Mosul, 17 August, 2022 / 12:30 AM
Nel 2007 non c’era ancora l’ISIS in Iraq. Eppure, c’erano i martiri. Perché il sentimento anticristiano nella regione era fortissimo, perché già si stava vivendo un esodo nascosto che avrebbe cambiato il volto della regione in maniera drastica, e perché semplicemente la Chiesa stava lì, ad occuparsi di tutti. Uno di questi martiri è padre Ragheed Ganni, caldeo, sacerdote, che fu ucciso insieme a tre suddiaconi avendo come ultimo gesto quello di donare la vita per salvare le mogli dei suoi compagni, e che fu ucciso perché rifiutò di chiudere la casa di Dio.
La causa di beatificazione di padre Ganni è iniziata nel 2018, su richiesta, avanzata nel 2017, di Francis Yohana Kalabat, vescovo dell’eparchia caldea di San Tommaso Apostolo a Detroit: è lì che è stata passata la competenza della Causa di Canonizzazione dall’arieparchia caldea di Mosul, per via delle condizioni difficili in cui si trova l’arcieparchia caldea dopo anni di occupazione jihadista, che rende difficile fare tutte le procedure per la canonizzazione, inclusa la raccolta delle testimonianze.
La causa di beatificazione riguarda padre Ganni e i tre diaconi si chiamavano Basman Yousef Daud, Wahid Hanna Isho e Gassan Isam Bidawid. Furono uccisi insieme al giovane sacerdote iracheno da un commando di uomini armati a Mosul, vicino la Chiesa dedicata allo Spirito Santo. Era il 3 giugno del 2007.
A quasi 15 anni dal martirio, ACI Mena ha raccolto alcune testimonianze sulla vita e sull’esempio di padre Ragheed. L’arcivescovo caldeo di Erbil Bashar Warda ha incontrato per la prima volta padre Ragheed in Irlanda nel 1997. Secondo l’arcivescovo, padre Ganni era caratterizzato da “semplicità e spirito di zelo per la fede. Quando a Padre Ragheed fu chiesto di fare da volontario per servire i pellegrini che venivano a pregare e chiedere consiglio al Santuario di Lough Derg dedicato a San Patrizio, accettò l’invito e portò gioia e felicità in tutti i nostri cuori. Ho sempre ammirato la sua leadership e la sua vicinanza ai giovani. Era un padre, un fratello e un educatore per tutti loro”.
Ragheed Ganni, nato a Mosul nel 1972, si era laureato in ingegneria civile prima di diventare sacerdote, e si era formato a Roma nel 1996. Dopo la Seconda Guerra del Golfo, quando cominciarono a imperversare gruppi islamisti in Iraq, ebbe il forte desiderio di tornare a casa, e lo fece nel 2004, andando direttamente a Mosul, la sua casa, ma soprattutto città che soffriva di attacchi di intimidazioni contro i cristiani, che si aggiungevano ai bombardamenti di molte chiese e monasteri a causa della discriminazione razionale.
C’era un “esodo nascosto” dei cristiani”, ma questo non scoraggiò padre Ragheed.
“I terroristi – era solito dire – vogliono terminare le nostre vite, ma l’Eucarestia ci dà vita. Quando ho tra le mani l’Eucarestia, e dico: ‘Questo è l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo’, io sento questo potere sopraffarmi. Io tengo il calice nelle mie mani, di fatto è Lui che mi sostiene e sostiene tutti noi, sfidando i terroristi e rendendoci uniti nel suo amore senza limiti”.
E ancora, padre Ragheed sottolineava: “I terroristi pensano che ci stanno uccidendo fisicamente e mettendoci paura spiritualmente con i loro metodi brutali. Molte famiglie cristiane sono partite a causa degli abusi commessi contro di loro, ma il paradosso è che siamo venuti per realizzare, attraverso la violenza dei terroristi, che è Cristo morto e risorto che ci dà vita. Questo ci dà speranza e ci aiuta a sopravvivere ogni giorno”.
Proprio a causa delle sue attività, specialmente con i giovani, divenne un bersaglio dei terroristi. Questi lo fermarono dopo una celebrazione: “Non ti abbiamo chiesto di non aprire la Chiesa per la preghiera?” Rispose: “Come posso chiudere la Casa di Dio di fronte ai fedeli?”
Il 12 ottobre 2006, metà anno prima del suo martirio, padre Ganni aveva scritto una preghiera, che era quasi una profezia. Eccola:
“Signore, non credo guarderanno alla mia preghierasebbene fosse una preghiera pessimista, tutti mi conoscono come ottimista.
E forse, per un momento, hanno dimenticato, hanno immaginato perché io fossi così ottimista.
Mi hanno visto sorridere, più coraggioso e forte, nelle situazioni più difficili.
Ma, quando ricordano i tempi tribolati che ho vissuto
E la durezza che ho dovuto affrontare
Quelle che hanno mostrato quanto debole io sia, quanto tu sia capace
Hai rivelato quanto fragile io sia e quanto forte tu sia,
Loro sapranno che io, mia speranza, ho sempre parlato di te
Perché ti conosco davvero, e tu eri la ragione del mio ottimismo
Anche quando sapevo che la mia morte fosse vicina.
Ma fammi essere con te ora.
Che io possa mettere tutto di fronte a te
Conosci meglio di me che tempi stiamo vivendo.
(La storia continua sotto)
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