Rimini, 25 August, 2021 / 12:30 AM
Due giovani e coraggiosi protagonisti della vita della Chiesa nel mondo, p. Adrien Candiard, membro dell’Institut dominicain d’études orientales (IDEO) e p. Agbonkhianmeghe E. Orobator, presidente della Conferenza dei gesuiti dell'Africa e del Madagascar (JCAM), hanno riflettuto, nella giornata di apertura del Meeting dell’amicizia fra i popoli, sulla sfida della fede nella cultura, declinandola in prima persona, in quanto l’io cristiano è alternativo all’individualismo.
I due religiosi hanno inquadrato la riflessione in un dialogo tra Dio e l’uomo che è più antico della stessa Rivelazione, come ha detto il gesuita Orobator: “Un proverbio africano dice che un leopardo non perderà mai le sue macchie, a prescindere dalle volte in cui attraverserà il fiume. Così io non ho abbandonato le mie origini spirituali animiste quando mi sono convertito al cristianesimo, anzi l’ho approfondita. Solidarietà, fraternità e ospitalità sono i tre principali valori che in me derivano dall’animismo. Il coraggio di dire io significa che sono legato agli altri e alla natura: io sono perché noi siamo”.
Il gesuita ha raccontato la sua vita, che ad un certo punto si è intrecciata con quella di Cristo, quando da animista si è convertito in età adulta al cristianesimo: “Quando mi convertii i cristiani che prima mi trattavano con disprezzo si aspettavano che ripudiassi le mie radici, ma un leopardo non perde le sue macchie anche se attraversa il fiume… Invece la religione africana ha risvegliato la mia coscienza della realtà e il cristianesimo l’ha ampliata. Come diceva Paolo VI l’africano che diventa cristiano non disconosce se stesso ma affronta gli antichi valori della tradizione in spirito e verità”.
Prendendo spunto dalle esortazioni di papa Francesco ‘Laudato sì’ e ‘Fratelli tutti’ il presidente della JCAM ha sottolineato le tre priorità odierne: “Io credo nella vitalità del Creato: esiste un potere invisibile in qualsiasi cosa, che gli da vita; papa Francesco condivide quest’idea come si legge nell’enciclica ‘Laudato sì’. Tutto è carezza di Dio”.
Anche p. Candiard ha fatto la sua confessione: “Anch’io non sono abituato a dire io: nell’annuncio della Parola può esserci la difficoltà di dire io e soltanto io perché spesso vorremmo rappresentare tutta la Chiesa e fare addirittura il lavoro di Dio, perché non abbiamo fiducia che Lui intervenga nel dialogo con l’uomo. Ma è così che ci troviamo a sostenere una responsabilità impossibile e siamo presi dalla paura di non farcela: e non ce la si fa perché è impossibile portare le persone a credere, ma cercando di farlo non facciamo ciò che possiamo fare, la nostra parte”.
Partendo dalla sua esperienza di vita in Egitto il religioso ha detto: “Quando i miei superiori mi hanno mandato al Cairo, ho pensato di essere in esilio, ho scoperto invece di essere stato mandato al centro della missione della Chiesa. Perché il dialogo più interessante è quello che Dio ha col mondo. La nostra missione non è tanto affermare le posizioni della Chiesa, ma è servire Cristo, che ci precede sempre e parla al cuore di ogni uomo, attraverso l’esperienza di ognuno”.
Al termine dell’incontro ci siamo fatti spiegare dal domenicano quale è la sua missione in terra egiziana: “La mia missione è aiutare i musulmani a sentire la voce di Dio nella loro religione. La difficoltà più grande che incontro in questo è che si tratta di una cultura che si è costruita in opposizione con l’occidente cristiano e viceversa. La diffidenza con cui ci si guarda impedisce di far incontrare Cristo”.
Cosa significa essere al servizio dello Spirito Santo?
“Essere al servizio dello Spirito Santo non vuol dire cercare di capire cosa dobbiamo dire al mondo ma sentirci al servizio di una conversazione antica, un dialogo che Dio ha cominciato col primo uomo e che continua. Purtroppo, ci troviamo spesso a pensare diversamente e percorriamo in vie senza uscita. Quando pensiamo che dobbiamo affermare posizioni della Chiesa che non interessano a nessuno, perchè tutti credono di conoscerle già, e non ci decentriamo dalle nostre storielle… Esse sono distrazioni, come ci ammonisce il papa, quando parla di autoreferenzialità”.
Il suo libro si intitola ‘La speranza non è ottimismo’: cosa è?
“Non sono molto convinto di quello che dice Peguy sulla speranza. Non penso che sia una bambina, cosa che lascia credere che si tratti di un problema di ottimismo. E’ forse proprio per questo che diffidiamo di lei. La speranza cristiana è, al contrario, una donna anziana che non può più contare sulla sua giovinezza e sulla sua bellezza, perché non ha più illusioni sul mondo, ma ha imparato a fidarsi di Dio solo”.
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