Ginevra, 10 December, 2015 / 9:00 AM
Non c’è mai la parola “preservativo”, ma nel circa 50 pagine del Rapporto di Caritas Internationalis su come le organizzazioni di tipo religioso rispondono all’emergenza AIDS in Africa racconta di una risposta scientificamente fondata, basata su cure e ricerca, ma soprattutto basata su una attenzione “integrale” per l’essere umano. Uno sforzo che “molti nel mondo secolare non capiscono in appieno”, spiega Monsignor Bob Vitillo, l’ufficiale di Caritas Internationalis che ha coordinato il rapporto.
Il rapporto è molto ampio, e non prende in considerazione solo le strutture cattoliche. Ci sono le strutture evangeliche, quelle più generalmente cristiane, nonché gli organismi missionari. Ci sono “case history” che spiegano l’impatto delle organizzazioni sul territorio. E c’è soprattutto l’idea di un approccio diverso, non basato solo sulla cura della malattia, ma più in generale sul prendersi cura dell’essere umano.
In una conversazione con ACI Stampa, Monsignor Vitillo nota che “le persone pensano che la Chiesa blocchi la prevenzione dell’infezione” a causa del suo “insegnamento morale sulla sessualità, che non consente l’uso del preservativo”. Quello che le persone non comprendono è che però la Chiesa “ha valori più profondi”.
Parlando di cifre, il rapporto – continua monsignor Vitillo – “dimostra che trattiamo milioni di persone e che le persone apprezzano il nostro approccio. La Chiesa non considera solo i problemi medici, ma cura anche i problemi sociali e spirituali. Questo è il motivo per cui molti pazienti preferiscono essere curati in una struttura della Chiesa: il trattamento generale è migliore”.
Ecco alcune cifre: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, dal 30 al 70 per cento delle strutture sanitarie nel mondo (a seconda delle nazioni) sono gestite da organizzazioni religiose.
Il rapporto spiega che “le organizzazioni collegate alla Chiesa cattolica e impegnate nella lotta all’HIV sono attive in al minimo 114 nazioni. Nel 2010, dieci delle più grande organizzazioni del CHAN (Catholic HIV and AIDS Network) ha destinato 200 milioni di dollari in supporto della risposta globale all’Aids, finanziando e fornendo assistenza tecnica a organizzazioni cattoliche e piccole comunità nelle nazioni con scarso o medio reddito”.
Sempre secondo il rapporto, le organizzazioni basate sulla fede “frequentemente servono i più poveri delle comunità e quelli che restano fuori dai sistemi sanitari nazionali”, e in questo modo “contribuiscono in maniera significativa alla riduzione delle ineguaglianza sanitarie e sono impegnati a fare della trattamento anti HIV una cura accessibile per tutti”.
Le terapie anti-retrovirali sono “molto efficaci nell’evitare la trasmissione dell’infezione. Studi hanno dimostrato che quando una persona contrae l’infezione e può però essere regolarmente trattata con terapie anti-retrovirali, c’è il 96 per cento di possibilità in meno che trasmetterà l’HIV al suo partner”, spiega Monsignor Vitillo.
Monsignor Vitillo ha anche voluto sollineare che “le strutture sanitarie della Chiesa Cattolica hanno in trattamento 15 milioni di persone, vale a dire solamente il 42 per cento delle persone che hanno bisogno di essere curate. Per questo, è molto importante estendere il trattamento il più possibile”.
Tuttavia, “anche se le Nazioni Unite e le organizzazioni internazionali chiedono alla Chiesa di continuare l’impegno nell’affrontare l’epidemia HIV, mancano gli aiuti finanziari.
Tra le “case history” del rapporto, c’è l’Uganda Catholic Medical Bureau (UCMB), che serve come dipartimento sanitario della Conferenza Episcopale Ugandese e sviluppa la risposta all’HIV nelle 19 diocesi ugandesi.
Secondo il rapporto di Caritas Internationalis, “nel 2014, sono state fatte analisi e consulenza per l’HIV su un totale di 624632 persone. Di queste, 26196 sono risultate positive, e 16628 hanno cominciato il trattamento antiretrovirale”. In più, sono stati fatti anche 50663 test per coppie.
Al momento il budged the UCMB è di 6,2 milioni di dollari, ma è bene notare che solo il 35 per cento del budget va a trattamenti anti-retrovirali, mentre il resto del budget è usato per le cure domiciliari per persone affette da HIV, programmi per i gruppi di supporti famigliari e l’educazione alla salute nei villaggi.
Un approccio globale portato avanti da tutte le strutture cattoliche. Secondo una inchiesta di Caritas Internationalis del 2014, il programmi e i servizi sull’HIV coprono “un ampio raggio di attività, oltre alla prevenzione e alla cura”, e questo include almeno otto servizi: la prevenzione dall’HIV, l’educazione, la consulenza e la somministrazione di test, la cura domiciliare, i programmi per riddure la discriminazione, la ricerca di casi di tubercolosi, e anche la difesa a livello locale, nazionale e internazionale.
Mai viene menzionata la parola “preservativo” nel rapporto, anche perché – spiega Monsignor Vitillo – “la questione va oltre l’uso del condom. Come ha spiegato Papa Francesco durante il viaggio di ritorno dall’Africa, il preservativo è uno degli strumenti di prevenzione, ma ci sono problemi più grandi e dobbiamo andare alle radici della problematica dell’HIV. L’insegnamento della Chiesa va davvero oltre la mera relazione sessuale e, in accordo con l’insegnamento della Chiesa, le strutture cattoliche stanno provando, dati scientifici alla mano, che l’approccio globale è davvero efficiente.”
Insomma, “ci sono molte organizzazioni che concedono che la Chiesa fa molto, ma sostengono anche che non ci sono dati che provano che stia affrontando il problema AIDS in maniera efficace ed efficiente. Il nostro rapporto fornisce questi dati scientifici”.
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