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Un servizio di EWTN News

Diplomazia pontificia, il ruolo della Santa Sede in Africa

Il Cardinale Parolin con l'arcivescovo Fuanya, cui ha imposto il pallio, Bamenda, Camerun, 31 gennaio 2021

È terminato il viaggio in Camerun del Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano. In una lectio magistralis all’Università Cattolica a Yaoundé, il cardinale ha delineato gli obiettivi e le modalità della diplomazia pontificia nel continente africano. Nel corso della settimana, il Papa ha nominato un nunzio in Benin, mentre la Santa Sede è intervenuta alle sessioni dell’UNCTAD e alle Nazioni Unite a New York per la prima giornata della Fraternità Universale.

                                    FOCUS SEGRETERIA DI STATO

Il Cardinale Parolin in Camerun: Bamenda

Sono stati diversi e importanti gli appuntamenti del Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, durante i suoi sei giorni in Camerun.

Il Cardinale era nella nazione africana per imporre il pallio all’arcivescovo Andrew Nkea Fuanya di Bamenda, celebrazione che ha avuto luogo il 30 gennaio. Il Camerun è scosso dal 2016 da una crisi che ha visto gli anglofoni contestare le discriminazioni, con a volte strascichi separatisti, e il cardinale – ha detto l’arcivescovo – è “la prima autorità straniera ad incontrare le popolazioni delle regioni nord-ovest e sud ovest del Camerun dall’inizio della crisi nel 2016”.

In una città colpita dal blocco dei separatisti, mentre la popolazione andava a saluatre il Segretario di Stato, l’arcivescovo Fuanya ha detto di vedere il segretario di Stato vaticano come “un ambasciatore della riconciliazione. Ti vediamo come un promotore di giustizia. Vediamo in te la presenza dello stesso Santo Padre Papa Francesco in mezzo a noi. Anche quando il Santo Padre non dice nulla, la sua presenza è una presenza consolante. Le sue benedizioni portano pace e le sue parole vengono come unzione sulle ferite di coloro che sanguinano. Con la tua presenza qui, posso ripetere con forza: Adesso è tempo di pace”.

Il Cardinale Parolin in Camerun: la diplomazia della Santa Sede in Africa

L’1 febbraio, il Cardinale Parolin ha invece tenuto una lectio magistralis all’Université Catholique d’Afrique Centrale a Yaoundé, in Camerun. Tema della lectio era “La presenza della Santa Sede in Africa: ponte tra l’idea di pace e la realizzazione della giustizia”.

Il Cardinale Parolin ha spiegato che “la concordia tra i popoli e le nazioni, che la Santa Sede promuove in ogni occasione, ha lo scopo di costruire una vita concreta il più possibile attenta al rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo”, con una azione che ha come punto centrale “lo stretto nesso tra realismo e giustizia, intesa come coscienza del dovere e della responsabilità di operare per il bene dell’uomo”.

Il segretario di Stato vaticano ha sottolineato che “non si tratta solo di urlare la pace”, ma piuttosto di costruire in maniera “solida e seria”, e sostenuti dalla “scelta incondizionata della giustizia”.

Prima di tutto, il Cardinale Parolin delinea l’azione “interessata” della Santa Sede per promuovere la dignità umana, concretizzatasi nel Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace stabilito da Paolo VI subito dopo il Concilio Vaticano II – oggi Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale.

La missione della Santa Sede per la giustizia e la pace – ha detto il Cardinale Parolin – si sostanzia nella partecipazione agli organismi multilaterali, cui la Santa Sede partecipa dall’inizio, coinvolta dalle Nazioni anche per via dell’ampio spettro di azioni caritative svolte, ma soprattutto perché l’organizzazione delle Nazioni Unite “necessitava di una realtà con un bagaglio di esperienza e di conoscenza delle diverse realtà e dinamiche nei differenti luoghi del mondo”.

È così che la Santa Sede si è trovata coinvolta nei colloqui sul nucleare, sul commercio, e poi è diventata addirittura membro fondatore dell’Agenzia Nazionale per l’Energia Atomica, osservatore in diverse altre organizzazioni legate alle Nazioni Unite – una partecipazione che mette in risalto “l’importanza di una responsabilità condivisa dei diversi Stati verso le nazioni più bisognose, chiedendo loro di attivare opere capaci di incrementare lo sviluppo e le condizioni per una vita umana dignitosa attraverso: assistenza tecnica, solidarietà amichevole, apertura a nuovi mercati”.

Il Cardinale Parolin ha affermato che “non può esserci vero sviluppo senza considerare un miglioramento della vita di ogni essere umano”., e ha poi spiegato in che modo la Santa Sede partecipa alle concrete preoccupazioni e speranze del popolo africano.

L’azione diplomatica della Santa Sede in Africa – ha detto il Cardinale – ha mostrato di essere il ponte “che collega l’idea di pace e solidarietà con la concreta attenzione verso i bisogni di ogni persona. Sono tre le linee guida delineate dal Cardinale Parolin per descrivere l’attività diplomatica della Santa Sede in Africa: maggiore giustizia, stabile pace e sincera cooperazione.

Per maggiore giustizia, il cardinale si riferiva “piuttosto alla realizzazione della pace e all’ordine stesso della società che trova nell’uomo la misura e l’equilibrio”. La pace vera è “possibilità affinché l’uomo possa realizzare se stesso, di conseguenza è ancorata alle esigenze concrete dell’uomo e alle sue aspirazioni, proprio per questo”.

E la sincera cooperazione è alla base della vita di ogni comunità, in quanto “la sincerità richiama la necessità di porre sul tavolo delle trattative e delle diverse discussioni la realtà dei problemi”, mentre “la cooperazione risulta un fattore inevitabile se si vuole raggiungere un effettivo rispetto dei diritti fondamentali, della pace e, quindi, della sicurezza”.

Il Cardinale Parolin ha sottolineato che c’è bisogno di risposte concrete, che “comprendere i meccanismi sociali ed economici significa prevenire le violazioni della dignità dell’uomo, in quanto in base alle scelte economiche che un Paese compie emerge su quale scala di valori si fonda”, e che lo sviluppo va inteso come “una programmazione capace di ridurre gli squilibri tra ricchi e poveri”.

Per questo “affrontare il tema della sincera cooperazione significa considerare la povertà estrema, i crimini contro l’umanità, i conflitti che, non conoscendo frontiere fisiche, richiedono una concertazione tra diversi attori in quanto non possono essere risolti con un’azione isolata”.

Allargando lo sguardo, il Cardinale Parolin ha messo in luce come la Santa Sede proponga “una svolta culturale e un cambio di pensiero che sappiano creare un’autentica società dell’amore fondata in Dio”, e come operi infatti “per diffondere un umanesimo che sappia guardare alla vita come al dono più alto che Dio ha fatto all’uomo”.

Ha concluso il Cardinale Parolin: “Operando nell’ottica del ‘costruire ponti’, la diplomazia pontificia persegue gli obiettivi di: promuovere il dialogo ed il negoziato come mezzo di soluzione dei confini; diffondere la fraternità; promuovere la lotta alla povertà; edificare la pace e valorizzare la responsabilità di proteggere la dignità umana”.

Insomma, “nell’attuale panorama mondiale, segnato dalla complessità e dalla diversità spesso innalzata come segno di orgoglio e di identità per distinguersi dal resto del mondo, la Santa Sede, tanto nella Comunità internazionale quanto nello specifico di ogni Nazione, collabora a costruire un mondo che sappia assumersi la responsabilità concreta di proteggere la dignità di ogni persona”.

FOCUS SANTA SEDE

Un nuovo nunzio in Benin, un nuovo osservatore presso l’OSA

(La storia continua sotto)

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Monsignor Mark Gerard Miles lascia il suo incarico di Osservatore presso l’Organizzazione degli Stati Americani e si trasferisce in Africa, dove sarà nunzio in Benin, venendo anche elevato al titolo di arcivescovo.
Monsignor Miles, che era conosciuto come traduttore del Papa quando era in Segreteria di Stato, era stato destinato come Osservatore nel nuovo ufficio della Santa Sede presso l’Organizzazione degli Stati Americani nell’agosto 2019.

Nato nel 1967, sacerdote dal 1996, è entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede il 1 luglio 2003, e ha servito nelle Rappresentanze Pontificie in Ecuador, Ungheria e presso la sezione degli Affari Generali della Segreteria di Stato. Si trova ora a rappresentare il Papa in una nazione africana piccola, ma cruciale, da cui proveniva il Cardinale Gantin e che quest’anno celebra i 40 anni di relazioni diplomatiche con la Santa Sede.

Il posto di monsignor Miles come Osservatore Permanente all’OSA viene preso da Juan Antonio Cruz Serrano. Spagnolo, consigliere di Nunziatura, è sacerdote dal 2001 e nel servizio diplomatico della Santa Sede dal 2004. Ha servito nelle nunziature di Zimbabwe, Irlanda, Cile e presso la Sezione degli Affari Generali per la Segreteria di Stato.

Nata nel 1948, la OSA è la più antica delle organizzazioni regionali, ed ha un peso tale che viene spesso descritta come “una piccola ONU”. La OSA comprende i 35 Stati indipendenti delle Americhe (la Guyana francese non vi partecipa perché, appunto, dipartimento d’Oltremare francese) e funziona come forum politico multilaterale per la soluzione di problemi politici.La sede principale dell’Organizzazione è appunto a Washington, e vi partecipano, in qualità di osservatori, oltre 70 tra Stati e organizzazioni. La Santa Sede è uno di questi.Fino al 2012, il ruolo di Osservatore Permanente presso l’Organizzazione degli Stati Americani era stato ricoperto dal nunzio negli Stati Uniti. Nell’agosto 2012, invece, fu deciso che il posto sarebbe stato ricoperto dall’Osservatore Permanente presso le Nazioni Unite, che al tempo era l’arcivescovo Francis Chullikat.Era stato l’arcivescovo Pietro Sambi, nunzio a Washington deceduto nel luglio del 2011, ad avviare una serie di riflessioni sull’opportunità della nomina del nunzio presso gli Stati Uniti come Osservatore permanente, perché in generale tutti i rappresentanti dei Paesi membri dell’OAS con qualità di ambasciatore erano diversi da quelli in servizio presso il governo degli Stati Uniti, e il “doppio incarico” di nunzio a Washington e osservatore presso l’OAS non sempre facilita le relazioni diplomatiche.

                                                FOCUS MULTILATERALE

La Santa Sede a Ginevra

Il 3 febbraio, la Santa Sede è intervenuta al comitato Commercio e Sviluppo dell’UNCTAD, l’agenzia ONU per il commercio. L’intervento è stato pronunciato dall’arcivescovo Ivan Jurkovic, osservatore permanente della Santa Sede presso le organizzazioni internazionali a Ginevra.

La Santa Sede ha notato l’impatto della pandemia sulle nazioni meno sviluppate, mettendo in luce che ci sono più di un miliardo di persone nelle nazioni di questo tipo, ma che contano per solo l’1,3 per cento del PIL globale.

Queste persone hanno meno mezzi finanziari ed istituzionali per reagire agli shock economiche, e così – come si vede nel rapporto UNCTAD – gli Stati meno sviluppati hanno avuto le peggiori performance economiche degli ultimi 30 anni, e potrebbe peggiorare, anche perché il numero di persone in estrema povertà in queste nazioni potrebbe aumentare di 32 milioni di unità.

La Santa Sede chiede che la povertà non sia definita solo in base a parametri economici, e mette in luce che ci sono molti parametri da considerare, dalle infrastrutture all’energia, alla scienza, alla tecnologia e innovazione, fino allo sviluppo del settore privato.

Ad ogni modo, nota la Santa Sede, la marginalizzazione delle nazioni meno sviluppate le ha colte anche in una difficile situazione di mercato, e sottolinea che invece le economie più avanzate possono “aiutare a rilanciare la crescita globale sostenibile combinando una politica fiscale proattiva, che include le spese sulle infrastrutture, insieme a politiche monetarie chiare e di supporto”, in modo che così le nazioni meno sviluppate “possano incoraggiate e aiutate a costruire domanda interna, usare i regolamenti per proteggersi dei rischi della finanzializzazione nei loro contesti domestici e proteggere il loro spazio politico e fiscale per poter gestire altri shock economici non previsti”.

La Santa Sede ha reiterato che la crisi da COVID ha mostrato ancora di nuovo “le ineguaglianze e le asimmetrie” del sistema economico e dell’architettura finanziaria multilaterale. Secondo la Santa Sede, si deve abbandonare un approccio economico basato sull’esportazione, ma piuttosto lavorare sulle capacità produttive di sviluppo, e così, “nel dare forma al recupero economico alla luce della pandemia”, ci si assicurerà che “le misure di supporto al commercio internazionale portino ad una integrazione dei Paesi meno sviluppati nell’economica globale”.

La Santa Sede chiede inoltre di accompagnare le nazioni meno sviluppate anche dopo che hanno abbandonato le fasce basse di sviluppo, in modo che possano stabilizzare l’economia e che si possa dare forma a una società che “non lascia nessuno indietro”.

La Santa Sede a New York, nella Giornata Internazionale della Fraternità Umana

Si è tenuta il 4 febbraio la prima Giornata Internazionale della Fraternità Umana proclamata dalle Nazioni Unite su suggerimento dell’Alto Comitato per la Fraternità Umana voluto dagli Emirati Arabi dopo la dichiarazione di Abu Dhabi, e che vede anche la partecipazione della Santa Sede.

In occasione della giornata, l’arcivescovo Gabriele Giordano Caccia, osservatore permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite a New York, ha definito la Giornata come “un percorso verso il futuro”.

Ricordando la firma del documento di Abu Dhabi da parte di Papa Francesco e del Grande Imam Ahmed al Tayyb, l’arcivescovo Caccia ha affermato che il documento ha “uno speciale appello ai credenti di diverse religioni perché mostrino, di fronte la violenza, l’importanza della vita di fede e del ruolo positivo che le persone di fede possono giocare nella società”.

L’arcivescovo Caccia ha poi messo in luce che il Papa ha poi elaborato questa chiamata al dialogo e alla riconciliazione nella enciclica Fratelli Tutti, in cui ha anche sottolineato “l’importanza della fraternità e il bisogno di difenderla, considerando la vera fraternità come una nuova frontiera per l’umanità, la grande sfida del nostro tempo”.

                                                FOCUS MEDIO ORIENTE

Iraq, verso il viaggio di Papa Francesco: la restituzione delle case ai cristiani

Mentre si avvicina il viaggio di Papa Francesco in Iraq, Moqtada al Sadr, leader sciita iracheno che si era distinto ad inizio anni 2000 per le sue imprese paramilitari, ha lanciato una commissione speciale per raccogliere e verificare notizie e reclami sui casi di esproprio abusivo di beni immobiliari subiti negli ultimi anni da proprietari cristiani in diverse regioni dell’Iraq.

L’agenzia della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli Fides ha sottolineato che ci sono già dozzine di denunce, come ha spiegato Hassan al Kaabi, vice presidente della Camera dei Rappresentanti che si trova nella coalizione che fa capo ad al Sadr, in un aggiornamento ai media.

Al Kaabi ha raccontato che ora la commissione sta verificando le denunce sul campo, con vari sopralluoghi, raccogliendo testimonianze nelle comunità locali per verificare la veridicità delle denunce.

Il comitato non si occupa solo delle case espropriate ai cristiani, ma anche ai mandei, una minoranza religiosa che ha chiesto direttamente a Moqtada al Sadr di beneficiare dell’iniziativa.

La commissione ha chiesto anche alle famiglie di cristiani che hanno lasciato il Paese negli ultimi anni di segnalare possibili casi di abusi. Le case dei cristiani sono state illegalmente sottratte grazie ad una diffusa corruzione, collegata all’esodo di massa dei cristiani iracheni dopo la Seconda Guerra del Golfo.

                                                            FOCUS ASIA

Myanmar, l’appello del Cardinale Bo

Dopo il colpo di Stato in Myanmar, il Cardinal Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, presidente della Conferenza Episcopale Cattolica del Myanmar e presidente della Federazione delle Conferenze Episcopali Asiatiche, ha lanciato un accorato messaggio rivolto al popolo del Myanmar e alla comunità internazionale.

Il cardinale ha chiesto di “rispettare i diritti” dei rappresentanti eletti del popolo, così come scrittori attivisti e giovani che sono stati imprigionati. Invocando un loro pronto rilascio, il Cardinale ha sottolineato che “non sono prigionieri di guerra. Sono prigionieri di un processo democratico”.

Il cardinale si è rivolto direttamente ai capi dell’esercito che hanno orchestrato il golpe. Il Cardinale Bo era nello Stato di Kachin il giorno della presa di potere dei militari, e così è rimasto isolato per alcuni giorni.

Il testo del Cardinale è indirizzato a concittadini, leader civili, esercito e comunità internazionale. Parlando ai cittadini, il Cardinale chiede loro di “restare calmi, non cedere alla violenza. Abbiamo versato abbastanza sangue. Non si sparga più sangue in questa terra. Anche in questo momento così impegnativo, credo che la pace sia l'unica via, che la pace sia possibile. Ci sono sempre modi non violenti per esprimere le nostre proteste. Non diamo spazio all'odio in questo momento in cui lottiamo per la dignità e la verità. Che tutti i leader della comunità e i leader religiosi preghino e animino le comunità per una risposta pacifica a questi eventi. Pregate per tutti, pregate per tutto, evitando le occasioni di provocazione".

Il Cardinale si è poi rivolto ai generali, denotando lo “shock e l’amarezza” del mondo di fronte al colpo di Stato, mettendo in luce come in realtà, dopo la prima transizione democratica nel 2015, era stata promessa “pace e vera democrazia”, e invece l’esercito ha preso il potere unilateralmente.

E oggi, mentre l’esercito promette maggiore democrazia, il Cardinale ha notato che “la gente del Myanmar è stanco di promesse vuote”.

Il Cardinale si rivolge poi alla leader Aung San Suu Kyy e agli esponenti della Lega Nazionale per la Democrazia ora agli arresti, sottolineando che “la verità prevarrà. Dio è l'ultimo arbitro della verità. Ma Dio attende”.

Parlando alla comunità internazionale, il Cardinale Bo nota che “sanzioni e condanne hanno portato pochi risultati, anzi hanno chiuso le porte e chiuso il dialogo”, e questo è stata “una benedizione per quei poteri forti che mirano alle nostre risorse”.

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