La cattedrale Greco Cattolica della Resurrezione a Kyiv è stata per mesi un rifugio per oltre duecento persone, che si sono ritrovate nei sotterranei a ripararsi dagli attacchi aerei. In quei giorni, anche l’arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk girava con un giubbotto anti-proiettile e un elmetto, cercando di portare conforto alla popolazione. Ora che Kyiv è più tranquilla, il complesso dell’arcivescovado maggiore sta invece lavorando per costruire una cucina, che potrà essere utilizzata da cento persone alla volta. Con la speranza che questo convinca la gente a restare.
C’era un cartone in tempo sovietico, definito con un termine che può essere tradotto in italiano con la parola “Cosacchetto”, piccolo cosacco. Rappresentava, in realtà, una sorta di “Braccio di Ferro” in salsa ucraina, un cosacco con i baffi e i muscoli a testimoniare la grandezza del popolo ucraino. C’era un murales che lo rappresentava sulla casa del sindacato, nella piazza centrale di Izium. La casa è stata distrutta, i russi, che sono rimasti in città per 40 giorni, sono stati cacciati, e ora la prima preoccupazione, prima ancora di ricostruire dalle macerie, è quella di restaurare il murales. Perché la decisione è di costruire una identità, prima che gli edifici.
Il treno che da Przemysl porta Kyiv viaggia per 10 ore di notte, ed è incredibilmente pieno di persone. Przemysl è una cittadina polacca, molto piccola, a 15 chilometri dal confine, che si è trovata negli scorsi mesi di guerra ad affrontare l’emergenza rifugiati. Si calcola che in 7 milioni hanno passato il confine con la Polonia dall’inizio dell’aggressione russa, e per molti Przemysl era il primo approdo.
Non si sente più l’emergenza, al confine polacco ucraino, nella regione polacca della Podkarpackie che da subito ha dovuto affrontare l’arrivo massiccio di profughi dall’Ucraina. Ma c’è la sensazione che una emergenza tornerà, perché sta arrivando l’inverno. Non che non faccio freddo ora, ma farà ancora più freddo, le temperature crolleranno, e dall’altra parte del confine i bombardamenti hanno messo a rischio le infrastrutture, privato interi isolati dell’energia elettrica, reso difficile non solo l’approvvigionamento alimentare, ma anche quello di un bene ancora più prezioso: il riscaldamento.