Bratislava, 24 March, 2022 / 1:00 PM
Il problema è prima di tutto l’approccio. Perché è vero che la Chiesa deve affrontare i problemi del tempo – dalle transizioni ecologica e digitale alla povertà e la guerra -, ma è anche vero che l’atteggiamento non può essere quello di una qualunque organizzazione. La Chiesa non può prendere semplicemente le sfide del mondo. Deve portare al mondo un qualcosa di nuovo. Deve proclamare la fede.
Lo ha sottolineato l’arcivescovo di Vilnius Gintaras Grušas, presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee, nel suo intervento conclusivo delle Giornate Sociali Europee. Tenutesi a Bratislava dal 17 al 20 marzo, le Giornate si tengono ogni cinque anni e sono ormai giunte alla terza edizione.
È un evento organizzato dal Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (CCEE) e dalla Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea (COMECE), e vuole essere una fotografia delle sfide del continente europeo, ma anche un modo per parlarsi, trovare nuovi network e pensare a nuove iniziative.
Queste giornate, in particolare, sono cadute in un momento molto significativo. Si doveva parlare del mondo del dopo pandemia, ma ovviamente la situazione della guerra in Ucraina ha preso il sopravvento. Alla fine delle giornate, una delegazione congiunta di CCEE, COMECE e arcidiocesi di Bratislava è stata nella stazione centrale della capitale slovacca per dare sostegno ai volontari che accolgono i rifugiati arrivati dal confine Est, ed è stata prodotta una dichiarazione congiunta per la pace in Ucraina. Il Cardinale Michael Czerny, prefetto ad interim del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, era già previsto in Slovacchia, e ha semplicemente prolungato il viaggio, entrandovi dall’Ungheria e toccando il suolo ucraino passando da Uzghorod.
Ma è un periodo particolare anche per l’Europa, chiamata a risorgere dalla pandemia, ma anche a guardare alla nuove sfide, e persino a discutere su una grande conferenza sul Futuro dell’Europa che punta a definire l’Europa che verrà. È l’Europa dei nuovi diritti, l’Europa dell’ecologia, l’Europa della denatalità, l’Europa delle migrazioni.
In questa situazione due sono gli approcci, ed è per questo che ci sono due organizzazioni europee. La COMECE ha sede a Bruxelles, monitora le attività dell’Unione Europea, fa proposte di tipo politico in nome dell’articolo 17 sul dialogo delle istituzioni europee con le religioni.
Il CCEE, invece, federa i presidenti delle Conferenze Episcopali di Europa (intesa come continente), e si occupa di tutto il resto, dall’evangelizzazione alla formazione dei laici. Si potrebbe dire, in qualche senso, che il CCEE prepara anche quello che poi viene cucinato a Bruxelles dalla COMECE, in termini di formazione e sguardo sul futuro.
Non sono due visioni contrastanti, ma complementari. Ci vuole, però, equilibrio. Perché, ad esempio, le confessioni protestanti sono molto più favorevoli a lavorare sul lato pratico, lo considerano più di impatto che non un lavoro teologico, e dunque ultimamente sono venute diverse iniziative del Consiglio Ecumenico delle Chiese insieme alla COMECE in tal senso. Ma c’è anche una Assemblea Ecumenica da organizzare, la quarta, che è prevista per il 2026. E sarà da discutere se includere nella bozza della nuova Charta Oecumenica anche i temi sociali, come vorrebbero appunto le confessioni cristiane con approccio più pragmatico.
Si inseriscono in questa cornice le dichiarazioni finali, e in particolare quelle dell’arcivescovo Grušas, che chiudeva il cerchio di tre giorni di dibattito su transizione digitale, ecologica e demografica.
Sono sfide importanti, ha sottolineato il presidente del CCEE, che non possono essere assunte semplicemente “adottando le agende di altri, diventando solo una altra ONG che lavora per la famiglia, l’eguaglianza economica o digitale o un ambiente auto sostenibile”.
Non possiamo, ha aggiunto l’arcivescovo di Vilnius, diventare “meramente uno strumento di programmi governativi in cerca di raggiungere obiettivi per quanto preziosi”, perché “il momento in cui perdiamo la nostra identità come Chiesa, Popolo di Dio nel suo percorso verso il Regno dei Cieli, abbiamo perso tutto, anche se riusciamo a salvare l’umanità e il pianeta che ora chiamiamo nostra casa”.
L’arcivescovo Grušas ha dunque ammonito che “i problemi che affrontiamo a un livello meramente umano possono rischiare di rubare la nostra speranza, che deve essere sempre radicata in Gesù Cristo e non nei nostri successi o fallimenti umani in ogni aree”.
Sono sfide – ha concluso – che “devono essere affrontate insieme, dato che vengono dalla nostra relazione con Dio ed è da questa prospettiva che dobbiamo lavorare per giustizia, pace, solidarietà e fraternità con i nostril fratelli e sorelle nella famiglia dell’umanità”.
Da parte sua, il Cardinale Hollerich, che è anche relatore generale del Sinodo, ha sottolineao che “in questo momento epocale, è cruciale riconnetterci con la profonda identità e storia europea e di riscoprire i sogni che hanno ispirato i padre fondatori europei”, e che “come cristiani dobbiamo pore la persona umana e la sua dignità al cuore della riflessione europea”.
In questo, è cruciale l’ascolto cui ci porta il cammino sinodale verso il sinodo sulla sinodalità, che coinvolge anche le Chiese europee e di cui il Cardinale Hollerich è relatore generale. “Se davvero camminiamo insieme – ha detto il Cardinale – la Chiesa del terzo millennio deve includere tutti i cattolici in questa riflessione in comunione con il Papa e i vescovi”.
L’arcivescovo Stanislav Zvolenský di Bratislava ha invece notato come questi giorni “sono andati oltre le aspettative e ci hanno portato una volta di più oltre il significato dell’incontro internazionale”, permettendo di vedere tutte le sfide discusse in un “contesto più ampio”.
L’arcivescovo di Bratislava ha detto anche che “possiamo vedere con chiarezza come i valori della famiglia possono essere affidabili in questa crisi, e quanto importante siano i loro legami”. Riferendosi alla guerra in Ucraina, tema presente in tutte le rilfessioni, l’arcivescovo Zvolenský ha sottolineato come possiamo vedere che “i frutti della solidarietà cristiana, sussidiarietà e giustizia sociale non hanno meno importanza, ma hanno invece bisogno di essere coltivati“.
Lo sguardo, è adesso, al futuro, alla ricerca di una sintesi degli approcci che porti davvero alla costruzione di una nuova Europa.
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