domenica, novembre 24, 2024 Donazioni
Un servizio di EWTN News

Diplomazia pontificia, verso l’Urbi et Orbi di Pasqua

Papa Francesco con una bandiera ucraina

Dalla guerra in Ucraina al Libano, “nazione messaggio”, Dagli scenari di guerra meno conosciuti, come lo Yemen, sempre nelle attenzioni del Papa, fino al consueto riferimento alla Terrasanta, dove di nuovo sono scoppiati disordini. L’Urbi et Orbi che Papa Francesco pronuncerà a Pasqua 2022 sarà particolarmente delicato perché è il primo, dopo almeno due decenni, che si celebra mentre una guerra imperversa nel cuore dell’Europa. E per la prima volta, dopo tanto, non guarderà alla Siria all’inizio della sua lista, Papa Francesco, ma all’Ucraina. E non mancherà, sicuramente, un riferimento all’Africa e al Sud Sudan che il Papa visiterà il prossimo luglio.

                                                FOCUS UCRAINA

Una tregua di Pasqua in Ucraina

Papa Francesco aveva chiesto che per Pasqua ci fosse una tregua nella guerra in Ucraina. L’appello del Papa è stato ricordato dal nunzio a Kiev, l’arcivescovo Visvaldas Kulbokas, il quale in una intervista a Vatican News, ha ricordato che la tregua rientrerebbe anche in un particolare incrocio di festività religiose (il Ramadan è iniziato il 2 aprile, il 24 aprile sarà Pasqua ortodossa), e che “colpisce il fatto che la terribile guerra in Ucraina continui. Mentre guardiamo a chi muore, vediamo che ci sono più colpiti tra i civili che tra i militari e questo è totalmente inaccettabile. Tutte le guerre sono inaccettabili – le guerre in Yugoslavia, Siria, Afghanistan, Libia e anche in Ucraina La guerra è sempre inaccettabile”.

Il nunzio è colpito in particolare dal fatto che “l’odio degli uni contro gli altri non sta diminuendo, ma piuttosto crescendo, e questa è una delle conseguenze della guerra”.

L’arcivescovo Kulbokas ha anche sottolineato: “Sappiamo molto bene chi ha iniziato la guerra. Se questa guerra sta avendo luogo in Ucraina, non è l’Ucraina che l’ha cominciata. Dunque, quando applichiamo le parole del Santo Padre, le applichiamo in particolare alla parte russa che ha cominciato questa terribile guerra, e che dovrebbe considerare che tipo di sacrifici ai loro obiettivi dovrebbero accettare, perché la guerra per se stessa non è consentita, e dovremmo considerare i diritti delle vite umane e dei popoli al di sopra di ogni cosa – sopra le nostre visioni politiche, le nostre visioni militari”.

La questione della Via Crucis del Venerdì Santo

Nella XIII stazione della Via Crucis al Colosseo, la croce è stata portata da due donne, ucraina e russa, già amiche, per testimoniare la possibilità di una amicizia tra i popoli, nello spirito della Fratelli Tutti di Papa Francesco.

La decisione del Papa ha visto le critiche sia dell’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede, Andriy Yurash, e sia dell’arcivescovo maggiore della Chiesa Greco Cattolica Ucraina Sviatoslav Shevchuk.

Anche il nunzio Kulbokas, in un’intervista al periodico cattolico “Credo”, ha espresso comprensione per le critiche a una decisione vaticana forse prematura.

“La riconciliazione – ha detto il nunzio - arriva quando l’aggressione è fermata. Quando gli ucraini saranno capaci non solo di salvare le loro vite ma anche la loro libertà. E naturalmente seppiamo che la riconciliazione avviene quando l’aggressore ammette la sua colpa e si scusa”.

L’arcivescovo Kulbokas ha detto di aver informato per tempo il Vaticano delle proteste, concedendo però che le proteste nascono da una considerazione principalmente politica, mentre nei commenti vaticani il punto di vista è quello della preghiera.

Di certo, c’è un problema anche nel mettere sullo stesso piano l’aggressore e l’aggredito, un qualcosa paragonato, da alcuni osservatori, al chiedere a polacchi e tedeschi di portare la croce insieme mentre imperversava l’invasione nazista.

Il possibile incontro tra Papa Francesco e il Patriarca Kirill

L’attivo ambasciatore Yurash ha anche chiesto, in una intervista concessa all’agenzia AGI lo scorso 13 aprile, di non incontrare il Patriarca di Mosca Kirill. Il secondo incontro tra i due è in preparazione da prima della guerra in Ucraina, e oggi sembra possibile che quell’incontro abbia luogo in Medio Oriente, come ha detto il Papa tornando da Malta, con gli occhi puntati in Libano, ma anche su Gerusalemme.

Yurash ha detto di sperare che i fatti sempre più terribili commessi dai russi in Ucraina rendano impossibile un nuovo incontro tra il Papa e il patriarca di Mosca Kirill. Per il Santo Padre sarebbe come incontrare un leader spirituale dell'Isis, perché oggi Kirill è questo: la guida spirituale dello Stato e della società terrorista guidata da Putin".

Secondo l’ambasciatore, “la giustificazione che Kirill sta facendo della guerra non ha alcuna base teologica o cristiana", ma è solo una posizione ideologica e politica e il Patriarca è uno strumento del Cremlino, non ha nulla a che fare con la spiritualità".

Yurash sostiene che il Patriarcato di Mosca è più interessato all’incontro della Santa Sede, cosa che testimonierebbe il bisogno della Russia di usare ogni possibilità per essere considerata un interlocutore adeguato, un partner normale mentre il mondo la sta escludendo, sia come Stato che come società, dopo le atrocità che ha commesso". 

Europa, COMECE e KEK chiedono un cessate il fuoco in Ucraina

Anche la Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea (COMECE) e il Consiglio Ecumenico delle Chiese (KEK) hanno aderito all’appello del Papa per un cessate il fuoco pasquale in Ucraina. I due presidenti degli organismi hanno inviato una lettera congiunta, sottolineando che “di una tregua potrebbero beneficiare tutti i cittadini delle nostre nazioni, dando loro sollievo dalla preoccupante incertezza sulle vite dei loro cari, che o stanno combattendo o sono colpiti dal conflitto.

Il Cardinale Hollerich e il pastore Krieger, presidenti rispettivamente di COMECE e KEK, hanno informato il Patriarca Kirill di Mosca del loro appello, chiedendogli di supportare l’iniziativa, dimostrando così “l’importanza che attribuisce nel dare a cristiani in Russia e in Ucraina, fratelli e sorelle in Cristo, il necessario sollievo per celebrare Pasqua in pace e dignità”.

I leader di KEK e COMECE hanno chiesto ai leader della Chiesa e alle comunità di tutta Europa di unirsi alla loro richiesta.

                                                FOCUS VIAGGI PAPALI

Papa Francesco Kazakhstan a settembre

(La storia continua sotto)

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Non c’è ancora un annuncio ufficiale, ma Papa Francesco dovrebbe andare in Kazakhstan il 14 e 15 settembre prossimi. La visita, prevista già nel 2020 e poi nel 2021, è stata annunciata dal governo del Paese lo scorso 11 aprile, anche se la Sala Stampa della Santa Sede lo ha semplicemente definito un “desiderio” del Papa.

Dal 14 al 15, ci sarà in Kazakhstan il Settimo Incontro dei Leader delle Religioni Tradizionali. Il Kazakhstan ha siglato nel 2019 un protocollo di intesa con il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, e il presidente del Senato è stato recentemente in visita dal Papa.

Si era anche parlato insistentemente di Nur Sultan come di un possibile luogo neutro per l’incontro di Papa Francesco e del Patriarca di Mosca Kirill, ma con il tempo l’ipotesi si è raffreddata, sia per la situazione in Kazakhstan, sia perché sarebbe stato dare troppa enfasi ad una iniziativa di cui la Santa Sede non è l’organizzatrice, nonostante i buoni rapporti.

Il fatto che la Santa Sede abbia raffreddato la possibilità del viaggio è anche un segno, una volontà di abbassare il profilo del viaggio così come annunciato dal presidente kazako Kassym-Jomart Tokayev. Di certo, c’è stata una videoconferenza tra il Papa e il presidente l’11 aprile.

Secondo il sito Il Sismografo, se il viaggio dovesse avere luogo, potrebbe anche creare problemi diplomatici con la Cina, nel momento in cui si dovrà rinegoziare l’eventuale rinnovo dell’accordo tra Cina e Santa Sede per la nomina dei vescovi. Un accordo che la Santa Sede spera di poter modificare, come ha spiegato il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, in una intervista con ACI Stampa.

Secondo Il Sismografo, “le nuove difficoltà nel lento e progressivo avvicinamento tra Vaticano e Pechino che potrebbero sorgere con la Visita di Francesco in Kazakistan riguardano la questione della repressione e persecuzione del popolo dei uiguri nella regione autonoma dello Xinjiang, argomento non solo discusso e divisivo in tutto il mondo, ma che il Papa non ha mai affrontato pubblicamente, attirando su di sé critiche molto dure e perentorie”.

Il Papa ha definito gli uiguri come popolo perseguitato solo nel libro intervista “Ritorniamo a sognare. La strada verso un futuro migliore”.

Gli uiguri vivono proprio al confine con il Kazakhstan, nella provincia autonoma dello Xinjang, e questo potrebbe anche portare il Papa a parlare della situazione degli uiguri, anche se l’ipotesi appare improbabile, in un viaggio che prevede soprattutto un impegno sul dialogo interreligioso. Ma, anche in caso di silenzio, quale può essere l’impatto diplomatico del viaggio?

Papa Francesco a Kiev?

Prosegue la pressione perché il Papa faccia un viaggio a Kiev. Secondo l’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede Yurash “si continua a lavorare per la visita del Papa” a Kiev, sottolineando che in agenda “non ci sono problemi relativi alla sicurezza”.

"Stiamo lavorando alla visita tutti i giorni, anche oggi, con il colloquio tra il ministro degli Esteri, Dmitro Kuleba, e l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati", ha dichiarato all’AGI l’11 aprile.

Già diversi capi di Stato sono stati a Kiev, anche se una visita del Papa non potrebbe essere solo diplomatica, e dovrebbe prevedere almeno una Messa per essere “segno”.

Secondo Yurash, “il santo Padre è davvero una figura molto rispettata in Ucraina, per molti è anche il simbolo della tradizione occidentale della democrazia, di un'alta spiritualità, della libertà di scelta. Per questo, la sua visita sarebbe molto importante come sostegno morale e spirituale per il nostro popolo e abbiamo visto quanto proprio lo spirito degli ucraini abbia permesso di resistere ai russi, che all'inizio della guerra erano superiori militarmente ma ancora non sono riusciti nel loro obiettivo di conquistare tutto il Paese".

Colloquio tra il ministro degli Esteri Ucraino Kuleba e l’arcivescovo Gallagher

Il colloquio cui si riferisce Yurash ha avuto luogo l’11 aprile tra il ministro degli Affari esteri ucraino, Dmytro Kuleba, ha ribadito l'invito a Papa Francesco a visitare l'Ucraina, sottolineando che sarebbe di grande importanza simbolica.
Nel suo account Twitter, Kuleba ha scritto di aver “parlato con il Segretario di Stato per gli Affari Esteri della Santa Sede, l'arcivescovo Paul Richard Gallagher. Sono grato a Papa Francesco per le sue preghiere. Ho ribadito l'invito del Presidente Zelenskyy a Sua Santità a visitare l'Ucraina e portare al popolo ucraino un raggio di luce in questi tempi bui”.

Il Papa aveva detto che una visita a Kiev è “sul tavolo” durante la conferenza stampa in aereo con i giornalisti. Papa Francesco è stato invitato in Ucraina dal Presidente Volodymyr Zelensky, dal sindaco di Kyiv, Vitaliy Klychko, e dall’arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa Greco Cattolico Ucraina.

Conferme sul viaggio di Papa Francesco in Libano

Di fronte all’annuncio della presidenza, la Santa Sede aveva semplicemente replicato che un viaggio del Papa in Libano è “allo studio”. Ora, L’Orient Le Jour ha reso noto che l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, ha confermato la visita di Papa Francesco nel Paese dei Cedri il 12 e 13 giugno in una lettera inviata a Nabih Berry, presidente del Parlamento. La scorsa settimana il capo della Chiesa maronita Bechara Raï aveva confermato la venuta del Santo Padre nel mese di giugno, senza dare una data precisa. 

Se le date del 12 e 13 giugno saranno confermate, il Papa sarà in Libano ad appena un mese delle elezioni legislative del 15 maggio.

Francesco non sarà il primo papa a visitare il Libano dalla fine della guerra civile nel 1990. Nel settembre 2012 Benedetto XVI ha chiamato dal palazzo di Baabda affinché il Libano fosse un esempio di convivenza per tutti i Paesi. Quindici anni prima, nel maggio 1997, era stato Giovanni Paolo II, padre del famoso slogan "Il Libano è più di un Paese, è un messaggio", a compiere una visita memorabile nella terra dei cedri.

                                                FOCUS EUROPA

Il Parlamento UE censura il patriarca Kirill di Mosca e il patriarca Porifirio di Serbia

In un rapporto di 75 pagine dell’8 marzo della Commissione Speciale sull’ingerenza straniera nei processi democratici dell’Unione Europea, compresa la disinformazione, il Parlamento Europeo ha censurato, in maniera del tutto insolita, sia il Patriarca Kirill di Mosca che il Patriarca Porfirije di Serbia.

Il numero 121 del rapporto, infatti, condanna le azioni della Russia volte ad alimentare le tensioni etniche nei Balcani occidentali al fine di attizzare conflitti e divisioni  nelle comunità. Ciò potrebbe condurre a una destabilizzazione dell’insieme della regione”.

Il rapporto aggiunge che la commissione è preoccupata “del fatto che la Chiesa ortodossa, in paesi come la Serbia, il Montenegro e la Bosnia-Erzegovina, e in particolare nella Repubblica serba, tenti di presentare la Russia come protettrice dei valori familiari tradizionali e di rafforzare le relazioni fra lo stato e la Chiesa”. Inoltre, la commissione “giudica allarmante il fatto che l’Ungheria e la Serbia siano a servizio degli obiettivi geopolitici di Cina e Russia; raccomanda di aprire dialoghi con la società civile e i settori privati dei Balcani occidentali per coordinare gli sforzi contro la disinformazione nella regione, mettendo l’accento sulla ricerca e l’analisi e integrando gli esperti della regione”.

Il Patriarcato Serbo ha reagito con un comunicato in cui si stigmatizza “il richiamo totalmente ingiustificato della Chiesa ortodossa serba nella risoluzione del Parlamento Europeo”, definendola come “basata unicamente su radicati pregiudizi storici e stereotipi tendenziosi”.

Secondo il Patriarcato, il modo in cui viene descritto il lavoro della Chiesa ortodossa serba come causa di tensioni etniche è “totalmente contrario all’impegno della Chiesa nella sua vita quotidiana. Rigettiamo con fermezza una simile attitudine”.

La Chiesa ortodossa serba si dice obbligata “a chiarire la sorprendente collocazione in senso negativo della protezione dei valori familiari della tradizione, che la Chiesa serba difende allo stesso titolo della Chiesa ortodossa russa, come tutte le altre Chiese ortodosse locali senza eccezione alcuna, come del resto la Chiesa cattolica e alcune delle Chiese protestanti”.

Aggiunge il comunicato: “La Chiesa nel suo essere e nelle sue attività sociali, non è né conservatrice né liberale. Non custodisce il tradizionale sistema di valori perché essa è antica, e tanto meno si precipita per accettare un nuovo approccio all’uomo e all’ambiente in cui vive, solo per il fatto che è nuovo. Al contrario, con il suo sistema di valori evangelici e cristocentrici, la Chiesa, indipendentemente dal tempo e dallo spazio, è sempre contemporanea”.

Quanto poi all’accenno circa il rapporto con lo stato, “chiunque si interessi alla questione sa che la Chiesa ortodossa serba è inserita, ben regolamentata da leggi specifiche, nel paese ed esercita la sua missione riferendosi al principio della separazione cooperativa fra la Chiesa e lo stato”, e pertanto “non c’è e non può esserci influenza, né dell’Oriente né dell’Occidente, nelle questioni di fondo sulla pace e la coesistenza che sono al centro dell’interesse, del lavoro e dell’impegno della Chiesa ortodossa serba”.

Il Parlamento Europeo, in una risoluzione di 8 pagine dello scorso 7 aprile contro la repressione del governo russo sulla società civile, ha poi attaccato anche il Patriarca di Mosca Kirill. Al numero 6 della risoluzione si legge che il Parlamento “condanna il ruolo del patriarca Kirill di Mosca, capo della Chiesa ortodossa russa, per aver fornito una copertura teologica alla guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina; loda il coraggio dei 300 preti della Chiesa ortodossa russa che hanno firmato una lettera condannando l’aggressione,  denunciando il calvario del popolo ucraino e chiedendo di ‘arrestare la guerra’.”

I vescovi di Francia sul secondo turno delle presidenziali

Il 13 aprile, la Conferenza Episcopale Francese ha pubblicato un appello al voto in vista del secondo turno delle presidenziali francesi, che si terranno il prossimo 24 aprile.

Il Consiglio permanente dei vescovi di Francia ha ribadito la sua dichiarazione “La speranza non delude”, diffusa nel gennaio 2022, rivolgendosi alla “coscienza e alla libertà di ciascuno”.

Al termine dell’assemblea plenaria dell’aprile 2022, l’arcivescovo Eric Moulins de Beaufort, presidente della Conferenza Episcopale Francese, ha dichiarato che “la posta in gioco è alta, l’esito è incerto” E ha aggiunto: “Domenica non eleggeremo un salvatore della Francia, né un Messia. Dovremo scegliere un leader politico, uomo o donna, quello che dovrà guidare il nostro Paese nei tempi ancora incerti in cui l'umanità avanza, in questi tempi particolarmente incerti di fratture sociali, crisi sanitaria, crisi ecologica, guerra sempre possibile”. 

Con pragmatismo, Moulins de Beaufort ha detto che questo leader “non avrà soluzione a tutto” né “potrà cambiare i cuori”, ma “dovrà condurre tutti noi, sulla via meno brutta possibile”.

                                                FOCUS AFRICA

Etiopia, il Cardinale Souraphiel spera che i negoziati portino pace

In una intervista con Vatican News, il Cardinale Berhaneyesus Souraphiel, arcivescovo di Addis Abeba, ha detto di pregare affinché “le negoziazioni attualmente in corso portino pace duratura”.

Il Cardinale Berhaneyesus Demerew Souraphiel, arcivescovo di Addi Abeba, era stato nominato nel 2019 coordinatore della Commissione nazionale per la Riconciliazione e la Pace. Vice della commissione è Yetnebersh Nigussie, avvocato, attivista per i diritti umani.

A scegliere il Cardinale come presidente della Commissione era stato il primo ministro Abiy Ahmed, incontrato da Papa Francesco il 21 gennaio 2019. La visita arrivava dopo lo storico accordo tra Eritrea ed Etiopia, che ha posto fine a un conflitto durato venti anni e segnalato tra le luci dell’anno diplomatico da Papa Francesco nel discorso di inizio anno agli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede in quello stesso anno.

La guerra era comunque ricominciata il 4 novembre 2020 dopo un attacco contro le basi federali militari del Fronte di Liberazione del Popolo del Tigray, un conflitto che si sperava risolto in poche settimane, ma che invece è divampato, includendo milizie etniche e forze armate eritree. Ci sono almeno 2 milioni di persone sfollate, e migliaia di persone sono morte a seguito della guerra civile, nonché una carestia nella regione.

Ci sono state anche violenze etniche negli Stati regionali di Tigray, Amhara e Afar.

Papa Francesco ha fatto diversi appelli per la pace in Etiopia, e in particolare durante l’Urbi et Orbi del Natale 2021, e si pensa che ci sarà una attenzione anche per l’Urbi et Orbi di Pasqua.

Il Cardinale Souraphiel ha detto che “attualmente non c’è guerra o combattimento come era stato alcuni mesi fa”, e ci sono negoziati continui tra il governo federale e il governo regionale o le autorità politiche, dato che “principalmente, il conflitto riguarda questioni politiche ed economiche”.

Il Cardinale ha detto di sperare che le negoziazioni portino ad “una pace duratura”, notando come la sofferenza del popolo sia ancora presente, specialmente nelle aree di “sfollamento, fame e distruzione”.

L’arcivescovo di Addis Abeba ha detto che è necessario anche “ricostruire le infrastrutture distrutte dalla guerra”, in particolare le scuole, e di combattere la fame in alcune aree affinché non diventi carestia.

Il Cardinale ha denunciato anche il blocco dei corridoi umanitari aperti per portare aiuti in Tigray, mentre i vescovi cattolici, attraverso le Caritas, raccolgono fondi per poter continuare ad aiutare le persone più in difficoltà.     

                                                FOCUS AMERICA LATINA

Papa Francesco incontra il politico argentino Wado De Pedro

Papa Francesco ha incontrato lo scorso 7 aprile nella Domus Sanctae Marthae Wado De Pedro, ministro dell’Interno di Argentina. L’incontro è parte di una serie di incontri con politici argentini che il Papa ha accettato di fare nel mezzo della crisi interna con protagonisti il presidente Alberto Fernandez e Cristina Fernandez de Kirchner.

Così, dopo l’incontro a metà marzo con il segretario degli Affari Strategici Gustavo Beliz, amico del Papa, è arrivato anche questo incontro con Eduardo De Pedro, che era in Italia per incontrare la sua omologa italiana Luciana Lamorgese e per una visita alla FAO.

Secondo la stampa argentina, Papa Francesco e De Pedro hanno parlato per circa 90 minuti, anche se poi dettagli dell’incontro non sono stati rivelati nemmeno dai portavoce del ministro. Secondo la stampa, comunque, oltre a parlare della crisi in Argentina, il Papa e il ministro dell’Interno hanno anche scambiato opinioni sulla guerra in Ucraina.

                                                FOCUS MEDIO ORIENTE

La situazione in Israele

Situazione incandescente, in Israele, dove la polizia ha fatto irruzione nella moschea di al-Aqsa, violando quello che è uno spazio sacro per i musulmani, dando il fianco alla possibilità di escalation.

Ma la recrudescenza delle violenze si inserisce in una situazione già critica, dove il Patriarcato Ortodosso di Gerusalemme ha protestato per via delle restrizioni per la Via Crucis, che causavano discussioni tra cristiani locali e musulmani che si sono riversati sul Monte del Tempio per il secondo venerdì di Ramadan.

A causa delle preghiere islamiche di mezzogiorno, la processione della Via Crucis dei Francescani si è svolta prima del solito per ordine della polizia. Per la prima volta dall'inizio della pandemia, anche i pellegrini stranieri hanno aderito alla Via Crucis. La polizia ha eretto barriere in numerosi punti della Città Vecchia per controllare il flusso di pellegrini verso la Chiesa del Santo Sepolcro e il Monte del Tempio.
Venerdì mattina ci sono stati scontri tra palestinesi e agenti di polizia israeliani sul Monte del Tempio, Haram al-Sharif in arabo.

Secondo i media locali, tre agenti e almeno 152 palestinesi sono rimasti feriti, otto dei quali in modo grave. Gli agenti di polizia israeliani sono entrati nella moschea di Al-Aqsa dopo che i lanciatori di pietre palestinesi si sono barricati nel luogo di culto. Secondo la polizia, centinaia di persone sono state arrestate. Per la preghiera di mezzogiorno, il luogo santo dovrebbe essere nuovamente aperto come previsto per decine di migliaia di preghiere.
Le tensioni sul Monte del Tempio si erano intensificate dopo che un gruppo radicale di attivisti del Tempio ebraico ha fatto una campagna per un sacrificio rituale della Pasqua che si sarebbe tenuto sul Monte del Tempio.

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