Città del Vaticano , 07 January, 2023 / 4:00 PM
Per i funerali del Papa emerito Benedetto XVI, lo scorso 5 gennaio, è stato deciso dalla Santa Sede che sarebbero state solo due le delegazioni ufficiali, quella di Germania ed Italia, e che invece tutti gli altri alti esponenti delle nazioni e dei governi che avrebbero voluto eventualmente partecipare sarebbero stati considerati “a titolo privato”.
Allo stesso modo, nella nota verbale diffusa agli ambasciatori presso la Santa Sede, si chiedeva agli ambasciatori, in una nota verbale del 31 gennaio, di vestire in “tenue de ville coleur sombre”, e non in frac. Scelta insolita, perché il “frac” è previsto per ogni cappella papale, cioè per ogni celebrazione preceduta dal Papa.
Tutto lasciava intendere la volontà di sottolineare che Benedetto XVI non era più Papa, addirittura al punto da minimizzare la presenza del Papa in carica alla celebrazione con la scelta dell’abito. Inoltre, il presidente del Portogallo ha chiaramente espresso il suo disappunto per la scelta.
Il 9 gennaio ci sarà il consueto incontro di inizio anno tra Papa Francesco e gli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede. Sarà da vedere se Francesco ricorderà Benedetto XVI o farà come se niente fosse.
FOCUS PAPA EMERITO
Le delegazioni ai funerali di Benedetto XVI
Come detto, ai funerali del Papa emerito, lo scorso 5 gennaio, c’erano solo due delegazioni ufficiali: quella italiana, guidata dal presidente Sergio Mattarella e composta anche dal primo ministro Giorgia Meloni e dal presidente della Camera Lorenzo Fontana; e quella tedesca, guidata dal presidente Walter Steinmeier.
Il governo italiano ha anche proclamato un giorno di lutto in Italia, disponendo che tutte le bandiere fossero a mezz’asta, il giorno del funerale, cosa che non è successa in Vaticano. Il giorno del funerale di Benedetto XVI, infatti, non era giorno di lutto, anche se i dipendenti che avessero deciso di partecipare al funerale sarebbero stati giustificati.
Belgio e Spagna hanno partecipato ai funerali con membri della famiglia reale: per il Belgio c’erano il re Filippo e la Regina Mathilde, mentre per la Spagna c’era la regina Sofia.
Diversi i capi di Stato: dalla Lituania è arrivato il presidente Gitanas Nauseda, dalla Polonia il presidente Andrzej Duda, dal Portogallo il presidente Marcelo Rebelo de Sousa.
Quest’ultimo, in particolare, ha criticato la scelta vaticana di considerare tutte le delegazioni in forma privata in un commento con i giornalisti riportato da Radio Renascença, perché “il presidente della Repubblica non va a questi eventi a livello personale, va a rappresentare lo Stato”. E, notava ulteriormente, lui stava rappresentando lo Stato che avrebbe ospitato la prossima Giornata Mondiale della Gioventù.
San Marino ha partecipato con i Capitani Reggenti Maria Luisa Berti e Manuel Ciavatta, la Slovenia ha inviato la presidente Nataša Pirc Musar. Per l’Ungheria c’era la presidente Katalin Novak, mentre il primo ministro Viktor Orban, che è calvinista, è volato subito a Roma già nel primo giorno di esposizione di Benedetto XVI per rendergli omaggio, essendo lui un grande ammiratore del defunto Papa tedesco.
La Repubblica Ceca è stata rappresentata dal Primo Ministro Petr Fiala, la Slovacchia dal Primo Ministro Eduard Heger, il Gabon dal Primo Ministro Christiana Ossuka Raponda.
Per il Sovrano Militare Ordine di Malta c’era il Luogotenente di Gran Maestro John T. Dunlap.
Da Cipro è arrivato il ministro degli Esteri Ioanni Kasoulides, dalla Colombia il ministro degli Esteri Alvaro Leyva Duran, e dalla Croazia il Ministro degli Esteri Gordan Grlic Radman.
La Francia ha inviato il ministro dell’Interno Gerald Darmanin, che ha la delega per gli Affari Religiosi, mentre la Gran Bretagna ha partecipato col il Segretario di Stato per l’educazione Gillian Keegan.
Infine, Taiwan ha deciso di inviare il vicepresidente emerito Chen Qian, che rappresentava la presidente Tsai, che ha approfittato della visita per salutare padre Yao Jie, penitenziere e unico taiwanese a lavorare in Vaticano.
FOCUS DISCORSO AGLI AMBASCIATORI
Il 9 gennaio, Papa Francesco terrà il consueto di discorso di inizio anno al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Tra i temi probabili del discorso, la questione della guerra in Ucraina, la situazione in Siria e Yemen, il possibile allargamento delle relazioni diplomatiche, ma anche la pandemia di COVID 19, cui è stato dedicato il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno. Qualche cifra.
Quanti sono gli Stati che hanno relazioni diplomatiche con la Santa Sede?
Sono 183 le nazioni con cui la Santa Sede intrattiene relazioni diplomatiche. La lista non si aggiorna dal 2017, quando furono ripristinate le relazioni con il Myanmar, cosa che aprì anche al viaggio di Papa Francesco nella nazione. Sembrava un periodo di possibile rinascita democratica, si è trasformato in un incubo con il recente colpo di Stato. La Santa Sede, sulla situazione in Myanmar, ha finora prudentemente tenuto un basso profilo, lasciando però parlare il Papa con diversi appelli.
Restano così 13 le nazioni con cui la Santa Sede non ha piene relazioni diplomatiche, e in 8 di queste non ha nemmeno un rappresentante. Spicca, nella lista, la presenza dell’Afghanistan, dove dal ritorno dei talebani non c’è nemmeno una chiesa funzionante, considerando che quella che c’è era nell’ambasciata italiana poi evacuata e che anche i padri barnabiti che se ne prendevano cura hanno dovuto lasciare il Paese.
Quindi, l’Arabia Saudita, con cui però la Santa Sede ha stabilito alcuni rapporti informali, prima partecipando come Paese osservatore alla Costituzione del KAICIID (il centro per il dialogo interreligioso sponsorizzato dai sauditi, con sede a Vienna fino a quest’anno e ora a Lisbona) e poi con un viaggio, storico, del Cardinale Jean-Louis Tauran da presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, che riuscì persino a celebrare una Messa in un territorio considerato sacro per l’Islam.
Altra nazione che non ha relazioni diplomatiche con la Santa Sede è la Cina. La nunziatura di Cina è a Taipei, in Taiwan, dove però dal 1979 non risiede più un nunzio, ma un incaricato d’affari da interim. C’è una missione diplomatica vaticana che risiede nella “missione di studio” ad Hong Kong, sebbene collegata formalmente alla missione della Santa Sede nelle Filippine. Nel 2016, l’Annuario pontificio recava per la prima volta, in nota, indirizzo e numero di telefono di questa missione ad Hong Kong. Dopo il rinnovo dell’accordo sino-vaticano, il Cardinale Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha fatto sapere che la Santa Sede sarebbe anche disposta a spostare la missione di studio a Pechino.
(La storia continua sotto)
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Non ci sono relazioni diplomatiche nemmeno con la Corea del Nord, dove però il Papa potrebbe fare tappa, magari in un viaggio verso Papua Nuova Guinea: una sosta in aeroporto, come fu quella di Paolo VI a Teheran, secondo una ipotesi che arriva da fonti coreane e che sarebbe corroborata da una serie di colloqui in corso.
Altri Paesi senza relazioni diplomatiche con la Santa Sede sono il Bhutan, le Maldive, Oman e Tuvalu.
La Santa Sede ha invece delegati apostolici nelle Comore e in Somalia in Africa, e in Brunei e Laos in Asia. In queste due ultime nazioni, Papa Francesco aveva anche avviato una particolare “diplomazia della porpora e dei martiri”: ha creato un cardinale in Brunei (deceduto improvvisamente lo scorso anno, senza mai vedersi imposta la porpora per l’impossibilità di viaggiare a causa della pandemia) e uno nel Laos, Paese da cui proviene anche uno dei gruppi di martiri beatificato nel corso del pontificato.
Con il Vietnam sono state iniziate formalmente le trattative per arrivare a pieni rapporti diplomatici, cosa che ha portato – a fine 2011 – a nominare un rappresentante vaticano non residenziale presso il governo di Hanoi. Si attendeva per il 2020 un visita nel Paese del Segretario di Stato vaticano, il Cardinale Pietro Parolin, ma questa non c’è stata a causa del coronavirus. La speranza è che si arrivi presto allo scambio di ambasciatori, facendo così del Vietnam il 184esimo Stato con piene relazioni diplomatiche con la Santa Sede.
Il 185esimo potrebbe invece essere l’Oman. Il 4 novembre, le agenzie di Muscat hanno battuto la notizia che il ministro degli Esteri di Oman Sayyid Badr Hamad al Usaidi, ha ricevuto una telefonata dall’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati. Secondo una nota del ministero degli Esteri dell’Oman, il vescovo Gallagher e il ministro degli Esteri, hanno “concordato di stabilire relazioni diplomatiche tra il Sultanato di Oman e la Santa Sede”. Nel 2017, il Sultanato fu decisivo nella liberazione di padre Tom Uzhunnalil, il sacerdote salesiano rapito in Yemen.
Il Papa aveva pubblicamente ringraziato il sultano. Nel resto della telefonata, Gallagher e Hamad al Usaidi hanno anche preso la decisione di sviluppare una cooperazione costruttiva e un mutuo interesse per il benessere e l’armonia tra le nazioni.
Le missioni diplomatiche della Santa Sede
La Santa Sede ha attualmente 180 missioni diplomatiche all’estero, e di queste 73 non sono residenti. Ci sono dunque 106 missioni, alcune delle quali non accreditate solamente nella nazione in cui sono situate, ma anche in uno o più altre nazioni o organizzazioni internazionali.
Il numero delle relazioni diplomatiche della Santa Sede è considerevolmente cresciuto negli ultimi anni. All’inizio del Pontificato di Giovanni Paolo II, la Santa Sede intratteneva relazioni diplomatiche con 84 Stati. Nel 2005, all’elezione di Benedetto XVI, erano 174. Con Benedetto XVI si sono aggiunti il Montenegro (2006), gli Emirati Arabi Uniti (2007), il Botswana (2008), la Russia (2009), la Malesia (2011) e il Sud Sudan (2013).
Per tradizione, il nunzio apostolico è decano del corpo degli ambasciatori accreditati presso una nazione, segno del credito dell’importanza che ha la diplomazia pontifica nel mondo. Basti pensare che dal 1871 al 1929, ovvero dall’annessione degli Stati pontifici fino al Trattato lateranense, nonostante il Vaticano non avesse più un vero e proprio territorio, il numero degli Stati con relazioni diplomatiche presso la Santa Sede comunque quasi raddoppiò, passando da 16 a 27, e questo nonostante alcuni Paesi avessero smesso di intrattenere rapporti diplomatici con la Santa Sede.
Per questo motivo, la decisione del Nicaragua di non avere più il nunzio apostolico come decano del Corpo diplomatico è stata considerata un segno di rottura con la Chiesa. Il nunzio non è decano nemmeno in Repubblica Democratica del Congo, con una scelta fatta dal governo Mobutu per segnare una distanza dalla Santa Sede.
Ambasciatori presso la Santa Sede
Gli ambasciatori presso la Santa Sede residenti a Roma sono 89, inclusi quelli dell’Unione Europea e del Sovrano Ordine Militare di Malta. Le ultime ambasciate stabilite sono l’ambasciata di Palestina, che si è installata in seguito all’entrata in vigore dell’Accordo Globale tra la Santa Sede e dello Stato di Palestina del 26 giugno 2015, di Malesia e di Repubblica Democratica del Congo. A queste si aggiungerà presto l’ambasciata svizzera presso la Santa Sede e quella di Azerbaijan presso la Santa Sede.
Tra le relazioni con sede a Roma, anche gli uffici della Lega degli Stati Arabi, dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni – la Santa Sede è stato membro dal 2011 - e dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
Accordi e Concordati
Il 15 agosto, la Santa Sede ha firmato l’accordo con la Repubblica Democratica di Sao Tomé e Principe. L’accordo è il numero 215 della Santa Sede con uno Stato, e rientra nell’ampia casisti di accordi o concordati che la Santa Sede sigla con le nazioni con cui ha rapporti bilaterali per definire meglio il ruolo e le competenze della Chiesa nello Stato.
Per quanto riguarda accordi e concordati, si contano 261 accordi bilaterali della Santa Sede. Tra questi, alcuni sono modifiche di accordi, mentre altri sono accordi ancora in vigore. In tutto, secondo una relazione, ci sono 214 concordati e accordi tra la Santa Sede e 74 nazioni, e di questi 154 accordi sono stipulati con 24 nazioni europee.
FOCUS CAUCASO
La situazione nel corridoio di Lachin
Aveva colpito la menzione di Papa Francesco alla situazione nel corridoio di Lachin durante l’Angelus del 18 dicembre. Il corridoio è l’unico contatto tra l’Artaskh, l’antico nome armeno del Nagorno Karabakh, e la capitale armena Yerevan. Cinque chilometri di strada, che ormai dal 12 dicembre restano bloccati da eco-attivisti azerbaijani supportati dall’esercito di Baku che si è unito a loro.
Garen Nazarian, ambasciatore di Armenia presso la Santa Sede, ha sottolineato che il corridoio di Lachin “secondo la Dichiarazione Trilaterale è sotto il controllo del contingente di pace russo, ed è usato solo per il passaggio di persone e beni destinati alla popolazione civile del Nagorno Karabakh”.
Il blocco dunque denuncia l’ambasciatore, costituisce il blocco dell’unico canale di rifornimento per 120 mila cittadini in Nagorno Karabakh, mentre il contingente russo è impossibilitato a restaurare la situazione, mentre “almeno 1100 civili, tra cui donne e anziani, 270 bambini sono rimasti bloccati sulla strada bloccata, in condizioni di rigido inverno, e impossibilitati a tornare nelle loro case”, nota l’ambasciatore Nazarian.
Le conseguenze umanitaria possono essere “irreversibili e catastrofiche”, considerando che “attualmente, rifornimento di cibo, medicine ed energia sono bloccati”, e persino le forniture di gas sono state bloccate “per tre giorni consecutivi in dure condizioni invernali”, cosicché a mancanza del riscaldamento ha bloccato anche le lezioni scolastiche, privando i bambini del loro fondamentale diritto all’educazione”.
Non solo. L’ambasciatore nota che il blocco ha provocato anche “una dura crisi per il sistema sanitario del Nagorno Karabakh”, e persino “il trasferimento di pazienti negli ospedali armeni per cure urgenti è diventato impossibile, e ciò ha già causato la morte di un paziente gravemente malato”.
Una situazione che è in contrasto con la IV Convenzione di Ginevra, che si occupa della Protezione dei Civili in tempo di guerra. Perciò, denuncia Nazarian, “il blocco del corridoio di Lachin costituisce una manifesta rottura della convenzione”.
Nazarian sottolinea che il blocco, con il suo carattere coordinato, si configura come “una operazione pre-pianificata”, implementata delle autorità dell’Azerbaijan, e che dunque “le dichiarazioni che l’Azerbaijan non avrebbe messo alcuna resrizione sul corridoio di Lachin sono false”, e sono un tentativo di “negare la responsabilità di Baku per le gravi violazioni degli obblighi internazionali esisttenti”.
Per questo, l’ambasciatore Nazarian chiede la comunità internazionale “prenda urgentemente e unanimemente una posizione non ambigua e determini azioni destinate a condannare, punire e prevenire l’Azerbaijan dal continuare ad agire con un senso di assoluta impunità”, con lo scopo finale di “risolvere il conflitto in Nagorno Karabakh con l’uso della forza e con la distruzione del popolo in Nagorno Karabakh”.
A questo proposito, Nazarian ricorda che “una discussione cruciale si è tenuta al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”, laddove “diverse nazioni e organizzazioni internazionali hanno definito la situazione in maniera chiara, chiedendo all’Azerbaijan di sbloccare il corridoio”. L’ambasciatore chiede a questo punto che si invii una missione ONU ed OSCE nel corridoio Lachin.
L’Armenia si aspetta infine che il Consiglio di Sicurezza ONU “chieda di rispettare la dichiarazione trilaterale del 9 novembre 2020, invii una missione di accertamento dei fatti in Nagorno Karabakh e nel corridoio di Lachin, e assicuri accesso umanitario alle agenzie ONU in Nagorno Karabakh.
Conclude l’ambasciatore: “L’attuale blocco del corridoio Lachin non è un caso isolato, ma un’altra dimostrazione delle sistematiche violenze ideate delle autorità azerbaijane per una pulizia etnica del Nagorno Karabakh”.
FOCUS NUNZIATURE
Un nuovo nunzio in Uruguay
Il 3 gennaio, Papa Francesco ha nominato l’arcivescovo Gianfranco Gallone come nunzio apostolico in Uruguay. Lascia la posizione di nunzio in Zambia e Malawi, il suo primo incarico da “ambasciatore del Papa” che ricopriva dal 2019.
Sacerdote dal 1988, nel servizio diplomatico della Santa Sede dal 2000, ha prestato la propria opera in Mozambico, Israele, Slovacchia, India, Svezia, ricoprendo infine il ruolo di officiale della Sezione per i Rapporti con gli Stati della segreteria di Stato Vaticano.
Il nunzio negli Emirati Arabi Uniti
Il 3 gennaio, Papa Francesco ha inviato l’arcivescovo Christophe Zakhia El-Kassis come nunzio negli Emirati Arabi Uniti. El Kassis era nunzio in Pakistan dal 2018.
Entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede il 19 giugno 2000 ed ha prestato la propria opera presso le nunziature apostoliche in Indonesia, Sudan, Turchia e nella sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato.
Conosce l’arabo, il francese, l’italiano, l’inglese, l’indonesiano, lo spagnolo, il tedesco.
Un nunzio di prima nomina per la Repubblica Centrafricana e Ciad
Monsignor Giuseppe Laterza è il nuovo nunzio in Repubblica Centrafricana e Ciad. Sacerdote dal 1994, nel servizio diplomatico della Santa Sede dal 2003, monsignor Laterza ha prestato la propria opera nella Nunziatura Apostolica in Uruguay e Polonia, nella Sezione per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali della Segreteria di Stato e nelle Rappresentanze Pontificie in Italia e Georgia,.
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