Città del Vaticano , 23 November, 2015 / 12:00 AM
Una enciclica missionaria. Una enciclica sull’amore fortemente radicato nella verità, che si concentra sul concetto di luce. Una enciclica da rileggere oggi, dieci anni dopo la sua pubblicazione, per comprenderne la portata profetica e traghettarla nell’Anno della Misericordia. Tutto questo è la Deus Caritas Est, la prima enciclica di Benedetto XVI, della quale si è discusso in un simposio organizzato dalla Fondazione Ratzinger su “Deus Caritas Est. Porta di misericordia,” dal 19 al 21 novembre.
Che l’enciclica abbia suscitato un forte interesse da parte di tutti, è fuor di dubbio. E lo testimonia la presenza al Simposio del presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, che nel corso degli anni aveva sviluppato nei confronti di Benedetto XVI un sentimento di amicizia e stima. E Napolitano, dell’enciclica, ha messo in risalto la profezia dell’enciclica, di una “attualità impressionante” in un mondo “in cui il nome di Dio viene collegato alla vendetta il dovere dell’odio e della violenza.”
Il vescovo Mario Toso, già segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e ora vescovo di Faenza-Modigliana, ha messo in luce che “la Chiesa è, con questa enciclica ma anche con l’umanità, aggrappata alla croce del suo Cristo. Benedetto XVI ricorda che dalla croce Cristo ha emesso lo spirito preludio dello Spirito Santo. Spirito che armonizza il cuore dei credenti con il cuore di Cristo.” E la paragona in qualche modo al messaggio di Pio XII durante la Seconda Guerra Mondiale, il quale “non si dedicava a riflettere sulla guerra, ma a prospettare la visione di un mondo futuro” con i suoi famosi radiomessaggi.
C’è, in questi due punti di vista, la visione geopolitica e la visione della dottrina sociale. Eppure la Deus Caritas travalica i due ambiti, perché è fondata su quella verità che Benedetto XVI interpreta come luce. In fondo, c’è un filo rosso che va dalla Deus Caritas Est alla Lumen Fidei (enciclica firmata da Francesco, ma quasi interamente ascrivibile a Benedetto XVI), e che è stato messo in luce dall’intervento del Cardinal Gehrard Ludwig Mueller, prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede.
Il Cardinal Mueller parte proprio dal concetto di verità, centrale nell’enciclica di Benedetto XVI. Sottolinea che “il pensiero cristiano ha sempre preso le distanze da una qualsiasi considerazione labile della verità che la potesse diluire in una ermeneutica storica sempre relativa all’evoluzione dei tempi”. E afferma che “la grandezza celata nella prima enciclica del Papa tedesco consiste nel cogliere la grande sfida di proporre l’essenza del cristianesimo nell’amore.”
Per Benedetto XVI, “luce e amore sono una sola cosa”, ed è così che si superano i problemi del razionalismo (che basa tutto solo sulla prova concreta) e dell’emozionalismo (che fa il ragionamento opposto)”.
Insomma, l’enciclica ha una “unità radicale” che si stabilisce “a partire dall’unica verità dell’amore” che è al contempo “contemplativa e pratica”.
E’ questa una chiave di lettura fondamentale per comprendere l’enciclica. E si devono rileggere alcuni discorsi di Benedetto XVI – ricorda il Cardinal Mueller – per capirne le applicazioni pratiche. Come il discorso di Benedetto XVI alla Rota Romana del 2010, in cui – parlando del rapporto tra carità e giustizia – il Papa emerito chiedeva di “rifuggire da richiami pseudopastorali che situano le questioni su un piano meramente orizzontale, in cui ciò che conta è soddisfare le richieste soggettive”.
Da qui, l’intenzione “eminentemente evangelizzatrice” nello scrivere l’enciclica, come già spiegava Benedetto XVI: “Vivere l’amore in questo modo far entrare la luce di Dio nel mondo, ecco ciò a cui vorrei invitare con la presente Enciclica”. Con la ragione di “aprire la via della rivelazione di Dio mediante l’amore” spiega il Cardinal Mueller.
È questo il motivo per cui l’enciclica è così importante oggi. E non solo. È una chiave di lettura per comprendere tutto lo sforzo di Benedetto XVI di riportare la Chiesa a Dio. Si legge nell’enciclica: “Solo nella verità la carità risplende e può essere autenticamente vissuta. La verità è luce che dà senso e valore alla carità. Questa luce è, a un tempo, quella della ragione e della fede, attraverso cui l'intelligenza perviene alla verità naturale e soprannaturale della carità: ne coglie il significato di donazione, di accoglienza e di comunione. Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. L'amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. È il fatale rischio dell'amore in una cultura senza verità”.
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