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Un servizio di EWTN News

Gesù regna morendo su una croce per salvare l’uomo. Domenica delle Palme

Il solenne ingresso di Gesù a Gerusalemme avviene il “giorno seguente” alla Cena di Betania (Gv 12.12). Non è Gesù ad organizzare il proprio ingresso nella Città Santa. Ad andare incontro a Lui e ai suoi discepoli sono i molti pellegrini venuti a Gerusalemme per celebrare la Pasqua, i quali lo accolgono con entusiasmo.

L’ incantevole predicazione di Gesù, il fascino della sua parola, i miracoli da Lui compiuti - non ultimo quello straordinario della resurrezione di Lazzaro - avevano riacceso la speranza del popolo, facendogli balenare l’idea che Lui fosse il Messia tanto atteso. E’ importante, a questo proposito, ricordare che il Messia desiderato, nella mentalità comune, era un uomo che avrebbe incarnato la figura del re ideale, investito della missione di liberare con potenza il popolo di Dio dalla dominazione romano e di restaurare la grandezza di Israele. Ma l’identificazione di Gesù quale Messia, che si era diffusa tra la gente, era però apertamente contrastata dai capi, i quali rifiutavano di accettare che il Salvatore potesse identificarsi con un operaio di Nazareth, privo di qualsiasi segno di potenza politica e religiosa. Anzi, un simile personaggio, poiché risultava ambiguo e pericoloso, andava in ogni modo eliminato.

Nonostante l’opposizione dei capi la gente lo acclama come Messia, il consacrato da Dio, il Figlio di Davide, il Salvatore. In mezzo a tanta esaltazione, meraviglia l’atteggiamento di Cristo. Egli aveva sempre evitato di accondiscendere all’entusiasmo dei suoi discepoli e delle folle e mai si era prestato ad alimentare equivoci circa la sua missione. Ora, contrariamente al suo solito, accetta il pubblico riconoscimento da parte della folla. Perché questo cambiamento di prospettiva? La ragione sta nel fatto che Gesù, prima della dolorosa passione e morte, desidera mostrare che la sua identità e missione vengono da Dio e sono state predette dai profeti. Egli è veramente il Messia, secondo il progetto di Dio però e non secondo le aspettative umane. La folla, dunque, non si sbaglia, anche se non comprende correttamente, come del resto i suoi discepoli, la Sua regalità. Gesù non è venuto ad instaurare il regno di David, ma quello dei cieli, il “Regno di Dio”. 

Infatti, per spogliare di ogni significato politico e militare la sua missione, Gesù sceglie di entrare in Gerusalemme cavalcando un asinello. Questo animale rappresenta la cavalcatura regale pacifica, in contrapposizione al cavallo, considerato cavalcatura da guerra. Il Messia è un re pacifico, che entra nella Città Santa come liberatore, non come guerriero; non regnerà schiacciando i suoi nemici, bensì morendo su una croce per salvare l’uomo dal peccato e dalla morte.

In Lui, dunque, noi incontriamo l’Amore che consola, l’Amore che ci abbraccia, l’Amore che si dona, l’Amore che salva, l’Amore che si sacrifica. Da questo “Amore assoluto” nasce un’umanità rinnovata, che attinge da questo Amore un modo nuovo di vivere, promuovere iniziative e assumersi responsabilità. Con Cristo al centro del nostro cuore diventa più facile donarsi generosamente agli altri e portare alla società idee creative ed originali; con Cristo al centro della nostra intelligenza è possibile avere una visione nuova della storia e della vita; con Cristo al centro della nostra volontà siamo liberati dall’illusione di un’autonomia senza limiti e riconoscenza. Come al tempo di Gesù, anche oggi, la scelta o il rifiuto di Cristo diventa lo spartiacque per affrontare la vita.

Il cuore dell’uomo aspira alla pace, alla serenità della vita, ad essere liberato dal male che lo opprime, dalla morte che lo annichilisce. Ebbene in questa situazione solo una luce ci può soccorrere. Questa luce viene solo da Cristo che, grazie alla sua resurrezione, rimane con noi (presente ed invisibile, ma vivo e reale) “sino alla fine del mondo”. E con la sua presenza affidabile - ha dato la vita per noi - può e vuole donarci la ragione per cui vale la pena di vivere, di amare, di lavorare, di soffrire, di sperare e anche di morire.

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