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Cardinale Cantalamessa: “Dio non lo incontriamo solo andando in Chiesa”

Il Cardinale Cantalamessa durante l'ultima predica di Avvento del 2020, Aula Paolo VI, 18 dicembre 2020

Un cristiano non potrà mai fare a meno dell’Eucarestia e della comunità”, ma quando ci sono delle condizioni per cui averle è impossibile – come sono adesso le restrizioni dovute alla pandemia – “non deve pensare che la sua vita cristiana si interrompa”. Lo sottolinea il Cardinale Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa pontificia, nell’ultima predica di Avvento.

Parlando davanti al Papa e ai mebri della Curia nell’Aula Paolo VI, il Cardinale Cantalamessa centra la sua predicazione sul tema del Verbo Incarnato, e sull’umiltà di Dio. “Natale – sottolinea – è la festa dell’umiltà”. Mette in luce come lo “scandalo” dell’incarnazione sia stato sempre combattuto, fino ad arrivare ad un vero e proprio ateismo, al rifiuto dell’umiltà di Dio per via della nostra mancanza di umiltà. Afferma che la Chiesa è molto più di quello che pensiamo, perché abbraccia tutti i poveri. E invita a vivere la vita cristiana sempre, anche in condizioni difficili.

Perché – dice il Cardinale Cantalamessa – “con le restrizioni che pone al culto pubblico la pandemia, essa potrebbe essere l’occasione di scoprire che Dio non lo incontriamo solo andando in Chiesa. Possiamo intrattenerci con Gesù cuore a cuore, anche a casa”. La vita cristiana, insomma, non si interrompe.

La predica di Avvento si centra prima di tutto sull’umiltà di Gesù. Anche gli apostoli, nella tempesta, si trovano a pensare che a Gesù non importi di loro.

“Non avevano capito – sottolinea il Cardinale Cantalamessa - chi era colui che stava con loro sulla barca. Non avevano capito che con lui dentro la barca non poteva affondare, perché Dio non può perire”. E, con l’incarnazione avvenuta a Natale, l’orizzonte si allarga e “noi discepoli di oggi commetteremmo lo stesso errore se nella violenta tempesta che si è abbattuta sul mondo dimenticassimo che non siamo soli sulla barca”.

Incoraggia il predicatore: “Dio è con noi, dalla parte dell’uomo, suo amico e alleato contro le forze del male, e dobbiamo ritrovare il significato primordiale dell’incarnazione del Verbo, al di là dei dogmi costruiti su di esso”.

Certo, l’incarnazione è uno scandalo, difficilmente comprensibile, e il cardinale invita a guardare addirittura alle reazioni che questa notizia suscitava già prima delle controversie cristologiche del V secolo. Perché “la prima grande battaglia che la fede in Cristo ha dovuto affrontare è stata la sua umanità”, difficile da comprendere se si considera il dogma di Platone che “nessun Dio si mescola con l’uomo”.

È sant’Agostino – prosegue Cantalamessa – che ha messo in luce come sia proprio la mancanza di umiltà (e la sua mancanza di umiltà) a non permettergli di comprendere l’incarnazione. Una mancanza di umiltà – commenta – “ci fa capire la radice ultima dell’ateismo e ci indica il modo di superarlo”.

Da qui, gli assalti alla verità storica del Vangelo. “Gesù ha detto: io sono la Via la Verità e la Vita. Una volta dichiarata impercorribile questa strada è stato facile passare prima al deismo e poi all’ateismo”, dice il Cardinale Cantalamessa.

Il quale sottolinea che “ci vuole poca potenza per mettersi in mostra, ci vuole molta per mettersi da parte, per cancellarsi e Dio è questa illimitata potenza di nascondimento di sé”.

Una potenza che nasce dal fatto che “Dio è amore” e per questo è umiltà. Si chiede Cantalamessa: “Che significa l’umiltà applicata a Dio? Umiltà essenziale non consiste nell’essere piccoli, non significa ritenersi piccoli, non consiste nel proclamarsi piccoli, consiste nel farsi piccoli per amore, per elevare gli altri. E in questo senso veramente umile è soltanto Dio. Ogni giorno Gesù su umilia scendendo nell’ostia”.

Il predicatore poi guarda alla figura di San Giovanni Battista, profeta diverso, perché “non annuncia una salvezza futura, addita uno che è presente, è lì davanti a loro”. Ma lui è il precursore, dunque “è chiamato ad essere più che un profeta, e per questo pronuncia un perentorio ecce: ‘Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che battezza con lo Spirito Santo’. È evidente che le parole di Giovanni Battista erano chiamate da una forza profetica particolare. Passato e futuro, attesa e compimento si toccavano, l’arco voltaico della storia della salvezza si chiudeva. Io credo che Giovanni Battista ci ha lasciato lo stesso compito profetico”.

Il Cardinale Cantalamessa sottolinea che proprio da questo “ecce” comincia l’evangelizzazione e che “al tempo di Giovanni Battista faceva difficoltà il corpo fisico di Gesù”, uguale al nostro ma senza peccato, e “oggi è soprattutto il corpo mistico la Chiesa a fare difficoltà e scandalizzare, così simile al corpo umano anche al peccato”.

Per il Cardinale Cantalamessa “non importa infatti sapere che Dio si è fatto uomo. Importa sapere che tipo di uomo Dio si è fatto”. Questo modo di farsi piccolo è a fondamento della scelta preferenziale dei poveri, istituita dallo stesso Gesù come ha istituito l’Eucarestia, perché “come nell’Eucarestia ha detto: ‘Questo è il mio corpo’, così ha fatto per i poveri dicendo che ‘ogni cosa che farete ai piccoli l’avete fatta a me’.”

Per questo, la Chiesa dei poveri ha un “significato che va al di là di quello che si intende di solito. Non sono solo i poveri della Chiesa, tutti i poveri del mondo le appartengono”. Anche quelli che non hanno ricevuto il battesimo – nota Cantalamessa – perché la loro povertà è il loro battesimo di sangue. E così “la Chiesa di Cristo è molto più vasta di quello che dicono i numeri e le statistiche, non per semplice modo di dire o trionfalismo”, ma perché Gesù ha proclamato che ogni cosa fatta a un povero è fatta a lui.

Il Cardinale Cantalamessa considera dunque che “andare verso i poveri è imitare l’umiltà di Dio, è farsi piccoli per amore, per innalzare gli altri”. Perché, conclude, “Cristo non è presente sulla barca del mondo della chiesa, ma è presente sulla barca del mondo della mia vita. Che pensiero se riuscissimo a crederci!”

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