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Papa Francesco al CCEE, “Aiutiamo l’Europa malata di stanchezza a trovare Gesù”

Papa Francesco presiede la Messa di apertura della plenaria del Consiglio delle Conferenze Episcopali di Europa

È una Europa “malata di stanchezza”, dove in tanti pensano che la fede sia una cosa del passato semplicemente perché “non hanno visto Gesù all’opera”, quella delineata da Papa Francesco nella messa di inaugurazione della plenaria del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europe, che cade nelle celebrazioni per i cinquanta anni dell’organismo.

Una Messa che è anche l’occasione per il Papa di ringraziare il lavoro dei vescovi europei in questi anni, e che è per i vescovi l’occasione di andare poi prima a proclamare la fede sulla tomba di Pietro e poi a pregare sulla tomba dei Papi che hanno fondato, sostenuto, supportato il CCEE, da San Paolo VI a San Giovanni Paolo II, per guardare alle loro radici, a cinquanta anni di lavoro svolto incessantemente in una Europa considerata da sempre unita dall’Atlantico agli Urali in cinquanta anni di storia.

Quella di oggi è una Messa giubilare, dunque, e Papa Francesco sottolinea due verbi secondo lui necessari. Il primo è riflettere, perché “anche oggi in Europa, noi cristiani abbiamo la tentazione di starcene comodi nelle nostre strutture, nelle nostre case e nelle nostre chiese, nelle sicurezze date dalle tradizioni, nell’appagamento di un certo consenso, mentre tutt’intorno i templi si svuotano e Gesù viene sempre più dimenticato”.

Il Papa invita a guardare “quante persone non hanno più fame e sete di Dio”, e questo perché “manca chi faccia loro venire l’appetito della fede e riaccenda quella sete che c’è nel cuore dell’uomo”.

È una sete che “la dittatura del consumismo, leggera, ma soffocante, prova ad estinguere”. Sottolinea Papa Francesco: “È facile giudicare chi non crede, è comodo elencare i motivi della secolarizzazione, del relativismo e di tanti altri ismi, ma in fondo è sterile”. Si deve piuttosto “riflettere su di noi”, perché si può avere quanto si vuole, ma non essere felici a causa “della mancanza di carità, perché solo l’amore sazia il cuore”.

Denuncia Papa Francesco: “Chiusi nell’interesse per le proprie cose, gli abitanti di Gerusalemme avevano perso il sapore della gratuità. Può essere anche il nostro problema: concentrarsi sulle varie posizioni nella Chiesa, su dibattiti, agende e strategie, e perdere di vista il vero programma, quello del Vangelo: lo slancio della carità, l’ardore della gratuità”.

Unica via di uscita, per Papa Francesco, è quella “del dono gratuito”. Quando Israele se ne rende conto “ricostruisce il tempio”, e “smette di accontentarsi di un presente tranquillo e lavora per l’avvenire”.

“Di ciò – afferma Papa Francesco - ha bisogno la costruzione della casa comune europea: di lasciare le convenienze dell’immediato per tornare alla visione lungimirante dei padri fondatori, visione profetica e d’insieme, perché essi non cercavano i consensi del momento, ma sognavano il futuro di tutti”.

Se questo vale per la casa Europea, vale anche per “la Chiesa, Casa di di Dio”, ripartendo dalle fondamenta perché “da lì si ricostruisce”, dalla “tradizione vivente della Chiesa, che ci fonda sull’essenziale, sul buon annuncio, sulla vicinanza e sulla testimonianza”. 

Papa Francesco ringrazia il CCEE per “questo non facile lavoro di ricostruzione”, e chiede ai suoi membri di “non cedere mai allo scoraggiamento e alla rassegnazione”, perché “siamo chiamati dal Signore a un’opera splendida, a lavorare perché la sua casa sia sempre più accogliente, perché ognuno possa entrarvi e abitarvi, perché la Chiesa abbia le porte aperte a tutti e nessuno abbia la tentazione di concentrarsi solo a guardare e cambiare le serrature”.

Così come il popolo di Israele ricostruì il tempio delle sue mani, così i santi patroni europei “hanno cominciato da loro stessi, dal cambiare la propria vita accogliendo la grazia di Dio”. Loro – dice Papa Francesco – “Non si sono preoccupati dei tempi bui, delle avversità e di qualche divisione, che c’è sempre stata. Non hanno perso tempo a criticare e colpevolizzare. Hanno vissuto il Vangelo, senza badare alla rilevanza e alla politica”.

Questi santi hanno incarnato lo stile “di vicinanza, compassione e tenerezza di Dio”, ricostruendo monasteri, bonificando terre, senza nessun programma sociale, “solo il Vangelo”. Dio chiede di ricostruire la sua casa, ma – nota Papa Francesco – il verbo è “coniugato al plurale”, perché “ogni ricostruzione avviene insieme, nel segno dell’unità”, con gli altri, nonostante “visioni diverse”, perché va sempre “custodita l’unità”.

Per Papa Francesco “ricostruire significa farsi artigiani di comunione, tessitori di unità a ogni livello: non per strategia, ma per Vangelo”. E questo perché Gesù “non si può incasellare negli schemi del ‘sentito dire’ o del ‘ già visto”. Eppure, “tanti in Europa pensano che la fede sia qualcosa di già visto, che appartiene al passato”, e questo “perché non hanno visto Gesù all’opera nelle loro vite. E spesso non lo hanno visto perché noi con le nostre vite non lo abbiamo mostrato abbastanza”.

Papa Francesco denuncia che “se i cristiani, anziché irradiare la gioia contagiosa del Vangelo, ripropongono schemi religiosi logori, intellettualistici e moralistici, la gente non vede il Buon Pastore”.

È un “amore divino, misericordioso e sconvolgente”, che costituisce “la novità perenne del Vangelo”, e chiede “scelte sagge e audaci, fatte in nome della tenerezza folle con cui Cristo ci ha salvati”, senza “dimostrare”, ma piuttosto “mostrando Dio”. Esorta Papa Francesco: “Aiutiamo l’Europa di oggi, malata di stanchezza, a ritrovare il volto sempre giovane di Gesù e della sua sposa”.

 

Nel saluto finale, il Cardinale Angelo Bagnasco, presidente del CCEE, in un messaggio letto dal Cardinale Vincent Nichols, vicepresidente, aveva già notato che la Chiesa “non è un programma umano, ma la comunità dei credenti attorno al risorto che ci ripete: ‘Non temere, io sono con voi’.”

L’obiettivo del CCEE – nota il Cardinale Bagnasco – è quello di “far risuonare il nome di Gesù nel cuore dell’Europa, un nome che non si impone ma che libera e salva, che ispira duemila anni di civiltà e bellezza; vogliamo usare le sue parole ‘sine glossa’ e, anche se a volte dobbiamo usare parole umane, vogliamo che mai perdano il buon odore di Cristo”.

Il cardinale ha ringraziato il Papa per l’attenzione data al lavoro del CCEE e ricordato le parole del Pontefice all’omelia conclusiva del Congresso Eucaristico di Budapest, quando era stato sottolineato che “ogni servizio “deve avere il sigillo eucaristico: da lì deve nascere come effusione dell’amore di Dio per il mondo, lì deve ispirarsi come dono di sé alle molte povertà materiali e spirituali del nostro tempo, lì si deve confrontare come criterio di verità per costruire vie di fraternità solidale, lì tutto ritorna e viene raccolto affinché nessun frammento di bene vada disperso”.

È dall’Eucarestia che si deve partire – dice il presidente del CCEE – per il dialogo “con le altre Confessioni cristiane, con le altre Religioni, con ogni persona di buona volontà, cercando di ascoltarci e di parlarci gli uni gli altri con intelligenza d’amore e di fede, consapevoli del bisogno di riconciliare, nella verità di Cristo, la memoria e i cuori, affinché la pace interiore generi la pace dei popoli e delle Nazioni”.

(articolo aggiornato alle 17.58 del 23 settembre 2021 con il saluto del Cardinale Angelo Bagnasco)

 

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