Kampala, 24 November, 2022 / 12:30 AM
Tutti conosciamo il miele Ambrosoli. Ma in pochi riescono a collegare padre Giuseppe Ambrosoli, missionario comboniano morto in missione nel 1987, come parte di quella famiglia. E invece il Beato Ambrosoli – così finalmente può essere chiamato, dopo due anni di rinvio a causa dalla pandemia – era proprio il figlio del fondatore dell’omonima azienda. Proveniente, dunque, da una famiglia facoltosa, eppure preso dalla bruciante voglia di andare in missione, che lo portò a spendere tutte le energie in Uganda, dove morì nel 1987 dopo aver messo in salvo dalla guerra i pazienti del suo ospedale di Kalongo.
Dal 20 novembre, padre Ambrosoli è dunque beato. Nato nel 1923, cresciuto nel gruppo di giovani dell’Azione Cattolica di Como denominato Cenacolo, si iscrisse alla facoltà di Medicina nel 1942, con il desiderio di partire per la missione. Erano gli anni di guerra, e Ambrosoli si spese anche per mettere in salvo ebrei e partigiani che passano da Como per riparare in Svizzera.
Fu coscritto dalla Repubblica di Salò, e si ritrovò così tra le file dei repubblichini, accettando la chiamata solo per non creare problemi alla famiglia.
Nel 1949, si laureò in Medicina e si specializzò in malattie tropicali. Dopo aver scartato l’opzione di entrare tra i gesuiti, entrò quindi nei missionari comboniani. Fu ordinato sacerdote dal Cardinale Giovanni Battista Montini, arcivescovo di Milano, il futuro Paolo VI.
Partì per l’Africa nel 1956, destinato a Kalongo, allora un villaggio sperduto nella Savana a Nord dell’Uganda, dove doveva prendersi cura di un piccolo dispensario medico, che era alla fine una capanna con il tetto di paglia. In trent’anni, lo trasformò in un ospedale efficiente e moderno, con accanto una scuola per ostetriche che oggi è un centro di eccellenza.
Lavoratore instancabile, che si occupava sin dal mattino presto ai suoi malati, inflessibile con i medici che si vantavano delle loro capacità perché “la chirurgia va fatta con scienza, ma anche con amore e coscienza”, nel 1987 si trovò nella drammatica situazione di dover evacuare l’ospedale in sole 24 ore per ordine militare, mentre imperversava la guerra civile.
E così fece: portò a Lira personale medico e malati, e poi anche i membri della scuola di ostetricia. “Quello che Dio chiede non è mai troppo”, disse. Ma era troppo per la sua salute precaria. E così, il 27 marzo 1987, 44 giorni dopo l’evacuazione dell’ospedale, morì per una crisi renale pochi minuti prima che arrivasse l’elisoccorso.
Kalongo poi risorse due anni dopo, ad opera del comboniano padre Egidio Tocalli, e lì il beato Ambrosoli è sepolto.
L’ospedale è sostenuto dalla fondazione Ambrosoli, e oggi fornisce assistenza a 50 mila persone e coordina 33 dispensari in una delle aree più povere dell’Uganda.
Ambrosoli è beato perché è stato riconosciuto ottenuto grazie alla sua intercessione il miracolo della guarigione di Lucia Lomokol. Questa il 25 ottobre 2008 stava per morire a 20 anni di setticemia, dopo aver perso il figlio che portava in grembo. All’ospedale era arrivata troppo tardi. Per questo uno dei medici, vista l’impossibilità ormai di alcuna terapia, le aveva posto sotto il cuscino l’immagine di padre Giuseppe invitando i familiari a invocare il “grande dottore”. Guarì in modo inspiegabile. E così, padre Ambrosoli ha continuato ad essere segno nell’ospedale da lui fondato.
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