venerdì, novembre 22, 2024 Donazioni
Un servizio di EWTN News

Diplomazia pontificia, numeri, personaggi, curiosità

La bandiera della Santa Sede

Forse ci sarà anche un riferimento alla crisi scoppiata in Kazakhstan, nel discorso che Papa Francesco terrà di fronte al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, se non altro perché del Kazakhstan come meta possibile di un viaggio papale si parla da tempo. Ma il discorso sullo “stato del mondo” che il Papa fa ogni inizio anno non è importante solo per mostrare il punto di vista della Santa Sede su tante situazione, ma soprattutto per quello che c’è dietro. Vale a dire, la rete diplomatica più grande del mondo, seconda solo agli Stati Uniti per numero di relazioni.

Intanto, si viene a sapere che presto l’arcivescovo Paul Richard Gallagher sarà in viaggio in Libano, per valutare la situazione nel Paese. I vescovi africani chiedono lo status di osservatore presso un organismo regionale. I vescovi cinesi hanno incontrato i vescovi di Hong Kong.

                                                FOCUS BILATERALE

Quanti sono gli Stati che hanno relazioni diplomattiche con la Santa Sede?

Sono 183 le nazioni con cui la Santa Sede intrattiene relazioni diplomatiche. La lista non si aggiorna dal 2017, quando furono ripristinate le relazioni con il Myanmar, cosa che aprì anche al viaggio di Papa Francesco nella nazione. Sembrava un periodo di possibile rinascita democratica, si è trasformato in un incubo con il recente colpo di Stato. La Santa Sede, sulla situazione in Myanmar, ha finora prudentemente tenuto un basso profilo, lasciando però parlare il Papa con diversi appelli.

Restano così 13 le nazioni con cui la Santa Sede non ha piene relazioni diplomatiche, e in 8 di queste non ha nemmeno un rappresentante. Spicca, nella lista, la presenza dell’Afghanistan, dove dal ritorno dei talebani non c’è nemmeno una chiesa funzionante, considerando che quella che c’è era nell’ambasciata italiana poi evacuata e che anche i padri barnabiti che se ne prendevano cura hanno dovuto lasciare il Paese.

Quindi, l’Arabia Saudita, con cui però la Santa Sede ha stabilito alcuni rapporti informali, prima partecipando come Paese osservatore alla Costituzione del KAICIID (il centro per il dialogo interreligioso sponsorizzato dai sauditi, con sede a Vienna fino a quest’anno e ora a Lisbona) e poi con un viaggio, storico, del Cardinale Jean-Louis Tauran da presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, che riuscì persino a celebrare una Messa in un territorio considerato sacro per l’Islam.

Altra nazione che non ha relazioni diplomatiche con la Santa Sede è la Cina. La nunziatura di Cina è a Taipei, in Taiwan, dove però dal 1979 non risiede più un nunzio, ma un incaricato d’affari da interim. C’è una missione diplomatica vaticana che risiede nella “missione di studio” ad Hong Kong, sebbene collegata formalmente alla missione della Santa Sede nelle Filippine. Nel 2016, l’Annuario pontificio recava per la prima volta, in nota, indirizzo e numero di telefono di questa missione ad Hong Kong.

Non ci sono relazioni diplomatiche nemmeno con la Corea del Nord, dove però il Papa potrebbe fare tappa, magari in un viaggio verso Papua Nuova Guinea: una sosta in aeroporto, come fu quella di Paolo VI a Teheran, secondo una ipotesi che arriva da fonti coreane e che sarebbe corroborata da una serie di colloqui in corso.

Altri Paesi senza relazioni diplomatiche con la Santa Sede sono il Bhutan, le Maldive, Oman e Tuvalu.

La Santa Sede ha invece delegati apostolici nelle Comore e in Somalia in Africa, e in Brunei e Laos in Asia. In queste due ultime nazioni, Papa Francesco aveva anche avviato una particolare “diplomazia della porpora e dei martiri”: ha creato un cardinale in Brunei (deceduto improvvisamente lo scorso anno, senza mai vedersi imposta la porpora per l’impossibilità di viaggiare a causa della pandemia) e uno nel Laos, Paese da cui proviene anche uno dei gruppi di martiri beatificato nel corso del pontificato.

Con il Vietnam sono state iniziate formalmente le trattative per arrivare a pieni rapporti diplomatici, cosa che ha portato – a fine 2011 – a nominare un rappresentante vaticano non residenziale presso il governo di Hanoi. Si attendeva per il 2020 un visita nel Paese del Segretario di Stato vaticano, il Cardinale Pietro Parolin, ma questa non c’è stata a causa del coronavirus. La speranza è che si arrivi preso allo scambio di ambasciatori, facendo così del Vietnam il 184esimo Stato con piene relazioni diplomatiche con la Santa Sede.

La Santa Sede ha attualmente 180 missioni diplomatiche all’estero, e di queste 73 non sono residenti. Ci sono dunque 106 missioni, alcune delle quali non accreditate solamente nella nazione in cui sono situate, ma anche in uno o più altre nazioni o organizzazioni internazionali.

Il numero delle relazioni diplomatiche della Santa Sede è considerevolmente cresciuto negli ultimi anni. All’inizio del Pontificato di Giovanni Paolo II, la Santa Sede intratteneva relazioni diplomatiche con 84 Stati. Nel 2005, all’elezione di Benedetto XVI, erano 174. Con Benedetto XVI si sono aggiunti il Montenegro (2006), gli Emirati Arabi Uniti (2007), il Botswana (2008), la Russia (2009), la Malesia (2011) e il Sud Sudan (2013).

Per tradizione, il nunzio apostolico è decano del corpo degli ambasciatori accreditati presso una nazione, segno del credito dell’importanza che ha la diplomazia pontifica nel mondo. Basti pensare che dal 1871 al 1929, ovvero dall’annessione degli Stati pontifici fino al Trattato lateranense, nonostante il Vaticano non avesse più un vero e proprio territorio, il numero degli Stati con relazioni diplomatiche presso la Santa Sede comunque quasi raddoppiò, passando da 16 a 27, e questo nonostante alcuni Paesi avessero smesso di intrattenere rapporti diplomatici con la Santa Sede.

Per questo motivo, la decisione del Nicaragua di non avere più il nunzio apostolico come decano del Corpo diplomatico è stata considerata un segno di rottura con la Chiesa. Il nunzio non è decano nemmeno in Repubblica Democratica del Congo, con una scelta fatta dal governo Mobutu per segnare una distanza dalla Santa Sede.

Gli ambasciatori presso la Santa Sede residenti a Roma sono 89, inclusi quelli dell’Unione Europea e del Sovrano Ordine Militare di Malta. Le ultime ambasciate stabilite sono l’ambasciata di Palestina, che si è installata in seguito all’entrata in vigore dell’Accordo Globale tra la Santa Sede e dello Stato di Palestina del 26 giugno 2015di Malesia e di Repubblica Democratica del Congo. A queste si aggiungerà presto l’ambasciata svizzera presso la Santa Sede e quella di Azerbaijan presso la Santa Sede.

Tra le relazioni con sede a Roma, anche gli uffici della Lega degli Stati Arabi, dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni – la Santa Sede è stato membro dal 2011 - e dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.

Per quanto riguarda accordi e concordati, si contano 261 accordi bilaterali della Santa Sede. Tra questi, alcuni sono modifiche di accordi, mentre altri sono accordi ancora in vigore.

In tutto, secondo una relazione, ci sono 214 concordati e accordi tra la Santa Sede e 74 nazioni, e di questi 154 accordi sono stipulati con 24 nazioni europee.

Gli ultimi due accordi quadro stilati dalla Santa Sede, entrambi di carattere generale, sono quelli con il Burkina Faso e l’Angola. Il primo è stato firmato il 12 luglio 2019 e ratificato il 7 settembre 2020, il secondo è stato firmato il 13 settembre 2019 e ratificato il 21 novembre dello stesso anno.

Le ultime due modifiche di accordo sono invece con Austria e Lituania. Con l’Austria, si è trattato della settima modifica di accordo per il regolamento dei rapporti patrimoniali, mentre con la Lituania si è trattato di una correzione che ha modificato l’accordo del 2012. L’accordo con l’Austria è stato siglato il 12 ottobre 2020 e ratificato il 10 febbraio 2021, mentre quello con la Lituania è stato siglato il 12 ottobre e l’11 novembre del 2021, e non era necessaria una ratifica.

                                                FOCUS EUROPA

La Russia contro l’Ucraina per impedire la visita del Papa a Kiev?

(La storia continua sotto)

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In una intervista rilasciata al sito glavcom.ua, Andriy Yurash, da poco nominato ambasciatore di Ucraina presso la Santa Sede, ha puntato il dito contro la Russia, che – secondo l’ambasciatore designato – starebbe cercando di impedire la visita del Papa in Ucraina.

Riguardo un eventuale viaggio del Papa, Yurash ha detto che questo è “in fase di discussione”, che si stanno facendo tutti gli sforzi necessari perché avvenga “in un prossimo futuro”, ma che “la diplomazia russa, sia quella che si occupa di affari ecclesiastici, sia quella che segue le questioni laiche, sta facendo di tutto per impedire che il Papa venga in Ucraina”.

L’ambasciatore si è in particolare riferito alle recenti dichiarazioni del metropolita Hilarion, a capo del Dipartimento delle Relazioni Estere del Patriarcato di Mosca, che, dopo aver incontrato il Papa lo scorso 22 dicembre, è arrivato a definire “improbabile” una visita del Papa nel Paese.

Secondo l’ambasciatore, lo scopo principale della eventuale visita sarebbe quello della pace, come il Papa ha ribadito in più parti. Da notare che Papa Francesco ha fatto un appello per la situazione in Ucraina al termine dell’Angelus del 12 dicembre, ed è tornato sulla questione anche durante l’urbi et orbi di Pasqua.

A chi teme che la presenza del Papa possa andare in qualche modo a interferire con la situazione delle Chiese ortodosse in Ucraina, Yurash sostiene che questo non è probabile. L’Ucraina è, in effetti, territorio di tensione ecumenica dopo la decisione del Patriarcato di Costantinopoli di concedere l’autocefalia alla Chiesa Ortodossa Ucraina, nell’Ucraina considerata dal Patriarcato di Mosca come suo territorio ecclesiastico.

Questo ha portato ad uno scisma ortodosso, e a crescenti tensioni ecumeniche, mentre cresceva anche la tensione tra Russia e Ucraina, che non si è disgiunta dalle questioni religiose.

Secondo l’ambasciatore Yurash, Papa Francesco "comprende la complessità delle relazioni all'interno dell'ambiente ortodosso, e non porrà un'enfasi particolare su questo tema. Vuole creare un clima di preghiera che favorisca la pace e il dialogo, la comunicazione fra tutti, comprese  le comunità religiose".

Il presidente del Senato polacco da Papa Francesco

Tomasz Grodzki, presidente del Senato della Polonia e uno dei leader della Polonia, ha incontrato l’8 gennaio Papa Francesco in Vaticano. Oltre all’incontro con il Papa, Grodzki ha deposto fiori sulla tomba di San Giovanni Paolo II, e poi si è recato alla Basilica della Beata Vergine Maria in Trastevere per rendere omaggio al Beato Cardinale Stefan Wyszinski. Il Cardinale era titolare di Santa Maria in Trastevere, dove c’è una targa recentemente restaurata grazie all’impegno dell’Ambasciata di Polonia presso la Santa Sede.

Francia, Macron ha ricevuto i leader delle religioni

Il 5 gennaio il presidente francese Emmanuel Macron ha ricevuto all’Eliseo i rappresentanti delle principali religioni di Francia, con una agenda di dialogo che è spaziata dalla questione delle azioni antireligiose alla situazione sanitaria, dal rapporto di CIASE sugli abusi della Chiesa cattolica alla ristrutturazione dell’Islam in Francia.

All’incontro, erano presenti rappresentanti delle religioni cattolica, protestante, ortodossa, ebraica, musulmana e buddista, mentre da parte del governo c’erano anche il primo ministro Jean Castex e il ministro degli Interni Gerald Darmanin.

Macron ha affrontato il tema dell’odio antireligiosa. Dal gennaio 2021 in Francia si sono registrati quasi 1400 atti anti-religiosi, un dato in calo del 17 per cento dell’anno precedente.

Va ricordato che gli atti anticristiani sono i più rappresentati con 686 registrati nel 2021 contro i 921 del 2019, con un calo del 25%. Poi arrivano gli atti antisemiti con 523 quest'anno contro i 617 del 2019, con un calo del 25%. Infine, se gli atti anti-musulmani sono meno numerosi (171 nel 2021), hanno registrato un aumento significativo del 32% rispetto al 2019.

Macron ha sottolineato che i rappresentanti di ogni religione si incontreranno nelle prossime settimane con i deputati responsabili di una missione sugli atti anti religiosi Ludovic Mendes e Isabelle Florennes”.

Il presidente ha lodato le religioni per il loro lavoro durante la pandemia. In aggiunta, ha ringraziato la Chiesa cattolica per aver commissionato il rapporto CIASE sugli abusi sessuali nella Chiesa. Un rapporto, a dire la verità, basato su stime, e da leggere con le dovute cautele.

Infine, il presidente ha confermato la creazione di un Forum de l'islam de France (Forif), una forma di rappresentanza dell'Islam basata su attori dipartimentali e non più sotto la supervisione di federazioni di moschee affiliate ai paesi (Marocco, Turchia, Algeria).

Secondo i partecipanti, la questione delle elezioni presidenziali non è stata sollevata. Su questo tema, la Conferenza episcopale di Francia pubblicherà il 18 gennaio, un testo in cui richiamerà “i suoi punti di attenzione per le elezioni”. Mentre la Federazione protestante di Francia pubblicherà da parte sua il 1° febbraio un "discorso ai candidati" con dieci importanti interrogativi negli occhi (accoglienza dei profughi, educazione, povertà, razzismo, laicità...).

                                                FOCUS ASIA

Incontro tra i vescovi cinesi con i vescovi di Hong Kong

Lo scorso 30 dicembre, la Reuters ha riportato di un incontro che sarebbe avvenuto tra diversi vescovi ed officiali dell’Associazione Patriottica (l’associazione cui sono obbligati a iscriversi tutti i vescovi cinesi) con quattro sacerdoti della diocesi di Hong Kong per spiegare loro il concetto di sinizzazione, la campagna del governo che punta ad avere tutte le religioni nella sua visione di cultura, società e politica.

Parlando con la Reuters, uno dei sacerdoti di Hong Kong ha detto che tutti sanno che la “sinizzazione porta una agenda politica con sé, e loro non hanno dovuto spiegarlo”.

L’incontro sarebbe avvenuto il 31 ottobre. Secondo l’Hong Kong Liaison Office, che rappresenta il governo cinese nella speciale regione amministrativa, a paretcipare all’incontro erano tre vescovi e circa 15 “personaggi religiosi” dell’Associazione Patriottica, mentre ci sarebbero stati 15 sacerdoti della diocesi di Hong Kong dall’altro lato. Secondo le fonti della Reuters, gli officiali dell’Associazione Patriottica hanno sottolineato che la sinizzazione e l’inculturazione sono compatibili, e che questo è stato presumibilmente il primo passo di una serie di altri incontri.

Secondo le fonti Reuters, il vescovo Stephen Chow Sau-yan, di Hong Kong, ha preso parte all’incontro per poco tempo.

L’incontro testimonia la pressione delle autorità cinesi sui membri della Chiesa che sembrano più resistenti al concetto di sinizzazione. Il tema è stato sollevato anche in occasione dell’accordo tra Cina e Santa Sede sulla nomina dei vescovi, a seguito del quale sono state riportate diverse pressioni delle autorità cinesi ai vescovi cattolici perché si iscrivessero all’Associazione Patriottica, aderendo così ai suoi principi.

La diocesi di Hong Kong, negli scorsi anni, stata divisa sulle reazioni ai movimenti che protestano contro il crescente controllo della Cina sulla regione ad amministrazione speciale.

Per quanto riguarda la Santa Sede, una posizione sulla sinizzazione è stata data da padre Benoit Vermander, un sacerdote gesuita che si trova in Cina, e che nel marzo 2018 ha scritto sulla Civiltà Cattolica (le cui bozze sono riviste in Segreteria di Stato) che ci sono “rischi evidenti” nel seguire una politica dall’alto verso il basso che “può portare una sostanziale perdita di identità”, ma che allo stesso tempo “i cattolici non dovrebbero evitare la sinizzazione solo perché sostenuta dal governo”.

Anzi, aveva affermato padre Vermander, i cristiani dovrebbero ascoltare l’appello del governo, “esaminando quale tipo di cambiamenti la sinicizzazione potrebbe apportare”.

In maggio 2019, il Cardinale Piero Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha detto che inculturazione e sinizzazione possono essere “complementari” e possono aprire “strade di dialogo” in una intervista con il giornale cinese di lingua inglese Global Times.

                                                FOCUS MEDIO ORIENTE

Il “ministro degli Esteri” vaticano Gallagher in Libano

Con l’occasione del convegno “Giovanni Paolo II e il Libano”, che si terrà il 2 e il 3 febbraio presso l’Université du Saint-Esprit dell’Ordine Maronita Libanese a Kaslik (Nord di Beirut), l’arcivescovo Paul Richard Gallagher, ministro vaticano per i Rapporti con gli Stati, sarà in viaggio in Libano all’inizio di febbraio. Sarà anche l’occasione per verificare la situazione del Paese, che Papa Francesco vorrebbe visitare.

L’arcivescovo Gallagher terrà la relazione introduttiva del convegno ed avrà anche una serie di incontri bilaterali.

Fu Giovanni Paolo II a definire il Libano “più di un Paese, un messaggio di pluralismo e tolleranza per l’Oriente e l’Occidente” in un appello rivolto ai vescovi di tutto il mondo il 7 settembre 1989.

Il convegno è stato organizzato da Farid el-Khazen, ambasciatore del Libano presso la Santa Sede, e dall’Universitè Saint Esprit, secondo una idea del 2020. Il convegno inizialmente avrebbe dovuto commemorare il 25esimo anniversario dell’Assemblea Speciale del Sinodo dei vescovi dedicata al Sinodo (1995) e il viaggio che Giovanni Paolo II compì nel maggio 1997, per consegnare alla Chiesa locale l’esortazione apostolica post-sinodale. Il convegno è stato rimandato a causa della pandemia e dovrebbe svolgersi, salvo sorprese, ad inizio di febbraio di quest’anno.

Il viaggio di Papa Francesco potrebbe invece tenersi tra le due elezioni previste quest’anno, quelle legislative di maggio e quelle presidenziali di ottobre, ma niente è certo, anche perché ci vogliono particolari condizioni di stabilità politica e sicurezza.

Il Simposio di Kaslik consisterà in una parte storica e da sezioni dedicate alle relazioni islamo-cristiane, alla convivenza, all’educazione, alla cultura e alla libertà, nonché al Documento sulla Fratellanza Umana di Abu Dhabi e alla vocazione storica del Libano.

Libano, il Cardinale Rai chiede un dialogo gestito dalle Nazioni Unite

Durante l’omelia di inizio anno, il Cardinale Bechara Rai, patriarca dei Maroniti, è tornato a parlare della situazione politica, lodando la proposta di un dialogo nazionale lanciata dal presidente Michel Aoun, e definendo come “promettente” il passo del presidente, del Primo Ministro e del Ministro degli Interni di “fissare la data delle elezioni parlamentari”.

Ma, ha aggiunto, se ci fossero buone intenzioni, “il tempo che resta sarebbe abbastanza per ravvivare il lavoro governativo, terminare i dialoghi con le istituzioni finanziarie internazionali, controllare i confini, riparare i legami con le nazioni del Golfo e rettificare la posizione del Libano”, muovendo da un “allineamento alla neutralità e dalla politica degli assi della politica del bilancio”.

In questo modo, ha aggiunto il Patriarca, il Libano “potrebbe fornire l’atmosfera appropriata per lanciare nel futuro un dialogo nazionale sponsorizzato dalle Nazioni Unite come parte di una conferenza internazionale che darebbe al dialogo un meccanismo di garanzia stabilito dall’ONU”.

Il Cardinale ha lamentato che “i dialoghi domestici sono rimasti senza implementazione, e alcune delle parti li hanno disattesi”. La posizione del Cardinale Rai è quella di portare il Libano ad uno status di cosiddetta “neutralità attiva” per ridefinire anche la posizione del Paese nella regione.

                                                FOCUS AFRICA

Il nuovo ambasciatore di Egitto presso la Santa Sede presenta le credenziali

Mahmoud Talaat, nuovo ambasciatore di Egitto presso la Santa Sede, ha presentato al Papa le sue lettere credenziali l'8 gennaio. Laureato in Economia presso la American University del Cairo, dopo un biennio alla Commercial International Bank ha cominciato il suo lavoro diplomatico, prima nel dipartimento per l'Africa del Ministero degli Affari Esteri, quindi in Tanzania, di nuovo al ministero nel Dipartimento per il Nilo, e poi Polonia, Ucraina, Portogallo, intervallati da ritorni al ministero agli affari economici internazionali e al desk dell'Europa Est e Sud e Balcani. 

Vice ministro per le relazioni economiche e regionali, Talaat è stato Ambasciatore di Egitto in Kenya e rappresentante all'UNEP dal 2014 al 2018 e quindi, fino ad oggi, viceministrto per le Relazioni Culturali e Internazionali.  

I vescovi dell’Africa del Sud chiedono lo status di Osservatore al SADC

Il SADC è la “Comunità di Sviluppo dell’Africa Meridionale”, un organismo intergovernativo nato 30 anni fa (nel 1992) con lo scopo di migliorare la cooperazione regionale e l’integrazione tra i Paesi di quell’area. Ora, i vescovi che sono parte dell’Incontro Interregionale dei vescovi dell’Africa Meridionale (IMBISA) hanno chiesto di essere ammessi nella SADC con lo status di osservatore.

I vescovi rappresentano Angola, Botswana, Eswatini, Lesotho, Mozambico, Namibia, Sao Ttomé e Principe, Sudafrica e Zimbabwe. Nella loro richiesta, hanno sottolineato come la loro partecipazione potrebbe portare a successo molteplici iniziative.

L’arcivescovo Chrisophe Ndlovu di Harare (Zimbabwe) ha sottolineato che questo “permetterà alla Chiesa Cattolica di partecipare alle attività della SADC”, facendo sì che anche la Chiesa “possa contribuire in modo significativo alle politiche e alle attività di interesse comune”.

I vescovi della regione hanno inoltrato la richiesta di ammissione sin dal 2019, mettendo in luce gli interventi fatti nell’Africa Meridionale, il ruolo della Chiesa alle Nazioni Unite e la presenza della Santa Sede all’Unione Africana.

Una delegazione permanente della Chiesa nel SADC, ha detto l’arcivescovo Ndlovu, assicurerà “una liaison ra il SADC e la Chiesa”. La richiesta è stata avanzata considerando la presenza della Chiesa come una eccezione, perché il SADC non ha finora avuto organizzazioni come osservatori.

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