Città del Vaticano , 04 January, 2023 / 4:00 PM
Fino a fine 2011, ogni minuto del (poco) tempo libero di Benedetto XVI era stato dedicato alla stesura finale del terzo volume del suo Gesù di Nazaret. Ma poi gli sforzi del Papa si concentrarono su un solo obiettivo: l’anno della Fede.
Si pensava che – per celebrarlo al meglio – il Papa scriverà una enciclica sulla fede, dopo quelle dedicate a speranza e carità. Questa enciclica fu effettivamente la Lumen Fidei, che fu poi pubblicata da Papa Francesco. Ma c’era anche un’altra ipotesi, che si fa largo in alcuni corridoi dei Sacri Palazzi e che sarebbe stata suggerita dallo stesso motu proprio Porta Fidei con cui Benedetto XVI ha indetto per il 2012 l’anno della fede: una professione del Credo del Popolo di Dio. Sulle orme del suo predecessore Paolo VI.
Nel 1968, in occasione del millenovecentesimo anniversario del martirio di Pietro e Paolo, Papa Montini promulgò un anno della fede. Erano anni turbolenti per la Chiesa, di forti discussioni post-conciliari. In Olanda i vescovi avevano benedetto un nuovo catechismo, mirato – scrisse la commissione cardinalizia istituita da Paolo VI per esaminare quel catechismo – “a sostituire all’interno della Chiesa un’ortodossia a un’altra, un’ortodossia moderna all’ortodossia tradizionale”.
Le preoccupazioni per il Papa erano grandi. Dove sta portando il Concilio e il dibattito sul Concilio? C’è ancora la fede o si sta perdendo? Preoccupazioni che sfociarono in una drammatica omelia quattro anni dopo, nel 1972, sempre nel giorno della festa dei Santi Pietro e Paolo: “Ho la sensazione che da qualche fessura sia entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio. C’è il dubbio, l’incertezza, la problematica, l’inquietudine, l’insoddisfazione, il confronto. Non ci si fida della Chiesa…” Preoccupazioni che lo portarono nel 1968 a formulare il Credo del Popolo di Dio, in cui si ribadiscono punto per punto le verità della fede.
Benedetto XVI fece così del Credo un punto centrale dell’Anno della Fede. In Porta Fidei ricordò come i cristiani dell’antichità lo imparavano a memoria e lo trasmettevano oralmente. E poi chiese che “le comunità religiose come quelle parrocchiali, e tutte le realtà ecclesiali antiche e nuove, troveranno il modo, in questo Anno, per rendere pubblica professione del Credo”.
L’anno della Fede si configurava così come l’apice del Pontificato di Benedetto XVI. Il suo programma, aveva detto sin dall’inizio del Pontificato, è di fare la volontà di Dio. Lo sta portando avanti con passaggi precisi, e con costanza.
Basta andare a rileggersi i suoi discorsi. I discorsi al mondo della cultura e della politica (Regensburg 2006, College de Bernardins 2008, Westiminster Hall 2010, Bundestag 2011) mirano da una parte a sottolineare la ragionevolezza della fede, il suo fondamento scientifico, l’assolutismo di chi non vuole che la teologia sia materia di studio scientifica, dall’altra a far comprendere come il ruolo della religione nella società sia tutt’altro che marginale. Ma ogni passaggio delle sue omelie, centrate sulle scritture, fino ad arrivare al Gesù di Nazaret – un libro sulla vita di Gesù che racconta molto anche del programma del Papa e della vita della Chiesa – raccontano della richiesta di ritornare a Dio, di ripartire dalla fede, e di scoprire la reale identità cristiana. Sono i cristiani stessi che si sono allontanati dal cristianesimo, e il nemico della Chiesa – sottolineò a Fatima – viene proprio da dentro.
E proprio a Fatima si è finalmente esplicitato il programma di Benedetto XVI. Conscio che il terzo mistero non si è compiuto, ma è vissuto ogni giorno, il Papa ha messo la Chiesa in penitenza, e ha cominciato il lavoro della purificazione. Una purificazione che passa anche attraverso la giusta interpretazione di quello che è stato il Concilio.
Già nel 2005, al suo primo anno da Papa, nel discorso di auguri alla Curia Romana, il Papa affrontò il problema dell’interpretazione del Concilio, e sottolineò la sua preferenza per l’ermeneutica della riforma, del rinnovamento nella continuità. E a un’errata interpretazione del Concilio si è riferito nella lettera ai Cattolici irlandesi, cercando di andare alla radice della cause dello scandalo della pedofilia, e della copertura di tanti sacerdoti. “C’è stata – aveva scritto – una tendenza, dettata da retta intenzione ma errata, ad evitare approcci penali nei confronti di situazioni canoniche irregolari”.
Riprendere in mano la Chiesa significa riprendere anche il discorso del Concilio e portarlo a compimento. Non è un caso che l’anno della Fede cominciò proprio l’11 ottobre 2012, a cinquant’anni esatti dall’inizio dell’assise vaticana. Non è un caso che, nella preparazione, già a fine 2011, un articolo dell’Osservatore Romano – necessario anche per via del dialogo con la Fraternità di San Pio V, che di accettare il Concilio non ne vuole sapere –sottolineò di nuovo i punti fermi del Vaticano II.
E non è un caso che l’anno della Fede sia stato configurato anche come un rilancio della Nuova Evangelizzazione. Iniziò, subito dopo l'aperura dell'anno della fede, il sinodo dedicato proprio a quello scopo. Ritornare a Dio, ripartire dalla fede, e vivere la fede con purezza e ragione: queste le parole d’ordine del Pontificato di Benedetto XVI. Ma quel sinodo non ebbe nemmeno esortazione post-sinodale. Perché Papa Francesco decise invece di fare una esortazione, più personale, che chiamò Evangelii Gaudium e delineò il programma del suo pontificato.
(articolo originariamente pubblicato su korazym.org il 5 dicembre 2011 con il titolo "Credo. Il popolo di Dio verso l'Anno della Fede. Sotto la guida del Papa", e adattato per la pubblicazione odierna. Il testo originale si trova qui)
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