Settimana Santa, che introduce al mistero pasquale?
“Non solo dai giornali o dalla televisione, ma soprattutto dai social, specchio della realtà in cui viviamo, emerge che la bellezza sta al centro della vita e dei rapporti economici, sociali e culturali dell’attuale mondo occidentale. Oggi, per perseguire i canoni di una certa bellezza, donne e uomini sono disposti a fare sacrifici e pagare un caro prezzo in termini di tempo e di costi. Si tratta, però, di una bellezza ridotta a cosmesi, a ‘trucco’, nel duplice senso del termine, che sottolinea anche l’ambiguità di una tale bellezza. La Settimana Santa, invece, ci invita a guardare oltre. Paradossalmente, è soprattutto guardando a Gesù, il Crocifisso-Risorto, che noi possiamo contemplare la bellezza, meglio ancora la Bellezza, intesa non come qualcosa di gratificante per la vista, ma come splendore della verità di Dio”.
Nel giorno dopo il sabato Gesù dice alle donne di non temere: come sconfiggere la paura della morte?
“Le prime parole del Risorto alle donne che vanno al sepolcro sono: ‘Non temete’. Il Signore sa che i timori sono i nostri nemici quotidiani. Sa pure che le nostre paure nascono dalla grande paura, la paura della morte: paura di svanire, di perdere le persone care, di star male, di non farcela più… Ma a Pasqua Gesù ha vinto la morte. Nessun altro, dunque, può dirci in modo più convincente: ‘Non temere’, non avere paura. E il segreto per non aver paura è andare ad annunciare: uscire dalle tombe delle nostre paure, perché le paure sono come una tomba, ci seppelliscono dentro. Il Signore sa che il timore sta sempre accovacciato alla porta del nostro cuore e che abbiamo bisogno di sentirci ripetere (al mattino di Pasqua come al mattino di ogni giorno) non temere, abbi coraggio”.
In quale modo la Croce da segno di sofferenza diventa segno di salvezza?
“Se per la letteratura greco-romana la Croce rappresentava un abominio da evitare e se per quella più propriamente giudaica una maledizione divina, per i cristiani, fin dall’antichità, essa costituisce il cuore della loro ‘professione di fede’. A fronte di un’esecrazione generale nel mondo antico nei confronti della crocifissione (pena capitale di origine persiana e poi particolarmente diffusa tra le popolazioni barbare) i primi cristiani, infatti, non esitarono a professare la loro fede in un Messia crocifisso, morto e risorto. Per i Padri della Chiesa il cristiano deve conformarsi alla morte di Cristo per partecipare della sua risurrezione, poiché è sulla Croce e attraverso la Croce che Gesù è stato glorificato. Molto bella un’immagine suggeritaci da san Giustino: la Croce è l’albero di salvezza contrapposto a quello del paradiso terrestre. E sant’Ippolito dice: essa è l’albero della nave della Chiesa nelle cui vele soffia il vento dello Spirito Santo”.
Allora, con quale atteggiamento è possibile vivere la Pasqua domenicale?
“Non tutti i giorni sono domenica. Anche i giorni feriali, dedicati al lavoro, hanno un senso: la domenica tutto questo lavoro viene benedetto e ancorato all’eterno. Poiché se è vero che la Chiesa è la città di Dio che si costruisce per il Cielo, non è meno vero che si costruisce con materiale mutuato dalle realtà di questo mondo. Terra e cielo, tempo ed eternità la domenica si incontrano, dal momento che l’uomo si incontra con Dio ed, in senso ancor più profondo, dal momento che il Cristo pasquale è, in qualche modo, già il Cielo presente sulla terra, come direbbe il mio Max Thurian. Dobbiamo osare tutto, allora, pur di ridare alla domenica, il cui peso religioso sta diventando sempre più scarso, la sua carica pasquale, liberandola dal legalismo, dalla noia e dalla dissacrazione e facendo in modo che tutti, proprio tutti, possano identificarsi ancora e sempre nella bellissima affermazione di quelli che hanno dato la vita per questo: ‘Sine dominico non possumus’!”
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