sabato, novembre 23, 2024 Donazioni
Un servizio di EWTN News

Diario dall’Ucraina, in Polonia l’emergenza non è superata e la guerra continua

Una scuola di lingua per profughi ucraini

Non si sente più l’emergenza, al confine polacco ucraino, nella regione polacca della Podkarpackie che da subito ha dovuto affrontare l’arrivo massiccio di profughi dall’Ucraina. Ma c’è la sensazione che una emergenza tornerà, perché sta arrivando l’inverno. Non che non faccio freddo ora, ma farà ancora più freddo, le temperature crolleranno, e dall’altra parte del confine i bombardamenti hanno messo a rischio le infrastrutture, privato interi isolati dell’energia elettrica, reso difficile non solo l’approvvigionamento alimentare, ma anche quello di un bene ancora più prezioso: il riscaldamento.

Il confine con la Polonia è stato luogo di passaggio per oltre 7 milioni di profughi dall’inizio della guerra in Ucraina. L’ondata migratoria era già presente prima, con diverse famiglie che, dopo aver attraversato il Paese, si stabilivano oltre confine per sfuggire al conflitto nel Donbass. Dal 24 febbraio, però, il flusso è drammaticamente aumentato, fino ad arrivare alla stabilizzazione che si vede in questi giorni. E che non durerà a lungo.

Władysław Ortyl, presidente della Regione di Podkarpackie, spiega ad ACI Stampa che “la prima ondata di profughi appartiene al passato, ma c’è l’eventualità di una seconda ondata, e questo è causato dal fatto che in Ucraina mole infrastrutture energetiche sono state distrutte, e quindi il rischio di freddo, la mancanza di acqua e servizi può portare ulteriori profughi”.

Rzeszow è una città a 80 chilometri dal confine. Non grandissima, con il suo mercatino di Natale pulito e scintillante come tutti quelli del Nord dell’Europa, si è trovata al centro dell’ondata di rifugiati, che ne hanno raddoppiato la popolazione. Ma, in effetti, la presenza degli ucraini si sente poco in città, mentre a colpire è invece l’aeroporto. Aeroporto civile, piccolo, utilizzato sin da gennaio per lo sbarco di truppe USA, che passano dal cosiddetto “blue gate” e hanno installato missili patriot che fanno orgogliosamente capolino sulle piste insieme ai velivoli Ryanair.

È un aeroporto civile, eppure la presenza delle truppe (500 soldati, mi dice uno di loro, proveniente dal Texas) lo rende in parte aeroporto militare, con diverse aree cui non si può avere accesso per ragioni di sicurezza.

“Quando gli americani sono arrivati – dice un ufficiale dell’aeroporto – volevano si fotografasse il loro arrivo, le loro truppe, per dare un segnale alla Russia di una forte presenza della NATO al confine. Ma ora, con la guerra, le ragioni strategiche prevalgono, e così anche la trasparenza informativa”.

L’aeroporto rappresenta così la situazione sospesa di tutta la regione, divisa tra l’essere una sorta di fronte allargato e di luogo di rifugio per i rifugiati, tra l’essere Polonia e l’essere così vicina al confine ucraino, tra l’essere in emergenza e l’aver superato l’emergenza.

Poi c'è il centro dell'UNHCR, dove si insegna il polacco a quanti arrivano, perché - spiegano - "gli ucraini sono persone molto dignitose, non vogliono vivere di misericordia". E c'è una giovane ragazza, tra loro, che spiega come sarebbe voluta rimanere in Ucraina, ma le bombe non lo hanno permesso. E, non lontano dall'aeroporto, c'è il centro medico Medevac, quasi nuovo, costruito per l'emergenza e che può accogliere una ventina di persone per primo soccorso.

Il vescovo Jan Sobilo di Zaphorizia viene da una delle zone più colpite dalla guerra. Racconta che, quando arriva sul fronte (e cerca di andare una volta la settimana) porta i viveri e deve andare subito via, perché “le truppe russe sanno che sono lì e cominciano a sparare dopo cinque minuti per intimidirmi”.

“Gli ospedali .- spiega il vescovo Sobilo - sono pieni di feriti al fronte ma tutto il popolo ha molta fiducia nella vittoria e vogliono tornare sul fronte affinché la lotta e il male e tutte le crudeltà che ci sono di cui siamo testimoni non si espandano per tutta l’Europa. Loro vogliono bloccare tutto il male che succede qui da noi”.

Il vescovo racconta di essere stato dal Santo Padre con il vescovo latino di Leopoli Mokrzycki due settimane fa. “Mentre – racconta – aspettavo l’incontro con il Santo Padre, ho guardato dalla finestra e ho visto che in piazza San Pietro addobbavano l’albero di Natale. E allora ho pensato se noi avremmo potuto avere l’albero di Natale a Zaporhizia. In piazza non ci sarà, ma noi nelle case lo prepareremo e aspetteremo Gesù, perché anche Gesù è nato in una notte buia e fredda con una candela soltanto”.

Sono diverse le storie dure che può raccontare il vescovo, di quando ha consolato una mamma che ha perso la figlia decapitata in un bombardamento, a quando è stato un nonno la cui nipotina era stata stuprata e uccisa e rivolgersi a lui. Ma, nota, “quelli che muoiono ci dimostrano che è sempre l’amore che vince, come ha detto padre Kolbe, e anche in questa situazione di oggi sarà così, perché dopo la guerra il mondo sarà rinato spiritualmente”.

15 chilometri dal confine con l’Ucraina c’è Przemysl. Lì il direttore della Caritas locale ha grande spirito imprenditoriale, tanto che da tempo aveva rilevato la concessione del ristorante e di alcuni locali della stazione. È stato profetico. Quei locali sono stati necessari per accogliere le migliaia di profughi ucraini, provenienti da ogni parte del Paese, per entrare in Polonia. Alcuni rimanevano, alcuni andavano via dopo poco ed erano in transito.

In quelle stanze, ogni giorno arrivavano almeno 100 madri con bambini, la Caritas distribuiva 1200 colazioni all’inizio del conflitto, sono stati aperti 16 centri per raccogliere medicine e generi alimentari.

Nei centri della Caritas locale ci sono 2500 persone che trovano aiuto, e hanno inviato 280 generatori di elettricità, e hanno vari magazzini da cui distribuiscono generi alimentari anche in Ucraina. Ogni giorno, da lì partivano almeno 200 camion.

E poi c’è una fondazione per la Pastorale della Famiglia, che al 26 novembre aveva aiutato 1454 rifugiati, pagando circa 44076 notti con un costo a persona di circa 22 dollari al giorno.

Poi c’è il centro “Madre e Bambina”, che accoglie madri con i figli. Lì c’è Ludmila, una nonna, che tiene i nipotini mentre le madri sono dovute rimanere in Ucraina. Tatiana, che è arrivata con i primi bombardamenti e una forma di tumore insieme al figlio, sostenuta dalla sorella e con il marito con lei. E poi Tania, che è un po’ la nonna di tutti.

C’è molta umanità, e molto dramma. Nel centro della Chiesa Greco Cattolica Ucraina si transita per 48 ore, e alcuni sono lì solo perché è stato suggerito loro di andare via per il freddo.

Tutto è sospeso, in questa guerra. Si aspetta l’inverno, perché molto dipenderà da quanto sarà rigido. La Chiesa, intanto, è in primo linea.

(1 - continua)

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