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Il mese del Rosario, San Paolo VI e la pietà popolare mariana dopo il Concilio

Quando Papa Paolo Vi decide di pubblicare la Marialis cultus, una esortazione apostolica, indirizzata “a tutti i vescovi aventi pace e comunione con la Sede Apostolica” non sono passati neanche dieci anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II. 

E’ il 2 febbraio del 1974. Non ci fu un particolare dibattito sul testo e anche in ambito protestante fu accolta con favore. Il merito è certo del tono pacato, del linguaggio della organicità e quindi della apertura al dialogo che San Paolo VI usò per unire la tradizione alle necessità del mondo contemporaneo. 

Lo scopo era in primo luogo quello di rivalutare la pietà mariana che in periodo post conciliare sembrava dover andare in disuso. Il Papa ne mostrava i fondamenti biblici e teologici el’efficacia pastorale. Così diede nuova dignità alla pietà mariana,  e indicò il corretto ordinamento e sviluppo del culto verso Maria. 

Come spiega Corrado Maggioni sottosegretario della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei sacramenti, “in un momento storico difficile, tra opposte tendenze, la Marialis cultus fu come l'accensione di una lampada che aiutò tutti a vedere meglio il posto di Maria nella pietà liturgica e non: gli scettici trovarono convincenti indicazioni per una fondata pietà mariana; i sostenitori vi trovarono la sintesi di quanto avrebbero voluto dire sulla comunione orante con la Madre di Cristo e della Chiesa; i timidi vi trovarono validi motivi per una riscoperta della presenza viva di Maria nel mistero del culto cristiano; i nostalgici vi trovarono la spiegazione che col rinnovamento liturgico nulla si era inteso togliere all'alma Madre di Dio, ma solo purificare affinché risplendesse meglio ciò che doveva brillare; i fanatici vi trovarono indicati i limiti di una corretta e fruttuosa devozione alla Vergine Santissima; gli ostili, infine, vi trovarono il necessario richiamo a stimare, nella preghiera comune e personale, la compagnia e l'esempio di Maria”.

 

Il testo parte dalla liturgia, così come era successo per il Concilio, che proprio dalla liturgia aveva iniziato i lavori. Dalla revisione del calendario liturgico romano il Papa percorre tutte le preghiere e ricorrenze mariane nella liturgia anche in rapporto con le Chiese orientali. E aggiunge: “la riforma postconciliare, come già era nei voti del Movimento Liturgico, ha considerato con adeguata prospettiva la Vergine nel mistero di Cristo e, in armonia con la tradizione, le ha riconosciuto il posto singolare che le compete nel culto cristiano, quale santa Madre di Dio e alma cooperatrice del Redentore”. E sottolinea che “il culto che oggi la Chiesa universale rende alla santa Madre di Dio è derivazione, prolungamento e accrescimento incessante del culto che la Chiesa di ogni tempo le ha tributato con scrupoloso studio della verità e con sempre vigile nobiltà di forme”.

La seconda parte è dedicata al rinnovamento della Pietà Mariana. E parte dalla necessaria espressione trinitaria e cristologica. Poi aggiunge quattro orientamenti per il culto della Vergine: biblico, liturgico, ecumenico, antropologico.

Infine il Papa da delle indicazioni pratiche per la recita dell’ Angelus Domini che secondo il Papa è una preghiera che “non ha bisogno di restauro”, quel restauro che aveva avuto la liturgia dal Concilio. E poi il Rosario che Paolo VI definisce come  “preghiera evangelica, incentrata nel mistero dell'Incarnazione redentrice, il Rosario è, dunque, preghiera di orientamento nettamente cristologico”. Un vero “Salterio della Vergine” e aggiunge che “dopo la celebrazione della Liturgia delle Ore – culmine a cui può giungere la preghiera domestica –, non v'è dubbio che la Corona della Beata Vergine Maria sia da ritenere come una delle più eccellenti ed efficaci «preghiere in comune», che la famiglia cristiana è invitata a recitare”.

Nella conclusione della lettera il Papa scrive: “ La pietà verso la Madre del Signore diviene per il fedele occasione di crescita nella grazia divina: scopo ultimo, questo, di ogni azione pastorale. Perché è impossibile onorare la Piena di grazia senza onorare in se stessi lo stato di grazia, cioè l'amicizia con Dio, la comunione con lui, l'inabitazione dello Spirito”.

 

 

 

 

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