Città del Vaticano , 14 December, 2020 / 6:00 PM
“La scena internazionale continua ad essere turbata da preoccupanti tensioni. Non possiamo non ricordare le pesanti sofferenze che hanno afflitto e che ancora affliggono tanti nostri fratelli e sorelle nel mondo: migliaia di vittime innocenti nei gravissimi attentati dell’11 settembre scorso; innumerevoli persone costrette ad abbandonare le loro abitazioni per affrontare l’ignoto e talvolta la morte cruenta; donne, vecchi e bambini esposti al rischio di morire di freddo e di fame”.
Era il 18 novembre del 2001. Il mondo era sconvolto dopo gli attentati dell’11 settembre e Giovanni Paolo II aveva ben presente nel suo sguardo universale, che la situazione del terrorismo poteva solo portare a tragedie ancora più devastanti.
Per questo prima della preghiera dell’Angelus alle 12 in piazza San Pietro parla ai fedeli chiedendo una preghiera speciale perché, spiega, “In una situazione resa drammatica dalla sempre incombente minaccia del terrorismo sentiamo l’esigenza di elevare il nostro grido a Dio. Quanto più insormontabili sembrano le difficoltà e oscure le prospettive, tanto più insistente deve farsi la nostra preghiera per implorare da Dio il dono della comprensione reciproca, della concordia e della pace”.
Ecco allora la proposta, pregare insieme, cristiani ed islamici.
“Sappiamo che la preghiera acquista forza se è accompagnata dal digiuno e dall’elemosina. Così insegna già l’Antico Testamento ed i cristiani, fin dai primi secoli, hanno accolto questa lezione e l’hanno applicata, particolarmente nei tempi di Avvento e di Quaresima. Da parte loro, i fedeli dell’Islam hanno appena iniziato il Ramadan, mese consacrato al digiuno e alla preghiera. Noi cristiani ci avvieremo tra poco nell’Avvento per prepararci, nella preghiera, alla celebrazione del Natale, giorno della nascita del "Principe della pace””.
E l’appuntamento: “chiedo ai cattolici che il prossimo 14 dicembre sia vissuto come giorno di digiuno, durante il quale pregare con fervore Dio perché conceda al mondo una pace stabile, fondata sulla giustizia, e faccia sì che si possano trovare adeguate soluzioni ai molti conflitti che travagliano il mondo. Ciò di cui ci si priva nel digiuno potrà essere messo a disposizione dei poveri, in particolare di chi soffre in questo momento le conseguenze del terrorismo e della guerra”.
Nello stesso momento il Papa indisse anche la giornata di preghiera ad Assisi per il 24 gennaio del 2002 per tutte le religioni: “Ci si vuol trovare insieme, in particolare, cristiani e musulmani, per proclamare davanti al mondo che la religione non deve mai diventare motivo di conflitto, di odio e di violenza. Chi veramente accoglie in sé la parola di Dio, buono e misericordioso, non può non escludere dal cuore ogni forma di astio e di inimicizia”.
Attraverso il Pontificio Consiglio Cor Unum, che fornì le coordinate per poter concretamente dare un aiuto, le donazioni arrivarono alle popolazioni sofferenti, alle “vittime delle conseguenze del terrorismo e della guerra, passata la maggiore emergenza, rischiano di essere dimenticati”.
Il giorno prima il 13 dicembre il Papa aveva guidato un incontro sulla questione della pace in Terra Santa ed il futuro dei cristiani, con tutti i capi dicastero.
“La riunione - si legge nel comunica ufficiale dell’allora direttore Joaquin Navarro Valls - ha dato luogo ad una profonda riflessione sulla drammatica situazione che sconvolge le popolazioni della Terra Santa, in particolare quella israeliana e palestinese, da troppo tempo, ormai, ostaggio di una spirale di violenza che, purtroppo, ha già mietuto tantissime vittime, specie tra le giovani generazioni. Sentimenti di cordoglio sono stati manifestati per le famiglie di tutte le vittime cadute a causa di questa assurda violenza”.
Molti i temi sul tavolo anche le preoccupazioni come “l’autorizzazione concessa dal governo israeliano per la costruzione di una moschea nella prossimità della Basilica dell’Annunciazione a Nazareth. L’edificazione di una moschea in quel luogo rischierebbe d’essere considerata provocatoria ed è vista come una grave mancanza di rispetto per i sentimenti dei cristiani e per un luogo di preghiera ricco di profondi significati spirituali per la loro fede”.
La polemica fu lunga, ma alla fine la moschea non fu costruita, anche se la questione resta aperta.
Il giorno di Natale venne comunicata la cifra raccolta e indicata la destinazione. Il Papa “ha incaricato il Pontificio Consiglio Cor Unum (dove fin’ora è stata raccolta la somma di £. 750.000.000, mentre alla Segreteria di Stato sono pervenuti direttamente diversi contributi per un ammontare di circa £. 685.000.000) di provvedere a far giungere a destinazione tali offerte, avendo riguardo innanzitutto per i bambini, gli anziani, gli ammalati, le persone rimaste senza casa e quelle più esposte al pericolo del freddo e della fame, in questi mesi invernali”.
E il grazie del Papa era “coloro che hanno voluto rispondere generosamente al suo appello, e auspica che la solidarietà internazionale continui a sostenere le popolazioni in difficoltà anche al di là dell’emergenza”.
E quel giorno ci fu anche un altro evento per cui la Santa Sede mosse la sua diplomazia di pace.
“In risposta a diverse domande in merito al divieto posto ad Arafat di recarsi oggi a Betlemme, il Direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Dr. Joaquín Navarro-Valls, ha rilasciato in fine mattinata la seguente dichiarazione:
Da parte della Segreteria di Stato è stato fatto un passo diplomatico per evitare questo divieto arbitrariamente imposto e facilitare così un clima più distensivo nell’area”.
La strategia della Pace voluta da Giovanni Paolo II con la preghiera e con le azioni concrete è stata una delle costanti del Pontificato.
(La storia continua sotto)
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