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Un servizio di EWTN News

Dal Meeting un messaggio: la guerra si sconfigge con il perdono

“Il titolo scelto per l’edizione 2022, ‘Una passione per l’uomo’, è dotato di grande forza, accresciuta, se possibile, dal contesto nel quale viviamo. Più che mai il tema della dignità della persona, della sua difesa, della salvaguardia della sua libertà e della sua integrità, è al centro della sfida che si pone all’uomo contemporaneo”: questo è stato il messaggio del presidente della Repubblica Italiana, che ha inaugurato il Meeting dell’Amicizia tra i popoli, in svolgimento a Rimini.

Un meeting che mette al centro della riflessione la commemorazione del centenario della nascita di don Luigi Giussani, ma anche il tema della pace, sottolineato sempre dal presidente della Repubblica: “Anzitutto il tema del diritto alla vita. A poca distanza da noi, nel cuore dell’Europa, si combatte una guerra scellerata, provocata dall’aggressione della Federazione Russa all’Ucraina. L’Europa è risorta dal nazifascismo proprio abiurando alla volontà di potenza e alla guerra che ne è diretta conseguenza, ai totalitarismi, alle ideologie imperniate sulla supremazia sia etnico-nazionale sia ideologica. Questa guerra di invasione, con i lutti, le distruzioni, gli odi che continua a generare, scuote l’intera umanità nei suoi valori fondativi e l’Europa nella sua stessa identità”.

Ed infatti nel week end appena trascorso alla fiera riminese sono stati  molti gli ospiti internazionali, che hanno raccontato in quale modo i cristiani cercano di creare le condizioni per la pace, come ha detto da Mosca mons. Paolo Pezzi: “Per i cristiani la pace è un dono, e come tale va accolta e riconosciuta. Per il mondo, invece, è l’instaurarsi di un certo potere, e occorre che qualcuno faccia certi sacrifici, mentre altri no; è quindi sempre una menzogna la pace del mondo”. Mons. Paolo Pezzi, arcivescovo metropolita della Madre di Dio a Mosca, ha invitato i cristiani ad essere protagonisti: “Bisogna scrivere una nuova pagina della storia, quelle degli eroi della pace… Il dono della pace non è, innanzitutto una conquista umana: possiamo sforzarci quanto vogliamo, ma non raggiungeremo la pace dopo un certo passo di un certo cammino... La pace è un’esperienza presente che riverbera la certezza affettiva del rapporto con Cristo”.

Ha raccontato di aver parlato di perdono con una ragazza ucraina, il cui fratello era stato richiamato alle armi e di averle detto che “suo fratello doveva certamente imbracciare un fucile e uccidere, o essere ucciso, per difendere la patria, perché la patria è un valore importante, e in certe occasioni può richiedere la vita. Ma senza perdono suo fratello avrebbe portato l’odio con sé tutta la vita, o nella tomba, e non avrebbe potuto contribuire alla ‘conversione’ del suo nemico in fratello”.

Ed è anche arrivata la testimonianza di Elena Mazzola, docente universitaria, che ha vissuto per 15 anni a Mosca e, successivamente, da 5 anni, è presidente di 'Emmaus', un’organizzazione no profit, che desidera creare luoghi di amicizia e di fiducia per giovani con disabilità, orfani, bambini appartenenti a famiglie rifugiate a causa della guerra in Ucraina, presente al Meeting con alcune ragazze fuggite con lei da Karkhiv: “Ho fatto per la prima volta nella mia vita l’esperienza di un male che non avrei mai immaginato, l’esperienza per cui ti senti che ti viene strappato tutto di dosso, che non hai più una casa, una ingiustizia che poi si è trasformata, davanti agli occhi di tutto il mondo, in una ferocia e una crudeltà incredibili, che continuano ancora oggi. Io so che ci sono delle persone come me, ma molte anche più di me, che queste ferite, questo sentirsi strappare la pelle di dosso, lo vivono tutti i giorni. So anche quanto è facile non accorgersi di che cosa è vivere davvero dentro questo dolore, perché, io stessa (il Papa parla di terza guerra mondiale a pezzi) tanti pezzi di questa guerra  li sento distanti, per cui sono a disagio perché sento che l’esperienza mia è un po’ lontana da quello che vedo intorno a me”.

Ma non solo l’Europa è stata al centro degli incontri, ma anche la situazione della Palestina, che ha la sensazione di essere stata abbandonata dalla diplomazia internazionale, secondo la testimonianza del patriarca di Gerusalemme dei Latini, mons. Pierbattista Pizzaballa: “Sul piano politico e sociale israeliani e palestinesi sono accomunati dalla mancanza di fiducia: nessuno si fida più di nessuno e nessuno vuole più sentire parlare del processo di pace dopo il fallimento”.

Ed ha spiegato il senso dell’abbandono,aggravato dalla crisi economica che a Gaza è esplosiva: “C’è la coscienza tra i palestinesi di essere stati abbandonati dalla comunità internazionale che non si occupa già di loro che sono rimasti soli a lottare per il loro Paese, per la Palestina. In questo contesto si lavora per giustizia e pace dando una parola di verità ma che dia anche fiducia e superi la rassegnazione e la ribellione”.

Però: mons. Pizzaballa ha rivendicato il diritto di difendere la pace nel ricordo del patriarca Sabbah: “Il patriarca Sabbah è stato un eroe ma i tempi sono cambiati, io provengo da una storia diversa e per essere credibile devo essere coerente con quello che sono… Però lottare per la pace può condurre alla solitudine, che devi accettarla come una via necessaria, perché il tuo servizio dia frutto quando magari non ci sarai più”.

Però non tutto è perduto, come hanno raccontato Salem Billan, primario di radioterapia al Rambam Hospital di Haifa e primario di Oncologia ‘Holy Family Hospital’ di Nazareth e Senior Consultant Oncology ‘Augusta Victoria Hospital’ di Gerusalemme est; e suor Azezet Habtezghi Kidane, missionaria comboniana ed infermiera, codirettrice di ‘Kuchinate’, ong che si occupa di rifugiate africane a Tel Aviv: “La medicina sia un ottimo esempio di mancanza di differenza religiosa e politica, tutti lavorano insieme. Ad Haifa recentemente ci sono stati grossi problemi, scontri e divisioni, ma in ospedale sembrava di non essere nella stessa città, tutti hanno continuato a lavorare insieme. Il direttore ha scritto in una lettera che noi siamo una famiglia senza differenze e curiamo tutti. La medicina può essere un ponte che unisce le persone”.

E dalla Repubblica Centrafricana il card. Dieudonné Nzapalainga, ha raccontato di una guerra dimenticata e del coraggioso del viaggio apostolico del papa e degli sforzi fatti negli anni della guerra civile insieme ai protestanti e ai musulmani: “Quando i ribelli hanno preso il controllo nel 2013 le violazioni dei diritti umani erano all’ordine del giorno ma non ho mai smesso di denunciarle, neppure quando alcuni uomini d’affari romeni sono venuti da me a nome dell’autorità per offrirmi € 80.000, che ho rifiutato”.

Infine ha ricordato che il viaggio apostolico del papa ha cambiato la prospettiva del Paese: “Davanti al dolore e alla sofferenza parlare non basta, bisogna compatire nel senso etimologico del termine: soffrire con. E’ quello che il papa ha fatto con noi. E’ venuto tra noi e ci ha mostrato che la pace è possibile, che la diversità può davvero essere una ricchezza. E’ entrato nel PK5, il quartiere musulmano della capitale off limits, e ne è uscito con tutti i musulmani. E loro stessi hanno detto: ‘Il Papa ci ha liberati’. E’ così: il papa ci ha dato un’altra possibilità ed è cambiato tutto”.

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