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Un servizio di EWTN News

Diplomazia pontificia, mentre il Papa è in Bahrein, verso relazioni con l’Oman?

Papa Francesco conclude il Bahrain Forum for Dialogue, 4 novembre 2022

In questi giorni, Papa Francesco è in Bahrein per un viaggio che ha lo scopo di creare ulteriori ponti di dialogo con il mondo islamico e con i Paesi del Golfo. Ma a colpire, tra le notizie diplomatiche, è quella di una telefonata tra il ministro degli Esteri di Oman e l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, al termine della quale si parla apertamente della possibilità di aprire relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e Muscat.

È una notizia che colpisce, perché l’Oman è tra gli otto Paesi al mondo con i quali la Santa Sede non ha alcuno scambio di tipo diplomatico.

                                                FOCUS OMAN

Verso relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Oman?

Il 4 novembre, le agenzie locali hanno battuto la notizia che il ministro degli Esteri di Oman Sayyid Badr Hamad al Usaidi, ha ricevuto una telefonata dall’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati.

Secondo una nota del ministero degli Esteri di Muscat, il vescovo Gallagher e il ministro degli Esteri, hanno “concordato di stabilire relazioni diplomatiche tra il Sultanato di Oman e la Santa Sede”.

Nel 2017, il Sultanato fu decisivo nella liberazione di padre Tom Uzhunnalil, il sacerdotte salesiano rapito in Yemen. Il Papa aveva pubblicamente ringraziato il sultano.

Nel resto della telefonata, Gallagher e Hamad al Usaidi hanno anche preso la decisione di sviluppare una cooperazione costruttiva e un mutuo interesse per il benessere e l’armonia tra le nazioni.

L’Oman è uno degli otto Stati al mondo che non hanno alcun legame con la Santa Sede, nemmeno un rappresentante non residente. Si tratta di Arabia Saudita, Bhutan, Cina, Corea del Nord, Maldive e Tuvalu, oltre, appunto, all’Oman. Ci sono invece delegati apostolici in quattro Paesi: Comore e Somalia in Africa, Brunei e Laos in Asia. Con il Vietnam sono state iniziate formalmente le trattative per arrivare a pieni rapporti diplomatici, cosa che ha portato – a fine 2011 – a nominare un rappresentante vaticano non residenziale presso il governo di Hanoi e oggi a portare avanti le relazioni per un "updgrade" delle relazioni diplomatiche. Vietnam e Oman, dunque, potrebbero presto aggiungersi alle nazioni che già hanno relazioni diplomatiche con la Santa Sede.

                                                          FOCUS BAHREIN

Papa Francesco in Bahrein, il lavoro per la coesistenza

Santa Sede e Bahrein hanno relazioni diplomatiche dal 2000, e il nunzio risiede in Kuwait. Le relazioni diplomatiche avevano ereditato il lavoro della Delegazione Apostolica della Regione del Mar Rosso stabilità da San Paolo VI nel 1969, e la delegazione apostolica della penisola arabica stabilita nel 1992.

Nonostante le ottime relazioni diplomatiche, e la tolleranza proclamata dal Regno in nome della quale il re del Bahrein ha donato il terreno della cattedrale di Nostra Signora di Arabia, il Papa non ha mancato a fare accenno alla situazione dei diritti umani a Manama e dintorni, con una richiesta specifica per la fine della pena di morte (26 esecuzioni lo scorso anno, di cui 12 su prigionieri politici), ma anche sottolineando come la libertà religiosa debba essere piena.

Il discorso del re del Bahrein

Per questo, i discorsi sono interessanti. Il re Hamad bin Isa bin Salma al Khalifa, ha ringraziato sia Papa Francesco che il Grande Imam di al Azhar Ahmed al Tayyeb per “quello che hanno fatto”. Il re ha detto di guardare “con grande speranza” alle conclusioni del Forum, che ha l’obiettivo di “ravvivare le vie della vicinanza e della comprensione fra i seguaci delle religioni e delle convinzioni come approccio principale per ottenere la concordia piuttosto che la contrapposizione, l’unità invece della divisione”.

Il re Hamad ha sottolineato anche che “dobbiamo tutti essere unanimemente concordi in queste condizioni eccezionali nel fermare la guerra fra Russia e Ucraina e avviare dei seri negoziati per il bene dell’intera umanità”.

Il discorso del Grande Imam di al Azhar

Più complesso il discorso del Grande Imam di al Azhar. Questi, sunnita, si trova nella difficile posizione di parlare ad una famiglia reale sunnita ma ad un popolo in maggioranza sciita.

Il Grande Imam ha sottolineato che le guerre nascono per “assenza di giustizia”, una legge divina che, se non osservata, mette a rischio l’ordine dell’intero mondo.

Come può la pace essere realizzata in un pianeta in cui “solo l’1 per cento della popolazione possiede metà della ricchezza del mondo, dove solo 100 persone hanno più ricchezza di 4 milioni di altri esseri mani”.

Al Tayyeb definisce le teorie sullo “scontro di civiltà” come “colonialiste e imperialiste”, e creano la strada “per n nuovo sistema mondiale che controlla popoli e nazioni”.

Il Grande Imam delinea una serie di differenze tra Est e Ovest, sottolinea che è necessario che l’Ovest sia introdotto al vero Islam, e contrappone alla dottrina dello scontro di civiltà, quello del riconoscimento di civiltà, perché c’è una nuova dottinra coranica che sostiene che, se è naturale – come dicono le sure – che le persone abbiano differenze di credo, “ne consegue che devono essere libere di scegliere ogni fede”. Pertanto, la relazione tra i popoli definita nel Corona è “di pace e riconoscimento”.

Il Grande Imam definisce “non vera” la visione sulla guerra agli infedeli delineata da media e opinione pubblica.

E infine, Ahmed al Tayyeb chiede “a tutti i miei fratelli, studiosi musulmani di tutto il mondo, di tenere un dialogo islamico, un dialogo su unità, coesione e riavvicinamento, un dialogo per la fraternità umana”.

(La storia continua sotto)

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Sono parole che preludono ad un possibile dialogo tra sunniti e sciiti, e che Papa Francesco apprezza, tanto che dirà, nell’incontro privato con il Grande Imam, “sei stato coraggioso a parlare di dialogo”.

                                                        FOCUS UCRAINA

Papa Francesco in Bahrein, l’appello per la riconciliazione in Ucraina

Nel discorso di conclusione del Bahrain Forum for Dialogue: East and West for Human Coexistence, Papa Francesco ha incluso anche, a braccio, un appello per tutte le religioni perché si operi per la fine della guerra in Ucraina.

“Promuoviamo – ha detto Papa Francesco - iniziative concrete perché il cammino delle grandi religioni sia sempre più fattivo e costante, sia coscienza di pace per il mondo! E qui rivolgo a tutti il mio accorato appello, perché si ponga fine alla guerra in Ucraina e si avviino seri negoziati di pace”.

Papa Francesco ha pregato per l’Ucraina in 120 occasioni. La Santa Sede è sempre aperta ad una mediazione, e assume un approccio piuttosto ottimistico.

Lo sottolinea il Cardinale Parolin, parlando con i giornalisti del volo papale a margine del Forum di Bahrein.

Il Cardinale Parolin ha ribadito l’appello del Papa che “chiedeva anche al presidente Zelensky di essere aperto a serie proposte di pace”, e ha sottolineato di aver visto “qualche piccolo accenno da Mosca”, notato per esempio sulla disponibilità del presidente Putin di tornare sull’accordo per il grano.

Il Segretario di Stato vaticano ha anche sottolineato che il Papa è “certamente molto preoccupato per la situazione”.

                                                FOCUS ASIA

Accordo sino – vaticano, critiche dagli Stati Uniti

Sebbene non ci siano state reazioni ufficiali degli Stati Uniti al rinnovo dell’accordo sino-vaticano, membri della Commissione sulla Libertà Religiosa Internazionale USA hanno criticato l’accordo tra Santa Sede e Cina per la nomina dei vescovi, sottolineando che rafforza il governo cinese nelle sue azioni contro le comunità cristiane.

In particolare, Stephen Schneck, commissario per la USCIRF, ha notato che i rapporti dimostrano che le condizioni dei cattolici in Cina sono significativamente peggiorate negli ultimi quattro anni, e si è detto preoccupato per la situazione del Cardinale Joseph Zen, arcivescovo emerito di Hong Kong, arrestato a maggio e ora in attesa di un processo.

David Curry, un altro commissario, ha invece affermato di “pensare personalmente che il Vaticano sta volontariamente evitando di porre attenzione sull’egregio uso dell’accordo come una giustificazione per continuare ad attaccare la Chiesa sotterranea”.

“Credo – ha detto Curry al Religion News Service – che la logica del Vaticano fosse di mostrare buona fede con il Partito Comunista Cinese, con la speranza che questo si sarebbe aperto a qualche tipo di libertà per altri cristiani nella nazione. Sfortunatamente, quella speranza non si è verificata”.

L’USCIRF ha intenzione di scrivere un rapporto al Congresso e all’amministrazione che “affronta gli effetti che l’accordo del Vaticano con la Cina ha avuto sulla libertà religiosa nella nazione”.

Già nel 2020, sotto l’amministrazione Trump, dagli USA venne una forte critica all’accordo. In particolare, fu il Segretario di Stato USA Mike Pompeo a portare le preoccupazioni degli Stati Uniti in Vaticano, in un incontro con i vertici della Segreteria di Stato e anche in una conferenza sulla libertà religiosa organizzata dall’ambasciata USA presso la Santa Sede e cui era intervenuto anche l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, “ministro degli Esteri” vaticano.

Papa Francesco incontrerà la suprema guida yazidi il prossimo 14 novembre

Il principe Hazim Tahsin Beg, suprema guida degli yazidi, ha annunciato che il 14 novembre prossimo sarà in Vaticano per un incontro con Papa Francesco.

Tahsin Beg, classe 1963, è “mir” (principe) degli yazidi dal 27 luglio 2019, quando è succeduto al padre, morto all’età di 85 anni dopo aver governato gli yazidi per 75 anni.

Mir Hazin è nel Parlamento del Kurdistan, dove è entrato come candidato del Partito democratico del Kurdistan.

Papa Francesco ha spesso fatto appelli per gli yazidi, ricordandoli anche durante il viaggio in Iraq nel marzo 2021. Il 24 gennaio 2018, il Papa aveva incontrato una rappresentanza della popolazione yazida di Germania prima dell’udienza generale, nell’Auletta Paolo VI e per due volte ha incontrato la sopravvissuta yazida Nadia Murad, premio Nobel per la Pace 2018.

                                                          FOCUS AFRICA

Papa Francesco intende andare in Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan a febbraio

A luglio, Papa Francesco era stato costretto a posticipare il viaggio in Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan, mandando al suo posto il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, come ponte. La sua speranza, ha rivelato a un gruppo di giovani africani incontrati online lo scorso 1 novembre, è quella di riprendere il viaggio per il prossimo febbraio.

Nella conversazione, il Papa ha detto che “il dottore me lo ha proibito (nel luglio di quest’anno), ora posso camminare. Con un bastone, ma posso”. C’è comunque da notare che lo scorso 3 novembre, per la prima volta, il Papa ha preferito non fare il giro dell’aereo per salutare i giornalisti in volo con lui verso il Bahrein, facendosi salutare individualmente e ammettendo di essere molto dolorante.

Nella conversazione, il Papa ha anche detto che l’Africa “non deve essere sfruttata”, e di affrontare la storia del loro popolo. Papa Francesco ha anche parlato della deforestazione del continente africano, da lui definita “un crimine contro l’umanità”.

                                                FOCUS AMERICA LATINA

Nicaragua, la presenza del Cardinale Brenes a Roma

Arrivato a Roma per un incontro della Pontificia Commissione per l’America Latina, il Cardinale Leopoldo Brenes, arcivescovo di Nicaragua, si è trovato anche a parlare con il Papa di alcune delicate questioni, tra cui l’arresto del vescovo Alvarez da parte del governo, nonché la chiusura di diversi media diocesani da parte della presidenza di Daniel Ortega, che alcuni non esitano a definire un regime.

La crisi in Nicaragua si trascina dal 2018, quando le manifestazioni per la riforma delle pensioni sfociarono nella violenta repressione del governo. All’inizio dell’anno, il governo Ortega ha anche abolito il titolo di decano del corpo diplomatico, diritto che spetta al nunzio dai tempi della Convenzione di Vienna, e poi ha anche espulso in maniera inopinata e sorprendente anche per la Santa Sede lo stesso nunzio, l’arcivescovo Walder Sommertag, che di recente è stato destinato ad un’altra nunziatura.

Il Cardinale Brenes era a Roma per la presentazione del documento conclusivo dell’Assemblea Ecclesiale del CELAM 2021, intitolato: “Verso una Chiesa sinodale in uscita verso le periferie. Riflessioni e proposte pastorali a partire dalla Prima Assemblea Ecclesia di America Latina e Caraibi”.

Il testo, elaborato da 22 Conferenze Episcopali, è considerato “un insieme di linee guida per l’azione pastorale”, e potrebbe in qualche modo impattare anche sulla situazione in Nicaragua.

Papa Francesco è sempre informato della situazione in Nicaragua. Nel 2018, ha cercato di avere rapporti con il governo, e incoraggiando i vescovi a partecipare al cosiddetto dialogo nazionale per poi invece ritrovare la Chiesa sotto attacco, e gli stessi vescovi vittime di attacchi.

Il vescovo Rolando Alvarez, diocesano di Matagalpa e Amministratore apostolico di Estelí, è agli arresti domiciliari dal 18 agosto. Altri 8 sacerdoti sono in galera per essere processati, e decine di sacerdoti e religiose, come le sorelle di Madre di Teresa di Calcutta, sono in esilio.

Il 28 settembre, il presidente Ortega puntò il dio contro la Chiesa, definita una “dittatura” e “una perfetta tirannia” in un discorso pronunciato in occasione del 43esimo anniversario della polizia nazionale.

Papa Francesco ha affrontato la situazione in Nicaragua al termine dell’Angelus del 21 agosto, quando disse di seguire “da vicino con preoccupazione e dolore la situazione creatasi in Nicaragua, che coinvolge persone e istituzioni. Vorrei esprimere la mia convinzione e il mio auspicio che, per mezzo di un dialogo aperto e sincero, si possano ancora trovare le basi per una convivenza rispettosa e pacifica. Chiediamo al Signore, per l’intercessione della Purissima, che ispiri nei cuori di tutti tale concreta volontà."

Si vedrà cosa scaturirà dai colloqui del Cardinale Brenes e Papa Francesco.

Cile, la Conferenza Episcopale del Cile ha partecipato alla Costituente

Il 27 ottobre, al Congresso di Santiago del Cile, i presidenti di entrambe le camere del Parlamento hanno convocato un incontro con le confessioni religiose nell’ambito dei colloqui per dare seguito al processo costituente, dopo la bocciatura della nuova costituzione in un plebiscito popolare. Ha partecipato anche una rappresentanza della Conferenza Episcopale del Cile.

La delegazione dei vescovi, da sempre molto critici con le proposte di riforma della Costituzione, era composta dal vescovo Juan Ignacio Gonzales di San Bernardo e da Valeria Lopez, segretaria generale della Conferenza Episcopale.

Il vescovo Gonzales ha detto che la Chiesa aspettava l’incontro, perché questo “è un momento che non abbiamo avuto prima, abbiamo scoperto in voi la disponibilità a collaborare e tutti noi siamo disponibili a contribuire. Speriamo che trasmettiate questo a coloro che stanno lavorando per il bene del Cile”.

Rispetto all’incontro, il vescovo ha continuato: “Abbiamo parlato tutti liberamente, ci siamo sentiti molto ben accolti”. Inoltre, “il bene del Cile richiede la comprensione che un fattore sociale preponderante della nostra conformazione come nazione è la spiritualità, e ciò che rappresentano le confessioni religiose”.

In Colombia, la Chiesa prende parte a un Forum sulla libertà religiosa

La Chiesa Cattolica in Colombia ha preso parte nel giorno di Ognissanti alla quinta edizione del Foro di Libertà Religiosa, Libertà di Coscienza e di Culto. Il Forum è stato organizzato dall’amministrazione distrettuale di Bogotà a partire dalla sotto-direzione degli Affari di Libertà Religiosa e di Coscienza della Segreteria Distrettuale del governo.

Scopo centrale dell’incontro riguarda la promozione di uno spazio di incontro di accademici ed esperi in linea di libertà di coscienza e di culto, con una speciale prospettiva sulle relazioni e i limiti dell’esercizio cittadino.

Tra i temi affrontati, quello della “Obiezione di coscienza per una affermazione della libertà e del pluralismo”, e “Libertà religiosa e libertà di coscienza: una frontiera da scoprire”.

                                                FOCUS MULTILATERALE

Santa Sede New York, sull’eliminazione del razzismo

L’1 novembre, si è tenuta una riunione del Terzo Comitato dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, sul tema “Eliminazione del razzismo, della discriminazione razziale, della xenofobia e della intolleranza ad esso correlata”.

Nel suo intervento, l’arcivescovo Gabriele Caccia, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York, ha sottolineato che il razzismo “prende una visione riduzionista delle persone enfatizzando una o l’altra caratteristica, ed elevando alcuni con la denigrazione degli altri”.

In questo caso, si contraddice “il principio fondamentale che tutti gli esseri umani sono nati liberi ed eguali in dignità e diritti”, come si legge nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

L’arcivescovo Caccia ha anche messo in luce la differenza tra razzismo, facile da identificare, e pregiudizio razziale, che prende spesso forme più subdole, e ha sottolineato la difficile situazione dei migranti, che “continuano ad essere soggetti di atteggiamenti razzisti e xenofobi”.

Il nunzio ha sottolineato che “il razzismo è un male radicale che nega la dignità umana, divide la famiglia umana e mette rischio lo stabilimento di una società giusta ed eguale”.

La Santa Sede ha messo in luce che le risposte al male del razzismo “iniziano con la famiglia e vanno sviluppate dalla scuola e della società”, e devono essere “radicate nella verità e nella dignità della persona umana”.

La Santa Sede a New York, la Commissione di Diritto internazionale

Sempre l’1 novembre, la Santa Sede ha discusso del Rapporto della Commissione di Diritto Internazionale. In particolare, l’arcivescovo Caccia ha discusso dell’immunità degli officiali di Stato dalla giurisdizione penale internazionale, e la crescita del livello del mare in relazione alla legge internazionale.                                

                                                FOCUS EUROPA

Il cardinale Schoenborn incontra la presidente ungherese Katalin Novak

Il 28 ottobre, Katalin Novak, presidente di Ungheria, ha incontrato a Vienna il Cardinale Christoph Schoenborn, arcivescovo della capitale austriaca, durante la sua visita nel Paese.

Novak è stata dal cardinale, che è anche promotore dell’International Catholic Legislators Network, dopo aver incontrato il presidente federale Alexander Van der Bellen.

In dichiarazioni rese successivamente a Kathpress, il Cardinale Schoenborn ha detto che il colloquio con la presidente ungherese ha avuto come focus “la preoccupazione per la pace e il suo ripristino, soprattutto per quanto riguarda l’Ungheria”, e ha definito la conversazione come “buona e personale”.

Novak è presidente di Ungheria dal 10 maggio. Era stata dal 2014 al 2020 segretario di Stato per la famiglia e gli affari giovanili, e ministro per gli affari per la famiglia dal 2020.

                                                     FOCUS TURCHIA

L'ambasciatore Göktaş per la festa della Repubblica

In occasione della festa della Repubblica turca, lo scorso 29 ottobre, Lütfullah Göktaş, ambasciatore di Turchia presso la Santa Sede, ha tenuto un discorso in cui ha sottolineato che la Turchia è una nazione che vive in Anatolia, culla di diverse civiltà per secoli, una tradizione che si è conservata nel periodo repubblicano "in linea con il principio di laicità apertamente riconosciuto nella nostra Costituzione, è garantita la libertà di religione dei nostri cittadini".

in 99 anni di Repubblica, la Turchia - ha aggiunto l'ambasciatore - "continua ininterrottamente la determinazione della nostra nazione e dei nostri dirigenti per proteggere la Repubblica, per rafforzare le conquiste in questa nuova era e per far avanzare il nostro Paese in ogni settore".

La Turchia - ha aggiunto . "intrattiene rapporti diplomatici con la Santa Sede dal 1960. Tuttavia, sappiamo anche che questo rapporto, basato sul rispetto reciproco non si limita a 62 anni, ma risale al periodo ottomano".

L'ambasciatore ha ricordato le visite in Turchia di tutti i Papi a partire da Paolo VI, e in particolare a messo in luce la "pietra miliare" della "visita del Presidente Recep Tayyip Erdoğan in Vaticano nel febbraio 2018". Il Papa e il presidente mantengono anche costanti colloqui telefonici, segno di  "rafforzate relazioni bilaterali", ma anche di amicizia.

La Turchia e la Santa Sede - ha continuato l'ambasciatore - sono d'accordi sulla maggior parte delle questioni fondamentali che riguardano il mondo di oggi. Tutti e due condividono le stesse sensibilità su temi come la protezione dell'ambiente, il cambiamento climatico, l'immigrazione e la libertà religiosa. Ribadiamo che è inaccettabile identificare le religioni con il terrorismo e vedere le persone come nemiche a causa della loro identità religiosa".

Göktaş aggiunge che "poiché siamo contrari all'antisemitismo e alla cristianofobia, consideriamo anche l'islamofobia e l’anti-islamismo come fenomeni preoccupanti. Sosteniamo che non il conflitto e lo scontro, ma il rispetto reciproco deve essere alla base delle relazioni tra paesi, popoli, religioni e culture".

Il rappresentante di Ankara presso la Santa Sede ha anche ricordato che si vive in un periodo di tensioni, che la Turchia è "in una geografia difficile", da dove si assiste da vicino alle guerre, ai conflitti e al terrorismo, e ribadisce il no al terrorismo, sottolineando che laTurchia ricorda "in ogni circostanza ai nostri alleati che è sbagliato sostenere un’organizzazione terroristica in nome della lotta contro ad un’altra".

L'ambasciatore ha aggiunto che in Turchia ci sono al momento 5 milioni di rifugiati, di cui 3 milioni e 600 mila siriani. Ha ricordato lo sforzo di mediazione turco nel conflitto generato dall'aggressione russa all'Ucraina. 

A maggio, l'ambasciatore ha avuto una udienza privata da Papa Francesco, e questi - ha raccontato - "ha espresso apertamente il suo apprezzamento per il Presidente Erdoğan per il ruolo costruttivo e gli sforzi di stabilire la pace. Nonostante le circostanze di guerra, l'accordo sul corridoio del grano firmato a Istanbul tra Ucraina e Russia è stato uno sviluppo positivo per il mondo intero. Il ruolo strategico e il successo diplomatico della Turchia in questo contesto sono chiaramente riconosciuti dalle Nazioni Unite".

L'ambasciatore annuncia anche che "il Presidente Erdoğan, ottimista sulla proroga dell'accordo, proseguirà i suoi colloqui con Putin e Zelensky nella speranza di gettare le basi per la pace".

 

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