Città del Vaticano , 09 April, 2022 / 4:00 PM
Potrebbe esserci un collegamento, tra un possibile viaggio di Papa Francesco a Kiev e un possibile viaggio in Libano. Il primo vede il mondo diplomatico vaticano sempre più possibilista, tanto che viene citato anche come eventualità nel comunicato stampa del Primo Ministro sloveno dopo che questi ha avuto una conversazione telefonica con il Cardinale Parolin, ma anche discusso dall'ambasciatore ucraino presso la Santa Sede Andriy Yurash alla presentazione delle sue lettere credenziali il 7 aprile. Il secondo, annunciato dal presidente libanese Aoun ma non dalla Santa Sede, potrebbe preparare in qualche modo all’incontro tra Papa Francesco e il Patriarca di Mosca Kirill. Tornando da Malta, il Papa ha detto che si pensa al Medio Oriente per l’incontro. E, al di là del Libano, l’altra opzione che circola in ambienti diplomatici è quella di Gerusalemme.
Di fatto, il tema della guerra in Ucraina è centrale per la Santa Sede, che potrebbe fare nei prossimi giorni qualche gesto significativo. È una guerra che si combatte anche attraverso l’informazione, tanto che la nunziatura di Kiev, nel suo sito ufficiale, ha pensato di inserire una sezione di fact checking per smentire le notizie palesemente false e fatte circolare.
Intanto, lo spettro della minaccia atomica ha portato la Pontificia Accademia delle Scienze a pubblicare uno studio in nove punti per un mondo privo di armi nucleari.
FOCUS LIBANO
Papa Francesco in Libano a giugno?
In un comunicato stampa del 5 aprile, la presidenza libanese ha annunciato che “il nunzio apostolico, monsignor Joseph Spiteri, ha informato il presidente della Repubblica Michel Aoun che Papa Francesco visiterà il Libano a giugno”. Da parte della Santa Sede, nessuna conferma ufficiale, se non che il viaggio in Libano è “allo studio”, dichiarazione tra l’altro pubblicata anche sui canali ufficiali vaticani.
Che il Papa volesse andare in Libano, è cosa nota, ribadita da tempo. Il Papa aveva inviato anche il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, in occasione della giornata di preghiera per il Libano da lui proclamata a settembre 2020, mentre l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, è stato nel Paese dei Cedri lo scorso febbraio.
Segnali di un viaggio imminente c’erano tutti. Ma questo viaggio potrebbe essere anche particolare. Papa Francesco, durante la conferenza stampa di ritorno da Malta, ha detto che si sta lavorando ad un secondo incontro tra lui e il Patriarca di Mosca in “territorio neutrale, in Medio Oriente”. Il Libano è ovviamente Medio Oriente, e gli occhi di tutti sono andati lì. Ma si parla anche insistentemente di un incontro a Gerusalemme, che potrebbe avvenire in caso il Papa passi dalla Città Santa mentre si trova già nell’area.
Il Libano ha solo sei milioni di abitanti, ma ospita una delle più grandi comunità cristiane del Medio Oriente. Il presidente Aoun ha dichiarato che “i libanesi aspettano da tempo questa visita, e vogliono esprimere la loro gratitudine per le posizioni di Sua Santità nei confronti del Libano e del suo popolo, nonché per le sue iniziative e preghiere a favore del Libano.
Oltre alla preghiera per la pace in Libano proclamata a seguito dell’esplosione nel porto dell’agosto 2020, il Papa è più volte tornato sulla situazione nel Paese dei Cedri. A Cipro, Papa Francesco si era detto “profondamente preoccupato” per la crisi economica nel Paese, mentre nell’agosto 2021 aveva invitato la comunità internazionale a “gesti concreti” un anno dopo l’esplosione del porto di Beirut.
A luglio 2021, Papa Francesco ha ricevuto in Vaticano nove leader religiosi cristiani libanesi, inviando tramite loro un messaggio di speranza alla popolazione.
Sebbene la visita in Libano non sia stata ancora ufficializzata, anche i vescovi maroniti hanno espresso “gioia per la notizia della visita di Papa Francesco in Libano in agenda il prossimo giugno” al termine del loro incontro del 6 luglio nella sede patriarcale di Bkerké, sotto la presidenza del Cardinale Bechara Boutros Rai.
Ambienti vicini alla Presidenza libanese indicano come possibili date della visita papale in Libano quelle di domenica 12 e lunedì 13 giugno.
Nonostante la grave crisi di sistema attraversata dal Paese, la convivenza tra le 18 denominazioni religiose che compongono il mosaico libanese non è stata gravemente contagiata dai conflitti settari che hanno dilaniato nell’ultimo decennio la vicina Siria e altri Paesi mediorientali come l’Iraq.
FOCUS UCRAINA
Nunziatura in Ucraina, il fact checking contro la guerra delle notizie
L’intervista che il Cardinale Pietro Parolin ha concesso ad ACI Stampa ha, come normale, generato discussione. In particolare, le sue parole in risposta ad una domanda sul “dovere di proteggere in Ucraina” sono state travisate, e interpretate come un giudizio negativo della Santa Sede all’invio di armi per aiutare l’Ucraina. È un modo di indebolire la posizione della Santa Sede, o di includerla all’interno di un gioco politico in cui la Santa Sede non ha mai voluto entrare. Così, la nunziatura della Santa Sede a Kiev ha deciso di cominciare a pubblicare dei fact checking, una verifica delle notizie che si incarica di smentire le falsità diffuse dalla propaganda e dai media.
Il primo post è stato pubblicato l’8 aprile e risponde, appunto, alle affermazioni secondo cui la Santa Sede sarebbe “contraria all’invio delle armi in Ucraina”.
Invitando a confrontare il testo dell’intervista ad ACI Stampa, la nunziatura spiega che “nell’intervista in questione si parla di tre cose distinte, separate anche dalla punteggiatura”. La prima è che “secondo quanto ammette la teologia cattolica, ogni Paese, e in questo caso l’Ucraina, ha diritto di difendersi”; la seconda è che “si constata il fatto che la comunità internazionale non vuole essere coinvolta direttamente nella guerra, ma alcuni Paesi inviano le armi”; e infine, si constata “un altro fatto c’è il rischio che l’evolversi della situazione provochi un’escalation ancora più grave, dalle conseguenze inimmaginabili”.
La nunziatura smentisce anche quelle affermazioni pubbliche che arrivano a insinuare che il presidente Putin terrebbe i suoi soldi nella “banca vaticana”. “Falso – scrive la nunziatura - L’Istituto per le Opere di Religione gestisce unicamente i conti intestati alle persone fisiche e giuridiche connesse con la Chiesa cattolica o con la Santa Sede (come, per esempio, le Ambasciate accreditate presso la Santa Sede) e mai quelle di persone o governi estranei”.
Il Cardinale Parolin a colloquio con il primo ministro sloveno
Janez Janša, primo ministro sloveno, ha avuto una conversazione telefonica con il Cardinale Pietro Parolin lo scorso 5 aprile. Lo riferisce la presidenza del Consiglio slovena.
In un comunicato, si legge che i due “hanno discusso degli sforzi diplomatici e umanitari per aiutare l’Ucraina e della possibile visita di Papa Francesco Kiev”. “Una visita di alto livello – prosegue la presidenza – potrebbe portare conforto al popolo ucraino sofferente e rafforzare gli sforzi per terminare il conflitto e aiutare le persone”.
Nel suo viaggio verso Malta, Papa Francesco aveva detto che una possibile visita a Kiev è “sul tavolo”. Parlando a margine di un convegno sull’autismo negli scorsi giorni, il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, ha sottolineato che, se il Papa andasse a Kiev “sarebbe super partes”, cioè non andrebbe a prendere una posizione, e ha fatto notare che si tratta prima di tutto di valutare se una visita simile sarebbe di aiuto. Il problema non sarebbe nemmeno di sicurezza, considerando che Kiev ha garantito che questa ci sarebbe e già altri capi di Stato hanno fatto visita all'Ucraina in guerra.
Di certo, dall’Ucraina sono arrivati diversi inviti, a partire da quello del sindaco di Kiev, mentre l’arcivescovo maggiore della Chiesa Greco Cattolica Ucraina Sviatoslav Shevchuk si è detto convino che una visita del Papa potrebbe portare alla fine delle ostilità.
L’ambasciatore di Ucraina presso la Santa Sede presenta le credenziali
(La storia continua sotto)
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È tra gli ultimi arrivati, ma le eccezionali condizioni internazionali che vedono il suo Paese aggredito e in guerra, hanno portato Andriy Yurash, ambasciatore di Ucraina presso la Santa Sede, in cima alla lista dei nuovi ambasciatori chiamati a presentare le loro credenziali a Papa Francesco.
Yurash ha presentato le credenziali il 7 aprile, ma sin dal suo arrivo è stato attivissimo nella comunità diplomatica presso la Santa Sede, con vari incontri con membri di altre ambasciate, ricevendo la solidarietà di molti.
Yurash, sposato con tre figli, non è un diplomatico di carriera, ma piuttosto uno studioso. Laureato in giornalismo, dottorato in Scienze Politiche nel 2016, ha lavorato come insegnante, e come vicedirettore e direttore del Dipartimento per le Religioni e le Nazionalità del Ministero della Cultura dell’Ucraina dal 2014 al 2020. Dal 2020 al 2022 ha lavorato come Capo della Divisione per le Religioni, garanzia del diritto dei cittadini alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione presso il Segretariato del Gabinetto dei Ministri di Ucraina (2020 – 2022).
Parlando con EWTN News Nightly l'8 aprile, l'ambasciatore Yurash ha detto che, tra i temi di discussione con Papa Francesco, c'è stata anche "la possibilità di una visita del Papa nella mia nazione", che considera "una delle più grandi chance di portare la pace nella mia nazione", e che è "sicuro che il Santo Padre comprende la situazione benissimo".
L’incaricato di affari di Belarus in Italia incontra il nunzio in Italia
Incontro inusuale, quello dello scorso 7 aprile tra l’arcivescovo Emil Paul Tscherrig, nunzio in Ucraina, e l’incaricato di affari di Belarus (Bielorussia) in Italia Vasilkov. Secondo uno scarno comunicato, i due avrebbero discusso la situazione nella regione dell’Europa Orientale, e le prospettive di sviluppo dei contatti bilaterali tra Bielorussia e Santa Sede.
Era un contatto necessario, considerando che dopo la crisi dei rapporti di fine 2020, con l’esilio dell’allora arcivescovo di Minsk Tadeusz Kondrusiewicz, il Belarus ha sempre cercato di trovare nella Santa Sede una sponda particolare. Lo ha fatto durante la crisi interna, e lo fa adesso che i carri armati russi sembrano voler partire e ripiegare dal territorio bielorusso.
Aleksandr Lukashenko, presidente di Bielorussia, ha più volte chiesto un viaggio del Papa nel Paese, viaggio che oggi appare difficile, considerando l’appoggio che la Bielorussia dà alla Russia. Ma un viaggio possibile, allo stesso tempo, perché nessun Papa è mai stato a Minsk.
La Pontificia Accademia delle Scienze chiede di prevenire la guerra nucleare
Dalla Pontificia Accademia delle Scienze – che fu tra le primissime a mettere in luce il rischio delle armi nucleari e che nel 1982 aveva già redatto una Dichiarazione sulla Prevenzione della Guerra Nucleare– arriva una dichiarazione lunga, rivolta a leader nazionali e scienziati, ma anche a uomini e donne di tutto il mondo, per combattere la battaglia “contro la convinzione che le guerre sono inevitabili” e piuttosto si impegnino a prevenire la guerra nucleare.
L’Accademia ammonisce: “Gravi disuguaglianze tra le nazioni e all’interno delle nazioni, miopi ambizioni nazionali o di parte, e brama di potere sono i semi del conflitto che può portare alla guerra generale e nucleare”.
I rischi di una guerra nucleare sono dati da diversi fattori, a partire – scrivono gli accademici - dal “pericolo crescente che molti altri Paesi e gruppi terroristici possano acquisire armi nucleari o sviluppare la capacità di produrle” alle “distruzioni intenzionali o non intenzionali di centrali nucleari con gravi conseguenze per vaste popolazioni, perdite incontrollate di scorie nucleari che possono essere usate per le cosiddette bombe sporche, il potenziale uso delle cosiddette armi nucleari tattiche nei campi di battaglia”.
Ancora, “il mantenimento delle armi nucleari in stato di massima allerta, aumentando potenzialmente la probabilità di un lancio di armi nucleari accidentalmente o come risultato di una manipolazione informatica”. Non ultimo, il pericolo dell’uso di potenti armi nucleari e altre armi a livello internazionale oltre l’Ucraina, quando e se la guerra si intensificherà ulteriormente.
Gli accademici vaticani sottolineano che “la scienza deve essere usata per assistere l’umanità verso una vita di prosperità, realizzazione e pace”, mentre oggi si vede piuttosto “lo sviluppo delle potenzialità di armi nucleari, ma anche di armi chimiche, biologiche o di missili ipersonici avanzati progettati per eludere i sistemi di difesa esistenti”.
È uno “scenario nuovo”, che prova anche nuovi problemi di scienza e coscienza, e quest’ultima “non può giustificare l’uso di “poteri distruttivi che infliggono morte ovunque per ‘civilizzare’ e ‘moralizzare’ o semplicemente occupare”.
Anzi – si legge ancora nella dichiarazione – “la scienza ha il dovere di “aiutare a prevenire la perversione delle sue conquiste”, al punto che “la ricerca e la scienza sul superamento e la prevenzione delle guerre, e la scienza della promozione della pace - non solo l’assenza di guerre - deve essere un obiettivo di tutte le discipline scientifiche”.
A leader e governi – si legge ancora nella dichiarazione - spetta invece la responsabilità di evitare in ogni modo “la catastrofe della guerra nucleare e l’escalation delle guerre convenzionali che non risparmiano nemmeno le popolazioni civili”, afferma l’Accademia vaticana. Che chiama in causa la stessa umanità ad “agire per la sua sopravvivenza”.
La Pontificia Accademia delle Scienze indica anche nove punti da osservare per creare un vero sviluppo e prevenire la guerra nucleare: “Rispettare il principio che la forza o la minaccia della forza non sarà usata contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di un altro Stato”; “impedire l’uso della forza come metodo di risoluzione dei conflitti internazionali, poiché comporta il rischio di un’escalation del confronto militare, incluso l’uso della guerra nucleare, chimica e biologica”; “fornire rifugio e protezione ai milioni di rifugiati di ogni parte del mondo”; “impedire la proliferazione di armi nucleari in altri Paesi”, che potrebbe portare, tra le altre cose, al terrorismo nucleare.
Poi: “Non essere mai i primi a usare armi nucleari, e rinnovare gli sforzi per raggiungere accordi verificabili che frenino la corsa agli armamenti”; “trovare modi e mezzi più efficaci per prevenire l’ulteriore proliferazione delle armi nucleari”; “impedire che gli usi pacifici dell’energia nucleare siano dirottati verso la proliferazione di armi nucleari”; “prendere tutte le misure pratiche che riducano la possibilità di una guerra nucleare per incidente, errore di calcolo o azione irrazionale”. Infine, “continuare ad osservare gli accordi di limitazione delle armi esistenti”, con l'obiettivo di “costruire un sistema di sicurezza collettiva in cui le armi nucleari non abbiano posto”.
FOCUS EUROPA
Il commissario del Consiglio d’Europa per i diritti umani da Papa Francesco
L’8 aprile Dunja Mijatović, commissario per i Diriti Umani del Consiglio d’Europa, ha fatto visita a Papa Francesco. Secondo un comunicato dell’ufficio del commissario, questi ha messo in luce “le principali preoccupazioni relative all’erosione nella protezione dei diritti umani di migranti, richiedenti asilo e rifugiati in Europa e il bisogno di rafforzare la risposta delle conseguenze umanitarie e di diritti umani sulla guerra in Ucraina”.
Mijatović ha dichiarato che “quando i diritti umani dei più vulnerabili, incluse le persone che cercano di fuggire da conflitti e armati e povertà, non sono considerate, allora c’è posto per una immensa ingiustizia e sofferenza”.
Il commissario ha anche aggiunto che “in questi tempi difficili, mentre i diritti umani sono troppo spesso violati impunemente, è cruciale perseverare nel chiedere agli Stati di aderire alle norme per salvaguardare la pace, le libertà e l’eguale dignità di tutti gli esseri umani”.
Secondo Mijatović, il ruolo del Papa è fondamentale per far crescere la protezione dei diritti umani.
Il commissario ha anche incontrato il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, e il Cardinale Michael Czerny, prefetto ad interim del Dicastero per la Promozione dello Sviluppo Umano Integrale.
Secondo l’ufficio stampa del commissario, la discussione con i porporati ha riguardato “il bisogno di migliorare la protezione dei migranti in Europa e l’assistenza umanitaria per gli sfollati interni a causa della guerra in Ucraina, o quanti scappano all’esterno, così come la necessità di rafforzare l’educazione ai diritti umani e il dialogo interculturale per prevenire le tensioni, in particolare nei Balcani”.
Il Cardinale Koch incontra gli ambasciatori dell’UE
Il 5 aprile il Cardinale Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, ha preso parte a un pranzo di lavoro con gli Ambasciatori dell'Unione Europea accreditati presso la Santa Sede.
Il pranzo era stato organizzato da. Alexandra Valkenburg, Ambasciatore e Capo della Delegazione dell'Unione Europea presso la Santa Sede, e ospitato da Adina Lovin, Incaricato d’Affari a.i. dell’Ambasciata di Romania presso la Santa Sede.
Durante l’incontro, si è discussso delle relazioni ecumeniche della Santa Sede nell’attuale contesto europeo.
Secondo alcuni partecipanti, molta discussione ha riguardato un possibile incontro tra Papa Francesco e il Patriarca di Mosca Kirill. Da parte sua, il Cardinale Koch ha sottolineato la necessità di tenere sempre aperta la porta del dialogo, mostrandosi comunque prudente sull’eventualità di un incontro.
Il Cardinale Koch, con il suo dicastero, è quello che coinvolge di più il Patriarcato di Mosca e dunque funge anche in qualche modo da ponte, specialmente oggi che alla guerra si affianca la gestione di un difficile scisma ortodosso.
COMECE e CEC insieme al confine polacco-ucraino
Il Cardinale Jean-Claude Hollerich, presidente della Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea (COMECE) è stato sul confine polacco ucraino con il rev. Christian Krieger, presidente del Consiglio Ecumenico delle Chiese, nell’ennesima iniziativa congiunta tra i due organismi, che tempo fa presentarono al Papa una serie di proposte.
Il cardinale Hollerich e il pastore Krieger sono stati al confine l’8 aprile, e da lì hanno inviato un messaggio di pace e riconciliazione speciale per l’Ucraina e oltre.
Nel loro messaggio speciale per la Pasqua, i due presidenti dicono di essere “toccati dalla tragedia umana che si riflette negli occhi dei rifugiati” che hanno incontrato durante la visita, ed hanno espresso “sincera gratitudine a tutti i professionisti, volontari, autorità nazionali e religiose” per la concreta solidarietà messa in campo per aiutare e supportare persone che hanno perso le loro case.
Il confine polacco ucraino è stato varcato da più di 2 milioni di persone dall’inizio di quella che la Russia ha chiamato “operazione militare speciale” in Ucraina.
Si legge nel messaggio congiunto di Pasqua: “In Cristo, Dio si unisce alla nostra umanità, prendendo su di se i nostri limiti e il nostro odio, trasformando le nostre battute d’arresto, la nostra indignazione, i nostri sentimenti di fatalità e disperazione in speranza che nasce attraverso la fiducia in lui”.
Durante la visita in Polonia, i due presidenti hanno incontrato le chiese di varie confessioni locali, chiedendo dei progetti umanitari. Hollerich e Krieger sono stati ospitati dal Concilio Ecumenico polacco e dal vescovo Grzegorz Ryś di Łódź.
Conferenza Episcopale Spagnola e Chiesa Ortodossa di Spagna e Portogallo insieme per la pace
Il 6 aprile, la Chiesa Ortodossa di Spagna e Portogallo ha pubblicato una dichiarazione per la pace in Ucraina congiuntamente alla Conferenza Episcopale Spagnola.
La dichiarazione fa appello “a tutti quelli che hanno il potere di fermare la violenza e la barbarie affinché ascoltino secondo la loro coscienza la voce di Dio, che rifiuta il male e la guerra e chiama a ricostruire la fraternità universale.”
Nel testo, i leader cattolici e ortodossi dicono anche di “apprezzare i gesti di carità verso le vittime della guerra e l’accoglienza generosa di tutti i rifugiati”, perché la solidarietà per il fratello che soffre è “espressione della consolazione e della misericordia del Padre Celeste verso tutti i suoi figli”.
FOCUS MEDIO ORIENTE
L’arcivescovo Gallagher incontra Imran Riza
Il 29 maggio, Imran Riza, coordinatore residente delle Nazioni Unite in Siria, ha incontrato l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati. Durante l’incontro, ha scritto lo stesso Riza in un tweet, si è discusso di “maggiori collaborazioni, essenziali per affrontare i crescenti bisogni dei siriani vulnerabili e trovare soluzioni”.
Da sempre, la Santa Sede è attiva in Siria, e il nunzio Mario Zenari, creato cardinale da Papa Francesco proprio in segno di vicinanza con la nazione in guerra ormai da 11 anni, ha anche lanciato l’iniziativa “Ospedali Aperti”.
Gerusalemme, la situazione nel quartiere cristiano
A seguito della violenza scatenatasi a Gerusalemme dopo l’acquisizione dell’Hotel Petra da parte di nazionalisti ebraici, i Patriarchi e i capi delle Chiese locali di Gerusalemme hanno rilasciato una dichiarazione congiunta il 2 aprile, che condannano gli atti di violenza.
“Nelle ultime due settimane – denunciano vescovi e patriarchi di Terrasanta – indiscriminati atti di violenza hanno avuto luogo in diverse parti della nostrta Terra Santa. Questi atti a loro volta hanno portato a violente contrapposizione in tuttta la regione”, tanto che più di 12 persone hanno perso le loro vite come risultato degli attacchi”.
Vescovi e pariarchi condannano “tutti gli atti di violenza contro ogni persona umana”, e notache “con questta improvvisa crescita di spargimento di sangue, condividiamo la diffusa preoccupazione che le tensioni continueranno a crescere quando, come succede raramente, le più grandi festività delle grandi religioni abramitiche coincideranno: Ramadan, Pesach e la Settimana Santa”.
Patriarchi e capi delle Chiese cristiane di Terrsanta pregano anche per il recupero di quelli che sono feriti e sono vicini a quanti hanno perso qualcuno, e chiedono “le autorità governative di esercitare politiche di tolleranza religiosa, resrtizione della forza e di de-escalation del conflitto, e li lodiamo per tutto quello che hanno già fatto in questo senso”.
Le dichiarazioni dei capi delle Chiese cristiane in Terrasanta arrivano dopo che il gruppo Ateret Cohanim ha acquistato anche il Little Petra Hotel, in un atto che è considerao come una minaccia all’esistenza del quartiere cristiano a Gerusalemme. La Ateret Cohanim è stata fondata nel 1978, e opera nell’acquisto di proprietà palestinesi da riservare agli israeliani ebrei. Il gruppo è balzato agli onori delle cronache anche per l’acquisto di tre proprietà della Chiesa Greco Ortodossa alla Porta di Giaffa, cosa che avrebbe potuto tagliare l’accesso alla città del quartiere cristiano. La storia è iniziata nel 2004.
Il Little Petra Hotel, in particolare, si trova sul percorso dei pellegrini per i milioni di cristiani che visitano Gerusalemme ogni giorno. I capi delle Chiese cristiane avevano già fatto vari appelli sulla questione.
Ma il 26 marzo, alcuni estremisti sono entrati nell’hotel conteso, nonostante la disputa sulla proprietà non sia terminata, mentre la polizia ha impedito ai proprietari dell’hotel e agli avvocati di entrare.
Il 29 marzo, una grande delegazione di leader cristiani e officiali della Chiesa, accompagnati da diplomatici stranieri e rappresentanti musulmani ha visitato l’edificio per mostrare solidarietà. Tra questi, il Patriarca Greco Ortodosso Theophilos III, il Custode di Terra Santa padre Francesco Patton e l’arcivescovo Giacinto Marcuzzo, precedentemente vicario patriarcale per Gerusalemme e la Palestina.
Come detto, la questione risale al 2004, mentre il 10 giugno 2019 la Corte suprema ha stabilito che Ateret Cohanim ha diritti legali su tre proprietà, e il 24 giugno 2020 la Corte distrettuale ha dato ragione al gruppo ebraico, respingendo il ricorso del Patriarcato. Tuttavia, il piano superiore dell’hotel è ancora posseduto della Chiesa Greco Ortodossa, che lo dà in concessione ad una famiglia palestinese.
FOCUS ASIA
Cina, la commissione del Congresso USA mette in luce violazioni dei diritti umani
La scorsa settimana, la Commissione Esecutiva del Congresso USA ha pubblicato un rapporto sulla Cina, sottolineando che, nonostante la firma dell’accordo tra Santa Sede e Cina, i cristiani vivono un momento duro, dato che “le autorità cinese in alcuni posti mantengono come detenuti i membri del clero” e fanno pressione su di loro perché si uniscano all’Associazione Patriottica, la associazione governativa cui è necessario affiliarsi perché il governo riconosca i vescovi come tali.
Secondo il rapporto, il governo cinese e il Partito Comunista avrebbero perpetrato “orrori” contro i cattolici cinesi, che sarebbero forzati a firmare un impegno che aderisca al concetto di “Chiesa indipendente”, mentre le chiese non registrate sono chiuse e le Messe e altri eventi di Chiesa sono cancellate.
Secondo il rapporto, anche la situazione dei gruppi cattolici autorizzati è peggiorata, e che il governo cinese ha usato il pretesto della pandemia per prendere di mira tutte le forme di dissenso, incluse le religioni cosiddette illegali.
La Santa Sede ha siglato con la Cina un accordo sulla nomina dei vescovi, rimasto confidenziale, a settembre 2018, rinnovato poi per altri due anni nell’ottobre 2020. L’accordo scadrà dunque il prossimo ottobre, e la Santa Sede sarà chiamata a rinegoziarlo, ed eventualmente cambiarne alcuni termini, come è speranza di molti in Vaticano.
Nonostante l’accordo, nel novembre 2020, appena dopo il rinnovo dell’accordo, padre Lu Genjun, precedentemente vicario generale della diocesi di Baoding, è stato preso in custodia da forze governative insieme a dodici tra seminaristi e suore.
Il vescovo titolare di Boading, Giacomo Su Zhimin, è scomparso dal 1997, e un successore non è stato formalmente sostituito.
FOCUS MULTILATERALE
La Santa Sede a Vienna, la cooperazione internazionale contro la violazione delle leggi umanitarie
Il 29 marzo, si è tenuta a Vienna la sessione conclusiva del Primo Incontro Supplementare della Dimensione Umana, sul tema “Cooperazione internazionale per affrontare le violazioni della legge umanitaria internazionale e la legge internazionale dei diritti umani”.
Monsignor Janusz Urbanczyk, rappresentante permanente della Santa Sede presso l’OSCE, ha sottolineato nel suo intervento che la questione chiave è “cosa possiamo fare, come membri della comunità internazionale, per ridurre i rischi delle violazioni dei diritti umani e della legge umanitaria internazionale durante un conflitto armato”, tema che pone il “problema fondamentale” di dover prendere coscienza che “la guerra, per sé stessa, è una rottura dell’ordine legale internazionale” e che “un conflitto armato è un fallimento profondo dello stato di diritto internazionale”.
La Santa Sede nota che “ogni violazione dei diritti umani universali e libertà fondamentali” rappresenta “una minaccia alla pace”, e questo si applica anche alla situazione in Ucraina, per cui Papa Francesco ha più volte fatto appelli.
Monsignor Urbanczyk ricorda che “la Santa Sede è sempre stata convinta che la sicurezza e la pace” sono parte degli sforzi destinati a stabilire quell’universo ordinato desiderato da Dio, un “ordine e giustizia non basati sulla forza del potere militare, ma su un sincero rispetto per la difesa e la promozione dei diritti umani fondamentali e delle libertà fondamentali, le cui violazioni non possono mai cessare di creare problemi alle nostre coscienze”.
Santa Sede a Vienna, contro il traffico di esseri umani
Il 4 aprile, monsignor Urbanczyk ha invece preso la parola alla 22esima conferenza dell’Alleanza Contro il traffico di esseri umani.
Nel suo intervento al panel su “Costruire sistemi di protezione efficace”, monsignor Urbanczyk ha sottolineato che la costruzione di questi sistemi di protezione è “particolarmente rilevante alla luce del continuo impatto della pandemia COVID 19 e alle conseguenze della guerra in Ucraina”, e infatti il Cardinale Michael Czerny, inviato speciale del Papa in Ungheria alla frontiera con l’Ucraina, ha “riconosciuto un rischio che i rifugiati, in particolare donne e bambini, siano “rapiti e soggetti a sfruttamento”.
Monsigno Urbanczyk ha affermato che i governi nazionali sono chiamati “a supportare la protezione delle vittime, sia concretamente che con misure legislative”, ha messo in luce che ci sono diverse ONG o associazioni della società civile che “contribuiscono a fornire servizi per la prevenzione della tratta e la protezione delle vittime”, ha ricordato che la Chiesa cattolica, sia a livello locale che con centinaia di congregazioni religiose o organizzazioni laiche, “contribuisce a questo sforzo offrendo un riparo sicuro per le vittime e le persone in situazioni vulnerabili”.
Monsignor Urbanczyk ricorda anche la Chiesa riconosce anche gli “effetti secondari della tratta”, inclusa “l’estorsione e l’essere scartati dalla società”.
Per la Santa Sede, la priorità è il bisogno di “affrontare la re-vittimizzazione”, e di mettere in atto “meccanismi per proteggere le vittime da regolamenti e procedure che possano portare alla deportazione arbitraria”.
D’altronde, rimarca monsignor Urbanczyk, è spesso “una cultura dell’indifferenza e dell’esclusione” a circondare le vittime di tratta, e l’unico modo di combattere questo è fare in modo che le vittime siano “ricevute, accompagnate e difese con compassione e solidarietà”. In questo modo, “i governi avranno bisogno di migliorare l’accesso ai servizi per quanti sopravvivranno alla tratta e assicurarsi che ricevano cura adeguata, protezione qualificata, aiuto legale e forme appropriate di riparazione”.
La Santa Sede a Vienna, sui diritti delle vittime della tratta
Il secondo panel della conferenza dell’Alleanza contro la Tratta si è tenuto il 5 aprile, ed aveva come tema “assicurare assistenza alle vittime”.
Monsignor Urbanczyk ha ricordato che la Sanat Sede applica le quattro parole “accogliere, proteggere, promuovere e integrare” ai migranti, ma in realtà servono ad enfatizzare “la dignità di ciascuna persona”, e possono essere applicate anche ad altre categorie come la vittima della tratta.
La Santa Sede ha notato che il crimine della tratta ha come vittime principali donne e ragazze. “In tempi di difficoltà economiche e finanziarie – ha detto monsignor Urbanczyk – siamo consapevoli che alcuni governi possono poco probabilmente destinare fondi addizionali alla lotta alla tratta”, ma tuttavia “è imperative riconoscere che ttrovare queste risorse è necessario per supportare progetti pubblici o private che proteggano, assistano e integrino le vittime e assicurino sicurezza nazionale e regionale.
La Santa Sede a Vienna, proteggere i più vulnerabili
Il panel 3 dello stesso evento era dedicato a “Proteggere i più vulnerabili: sviluppare soluzioni durevoli per i bambini vittime di tratta”.
Nel suo intervento, monsignor Urbanczyk ha notato che nonostante conferenze, direttive regionali, leggi nazionali, ancora non si riesce ad evitare che i bambini diventino vittime di tratta, e che anzi, “tragicamente, il traffico dei bambini è in crescita”, tanto che una vittima su tre è un bambino.
Questo stando ai dati globali, perché se invece questi dati riguardano solo le nazioni a basso reddito, allora i bambini sono la metà delle vittime, la maggior parte di loro per lavoro forzato, e per questo “è essenziale aggiornare costantemente i regolamenti nazionali e internazionali in modo che gli sforzi globali per proteggere i bambini non solo prendano in considerazione i dati più rilevanti e aggiornati, ma siano soprattutto efficacy”.
La Santa Sede ha presentato una lista di misure necessarie per combattere il traffico di bambini, dalla verifica delle identità di individui e organizzazioni che offrono trasporto, tetto e altri servizi alle azioni congiunte di Ong e polizia per rafforzare la protezione dei bambini, fino a scambio di informazioni anche sui confine e all’implementazione del tracciamento familiar e delle procedure di riunificazione per i bambini che sono privati della cura dei genitori. Inoltre, si chiede di incoraggiare lo staff delle ONG a denunciare i casi di possibile sfruttamento.
La Santa Sede a Vienna, i diritti delle vittime di tratta
Sempre il 6 aprile, la conferenza dell’Alleanza contro la Tratta ha discusso di “Futuro: verso una protezione inclusive e globale”.
Monsignor Urbanczyk ha ricordato che “la significativa crescita di flussi migratori di persone che cercano pace e un futuro sicuro, inclusi quelli sfollati dalla attuale guerra in Ucraina, indicano il bisogno urgente di “stabilire soluzioni durevoli e meccanismi di sicurezza, specificamente per assistere le vittime, proteggere i migranti vulnerabili e a rischio tratta ed evitare lo sfruttamento”.
La Santa Sede afferma che “la cooperazione tra agenzie di Stato, società civile, settore private e gruppi di sopravvisuti, così come il lavoro dell’OSCE, sono stati fruttuosi nel generare risultati positive e nel restaurare speranza, specialmente per quanti sono in situazioni più difficili”.
Eppure, c’è bisogno di “raddoppiare gli sforzi per identificare e sviluppare nuove forme di protezione, assistenza e partenership”, riconoscendo il lavoro della società civile, che include anche le organizzazioni religiose, e dunque avviando una collaborazione che potrebbe portare a “iniziative innovative e contribuire a buone pratiche”.
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