Bari, 30 June, 2022 / 2:00 PM
“San Nicola per certi versi è anche il patrono di quei cristiani che si stanno uccidendo della Russia e dell’Ucraina e credo che un’intercessione ulteriore di san Nicola chissà che possa in qualche modo aiutare quella guerra fratricida, come tutte, ma in questo caso anche tra credenti”: con queste parole, nelle settimane scorse, il presidente della Cei, card. Matteo Zuppi, ha aperto il seminario di ‘Lector Incontri’, anteprima della 18^ edizione di ‘Lectorinfabula european cultural’, festival organizzato dalla ‘Fondazione Di Vagno’, in programma a Conversano a settembre, con una lectio dal titolo ‘Tra guerra e pace: la sfida della fratellanza’.
Bari, con il suo patrono san Nicola e la sua posizione nel Mediterraneo, è stata più volte citata dal cardinale come luogo dove costruire e lavorare per la pace: “Il Mediterraneo è uno dei luoghi di incontro, dove si affacciano storie e culture che si mischiano. Il fatto di abitare nello stesso Mediterraneo e attingere dalle stesse risorse deve generare necessariamente competizione e violenza o soltanto indifferenza?” Per il card. Zuppi “il vero problema è arrivare alla pace senza la guerra, questa è la consapevolezza. Qualche volta purtroppo attiviamo i fili della pace solo quando sono bagnati di sangue”.
Partendo da questo incontro abbiamo chiesto all’Arcivescovo di Bari-Bitonto, mons. Giuseppe Satriano, di spiegarci da dove deriva la venerazione a san Nicola da parte dei cattolici ed ortodossi: “Nicola, vescovo di Myra, è un santo della ‘Chiesa indivisa’, perché appartenente al IV sec. Da subito fu un santo molto venerato sia per la sua generosità e attenzione verso i più deboli, accompagnata da un carattere deciso contro i potenti, sia su questioni inerenti alla fede. Nella sua ‘Historia translationis’ (1088), Giovanni Arcidiacono affermò che ‘per tutte le nazioni e province in cui si venera il nome di Cristo Signore si contano più chiese a lui dedicate che non ad altri santi; come pure sono più numerosi i mortali che celebrano la sua festa che non quella di altri (santi)’”.
Perché è definito Santo ecumenico?
“A motivo di questa diffusione del culto, san Nicola trova devoti nel mondo cattolico, in quello ortodosso, ma anche in quello evangelico: le sue virtù di pastore del popolo, di guida nella retta fede e di promotore della giustizia sociale lo rendono stimato presso tutti i cristiani. La sua tomba qui a Bari è sempre stata luogo di pellegrinaggio di fedeli di diverse Chiese permettendo quell’ecumenismo di base, vero fondamento di ogni dialogo”.
A tale proposito la venerazione del Santo potrebbe indurre i popoli russo ed ucraino alla pace?
“Prima della devozione a san Nicola, credo debba essere centrale la fede in Gesù Cristo come motivazione capace d’indurre nazioni, a maggioranza cristiana, a rigettare la guerra. In secondo luogo non ritengo che questa sia una guerra tra ‘popoli’: gli ucraini e i russi sono estremamente legati tra loro e, letteralmente, ‘imparentati’. Semmai la guerra è tra politiche russe e politiche ucraine, ma non si può far coincidere la politica di un Paese con la volontà del suo popolo. Qui a Bari abbiamo testimonianza di come russi ed ucraini si ritrovino insieme a pregare dinanzi alla tomba di San Nicola. In questo senso, la comune devozione vissuta nella prossimità della preghiera può facilitare percorsi di riconciliazione”.
Nel mese di aprile a Leopoli è giunto il popolo della pace, a cui anche lei ha preso parte: quali impressioni?
“La partecipazione di tanti giovani alla ‘carovana’ e quella di molte associazioni componenti il popolo della pace mi ha favorevolmente impressionato e fatto comprendere come i nostri giovani non tollerino la guerra quale soluzione ai conflitti tra parti. Incontrando la popolazione ucraina, mi sono reso conto di quanto la guerra, oltre a portare terrore e sofferenze, irrigidisca i cuori. La guerra in atto è l’amara sconfitta di un’Europa, civile e democratica, che ha dimenticato e non ha saputo, o forse non ha voluto, disinnescare le scelte di fondo che hanno condotto al conflitto. Testimoniare, con semplici gesti di pace, che è possibile attestare uno stile diverso, ricco di speranza: credo sia questa la strada con cui dobbiamo continuare a chiedere che le armi tacciano perché gli uomini tornino a dialogare”.
Perché gli appelli alla pace di papa Francesco non sono ancora raccolti?
“Ritengo che al momento non ci sia il sincero desiderio di mettere al centro le sofferenze del popolo piuttosto che gli interessi di parte. Le visioni nazionaliste e gli interessi di diversi potentati economici non facilitano l’accoglienza di parole che prevedono la capacità di fare tutti un passo indietro. La pace che chiede papa Francesco è la pace proposta dal Vangelo, diversa dalla pace che cercano i governi. In questo le voci profetiche restano sempre inascoltate e da cristiani ne siamo coscienti”.
‘Allora io penso che queste forme di utopia, di sogno dobbiamo promuoverle, altrimenti le nostre comunità che cosa sono? sono soltanto le notaie dello status quo e non le sentinelle profetiche che annunciano cieli nuovi, terra nuova, aria nuova, mondi nuovi, tempi nuovi… Gli eserciti di domani saranno questi: uomini disarmati!’ Quale valore hanno oggi queste parole di mons. Tonino Bello?
“Il valore di quanto don Tonino affermava risuona ancora nei cuori di tanti e si moltiplica. I sondaggi ci dicono come, anche in Italia, la nostra gente sia contraria a questa guerra e all’invio indiscriminato di armi. Mi ha sempre colpito quanto affermava un santo a me caro, san Nilo da Rossano: ‘Contro le tenebre non basta gridare, bisogna accendere una luce’. Il popolo della pace, giovani e adulti, che ho visto attraversare l’Europa, ha realizzato proprio questo: coltivare un’utopia, un sogno, ponendo segni di luce e di speranza. C’è una nuova consapevolezza interiore che si fa strada, soprattutto tra le giovani generazioni europee. Credo, come affermava don Tonino facendo eco al profeta Isaia (21,11-12), che ‘resta poco della notte, il sole sta già inondando l’orizzonte’”.
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