Città del Vaticano , 25 February, 2023 / 11:00 AM
Il framework agreement, l’accordo che era stato delineato tra il broker Raffaele Mincione e la Segreteria di Stato per la cessione delle quote dell’immobile di lusso a Londra su cui la stessa Segreteria di Stato aveva investito, non era finito sui giornali a causa dell’Autorità di Informazione Finanziaria. Era invece stato Marcello Massinelli, un collaboratore (più un consulente) dello stesso Mincione a fare avere la copia dell’accordo al giornalista Emiliano Fittipaldi, per dimostare che non c’era niente di illecito in quel passaggio di quote.
La rivelazione è arrivata durante quella che è stata la più breve udienza del processo vaticano sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato. Circa 25 minuti, durante i quali ha reso testimonianza il giornalista Emiliano Fittipaldi, al tempo all’Espresso e oggi vicedirettore di Domani, ribaltando, con le sue parole, buona parte dell’impianto accusatorio costruito intorno ai vertici dell’Autorità di Informazione Finanziaria, e in particolare intorno all’allora direttore Tommaso Di Ruzza.
Il processo, vale la pena ricordarlo, si concentra su tre filoni di indagine, che vanno tutte fatte risalire alla gestione dei fondi della Segreteria di Stato vaticana. La prima riguarda appunto la questione dell’immobile di Londra: la gestione delle quote erano state date al broker Raffaele Mincione, e poi la Santa Sede aveva rilevato questa gestione e la aveva data ad un altro broker Gianluigi Torzi. Infine, dopo aver considerato che quest’ultimo aveva tenuto per sé le uniche mille azioni con diritto di voto e dunque manteneva il controllo totale dell’immobile, la Segreteria di Stato aveva deciso di rilevare tutto il palazzo, incluse le quote di Torzi.
Il secondo filone riguarda un presunto peculato che il Cardinale Angelo Becciu avrebbe esercitato quando era sostituto della Segreteria di Stato facendo arrivare una donazione alla Caritas di Ozieri e alla fondazione SPES collegata alla Caritas che erano sotto la presidenza di suo fratello Antonino.
Il terzo e ultimo filone riguarda invece il contratto di consulenza stipulato con la sedicente esperta di intelligence Cecilia Marogna, che avrebbe poi usato il denaro ricevuto per affari personali e non per lo scopo cui erano destinati .
L’udienza dello scorso 21 febbraio riguardava solo il primo filone di indagine, e in particolare la posizione di vertici dell’Autorità di Informazione Finanziaria. Dopo il raid negli uffici dell’allora AIF (oggi ASIF) e della Segreteria di Stato dell’1 ottobre 2019, il 3 ottobre l’edizione online dell’Espresso pubblica in serata un articolo che ripercorre la vicenda e riproduce la prima pagina del documento dell’accordo.
Da chi ha avuto quella copia? Secondo l’accusa, l’accordo sarebbe arrivato dal direttore dell’Autorità di Informazione Finanziaria, Tommaso Di Ruzza.
Fittipaldi però smentisce la ricostruzione dei fatti, e anzi rivela di aver avuto l’autorizzazione a rivelare la sua fonte. È Massinelli, un collaboratore di Mincione che gli ha dato copia dell’accordo su sua richiesta, in uno scambio whatsapp che viene messo agli atti.
In pratica, due giorni dopo il raid negli uffici dell’AIF, una delle parti contraenti dell’accordo decide, rispondendo alle sollecitazioni del giornalista, di far venire tutto alla luce, per dimostrare che non c’era niente di illegale in quello che era stato stipulato. Lo stesso Mincione, interrogato in Vaticano, ha detto che l’accordo era stato fatto secondo tutti i criteri legali.
Fittipaldi ammette di aver incontrato Di Ruzza, e di averlo anche cercato nel 2016 per avere delle informazioni che non ottenne. E ammette anche di aver avuto frequenti contatti con Francesca Immacolata Chaouqui, già commissario vaticano e ricomparsa in questo processo, dopo essere stata condannata nel cosiddetto processo Vatileaks 2 del Vaticano, per rendere testimonianza di alcune sue azioni che avrebbero portato indirettamente una pressione su monsignor Alberto Perlasca, per anni a capo dell’amministrazione della Segreteria di Stato e poi trasferito, considerato uno dei testimoni chiave del processo.
La testimonianza di Fittipaldi mette in luce che, almeno su una questione, l’accusa si è fidata di accuse incrociate, ma non ha cercato prove. Inoltre, chiarisce finalmente la posizione di Di Ruzza, cui tra l’altro il reato di peculato era stato archiviato già dallo stesso promotore di giustizia vaticano.
E però resta il dubbio che tutto l’impianto accusatorio possa essere senza prove evidenti, e possa essere soprattutto frutto di una ricostruzione. La domanda vera non è se il framework agreement sia stato dato in pasto ai giornalisti. È, piuttosto, se tutti si sono comportati onestamente nello stipularlo.
Si tratta, insomma, di una svolta nel processo, che ha una ricaduta anche su altri accusati. Lo stesso Mincione – che ha incontrato successivamente Fittipaldi nel suo studio a Milano, insieme a Massinelli e un altro collaboratore – si ritrova in una posizione diversa, perché la trasparenza sull’accordo testimonia al limite una buona fede, e comunque un quadro probatorio diverso.
Sembra, così, cadere un altro tassello dell’accusa del processo vaticano. E la testimonianza dell’arcivescovo Edgar Pena Parra, il prossimo 16 e 17 marzo, sarà cruciale. Il sostituto della Segreteria di Stato ha già prodotto un memoriale, con 200 pagine di documenti allegati. Dalla sua deposizione si potrebbe praticamente comprendere in che modo sarà delineata la sentenza. Colpisce, inoltre, che diversi testimoni non stiano rispondendo alla convocazione,
Una sentenza difficile per Pignatone, chiamato ad un complicato gioco di equilibri in un processo in cui il quadro accusatorio sembra sfumare sempre di più.
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