Giuba, 07 February, 2023 / 12:30 AM
“Noi oggi, incontrandovi, vorremmo dare ali alla vostra speranza. Ci crediamo, crediamo che ora, anche nei campi per sfollati, dove la situazione del Paese vi costringe purtroppo a stare, può nascere, come dalla terra spoglia, un seme nuovo che porterà frutto”. Queste le parole pronunciate da Papa Francesco ai 2.500 sfollati presenti alla “Freedom Hall” nel corso della sua visita in Sud Sudan.
Per comprendere le drammatiche condizioni di vita dei circa 35.000 “sfollati interni” di Giuba, per ACI Stampa abbiamo intervistato Padre Federico Gandolfi, missionario dei Frati minori, parroco della Parrocchia della Santa Trinità e incaricato anche della cura pastorale del campo sfollati di Giuba.
Padre Federico, ci potrebbe raccontare brevemente della situazione degli sfollati interni in Sud Sudan, in particolare nel campo di Giuba?
Sì, come ha detto molto bene la situazione si conosce poco perché gli sfollati interni in Sud Sudan, perlomeno nel campo di Giuba, hanno raggiunto un numero molto alto. Sono circa 35.000, e vivono in condizioni che secondo gli standard delle Nazioni Unite, è sotto il livello della povertà, quindi si parla di miseria. Sono classificati come IDP (Internally displaced persons).
Quando nasce il campo sfollati di Giuba?
È un campo che si è formato nel 2013 a causa della guerra civile scoppiata dopo due anni dall'indipendenza del paese. Le condizioni di vita sono terribili, le fognature sono aperte, non ci sono bagni…ci sono solo latrine. Il cibo è difficilissimo averlo perché non sono liberissimi di muoversi per la città, quindi si è creato un mini mercato interno ma l'economia praticamente non esiste, siamo quasi a livello di baratto. Non c'è assolutamente assistenza sanitaria. I bambini, ma anche gli adulti, muoiono a causa della malaria, che è una malattia che si cura molto facilmente. Con 13 euro si comprano le medicine per la malaria e invece non possono permettersele.
Quali sono i numeri degli sfollati interni di Giuba?
A Giuba ci sono questi due campi intorno alle 35.000 persone. Poi c'è un altro campo, non ufficiale, che si è formato a causa della guerra in cui credo siano intorno ai 12.000. In tutto il paese si raggiunge più di un milione di sfollati. Non solo a causa la guerra, ma negli ultimi due anni anche i cambiamenti climatici a quanto pare hanno causato grosse alluvioni in una parte del paese, con interi villaggi, migliaia di persone, che sono state costrette a spostarsi dai loro territori tradizionali.
Dopo la visita di Papa Francesco, crede che ci siano speranze per il futuro?
La speranza è tantissima. Il Papa si è sempre fatto sentire vicino a questi ultimi perché sono veramente gli ultimi del paese, sono quelle periferie a cui lui sempre ha detto: “la Chiesa deve andare nelle periferie”. Quindi lui stesso sta dando l'esempio, anche a noi missionari, che si può arrivare alle periferie come siamo noi qui ormai da tanti anni. È stata una visita piena di speranza e la gente ha bisogno di riconciliazione, ha bisogno di pace, perché pace senza giustizia è impossibile. Un segno di speranza forte che anche i grandi del mondo possono guardare ai più piccoli. Qui c'è un bellissimo detto africano che dice: “quando gli elefanti lottano, chi soffre è l'erba”. Quindi speriamo che la visita del Papa riesca, grazie alle sue parole, al suo esempio, in qualche modo e soprattutto alla sua preghiera, a dare un segno a questi “grandi” che devono cambiare.
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