venerdì, novembre 22, 2024 Donazioni
Un servizio di EWTN News

Pechino intensifica le pressioni su Hong Kong. Le prime parole del vescovo Chow

La cattedrale dell'Immacolata Concezione a Hong Kong

Mentre la Cina continua le pressioni su Taiwan e Hong Kong, restano sguarnite per un periodo la nunziatura di Cina, che ha sede a Taiwan, e la missione di studio sulla Cina dell’ambasciata delle Filippine presso la Santa Sede, che ha sede a Hong Kong. Una mossa che ha fatto pensare ad alcuni attivisti che la Santa Sede vorrebbe fare il passo successivo, e stabilire relazioni diplomatiche con Pechino. In realtà, non è la prima volta che le due missioni restano sguarnite. Ma non ci sono segnali che, al momento, la Santa Sede voglia rompere i rapporti con Taipei per stingerli con Pechino.

Certo, la notizia dei due trasferimenti è arrivata con un tempismo che sembrava sospetto. Il 31 gennaio, monsignor Arnaldo Catalan, chargé d’affaires a Taiwan dal 2019, è stato nominato nunzio in Rwanda. Il 5 febbraio, Papa Francesco ha nominato monsignor Javier Herrera Corona, capo della missione di studio della Santa Sede ad Hong Kong, come nunzio nella Repubblica del Congo e in Gabon.

Entrambi erano da poco nell’incarico in Cina, ma entrambi erano comunque in lista per una promozione, considerando che le due nunziature che andranno a guidare erano parte delle 15 attualmente vacanti, incluse alcune cruciali come quelle di Venezuela, Giordania e Unione Europea. Ma saranno probabilmente sostituiti, in quella che è una normale rotazione, mentre i rapporti della Santa Sede con la Cina continentale dovrebbero rimanere come sono: il rinnovo dell’accordo sui vescovi scade il prossimo ottobre, e dunque sarà quella la priorità, mentre sembra ancora presto per una missione “leggera” a Pechino, e rompere i rapporti con Taiwan potrebbe essere un problema per la stessa Pechino, costretta poi seguire con i fatti e dunque mettendosi in una situazione ancora più complicata.

Sono questo che sottolineano gli analisti vaticani, mentre si guarda con attenzione alla situazione che si è creata in Cina, e in particolare ad Hong Kong. Lo scorso dicembre, un gruppo di vescovi della Chiesa “ufficiale” cinese, cioè quella legata al governo, sono sbarcati ad Hong Kong, per discutere con i sacerdoti locali del processo di “sinizzazione”, ovvero di quel procedimento per cui anche le fedi religiose devono avere carattere cinese, devono essere legate alla madre patria e devono essere locali. La visita è stata l’ultima pressione di Pechino su Hong Kong. L’ex protettorato britannico da tempo protesta contro le pressioni della Cina, e la Chiesa è stata al fianco dei manifestanti. Il nuovo vescovo, Steven Chow Sau-yan, è chiamato, dunque, a trovare un difficile equilibrio.

Equilibrio difficile sia perché due dei suoi tre predecessori sono ancora in vita. È in vita il Cardinale Joseph Zen, che ha appena compiuto 90 anni, un combattivo salesiano che da anni non solo supporta i movimenti popolari (le prime grandi proteste nel 2014, poi nel 2019), ma è anche stato particolarmente critico nei confronti dell’accordo sulla nomina dei vescovi che la Santa Sede ha firmato con la Cina. Il Cardinale John Tong Hon, suo successore, aveva invece aperto alla possibilità di un accordo. Già l’immediato predecessore di Chow, Michael Yeung Ming Cheung, avrebbe dovuto gestire un equilibrio difficile, ma è deceduto nel dicembre 2018.

Quale è dunque l’agenda del nuovo vescovo? La ha spiegata lui stesso in una intervista a Mondo e Missione, la prima concessa ad un media occidentale. In cui ha sottolineato, con parole molto dure, di trovare “inaccettabile che la dignità umana sia ignorata, calpestata o tolta di mezzo. Dio ci ha dato questa dignità quando ci ha creati a sua immagine e somiglianza. E dunque è universale, perché proviene dall’amore di Dio”.

Il nuovo vescovo, consacrato lo scorso 4 dicembre, ha sottolineato di non essere “diplomatico: il vescovo non lo è. Certo, a volte dobbiamo essere diplomatici, ma la mia preoccupazione principale è discernere la volontà di Dio”.

L’eccezione democratica di Hong Kong, sviluppatasi dopo il ritorno della ex colonia britannica alla Cina con la formula “un Paese, due sistemi”, è stata praticamente accantonata con la legge della sicurezza nazionale di Pechino, che punisce i reati di secessione, sovversione, terrorismo e collaborazionismo con le forze straniere che mettono in pericolo la sicurezza.

Diversa, invece, la situazione a Taiwan. La Santa Sede è uno dei pochissimi Stati al mondo che lo riconosce, la nunziatura di Taipei non ha un nunzio solo da quando Taiwan non è stata riconosciuta dalle Nazioni Unite, ma si chiama comunque “Nunziatura di Cina”. Negli ultimi tempi, si è paventata spesso una invasione di Taiwan da parte di Pechino, ma questa sarebbe controproducente, perché Pechino e Taipei hanno vari accordi commerciali, e ci sono un milione di cinesi che vanno a lavorare nella Cina continentale da Taiwan ogni giorno. È un equilibrio precario, e un cambiamento in questo equilibrio potrebbe avere conseguenze difficili da sostenere.

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