Roma, 26 October, 2020 / 2:00 PM
“Nelle pagine di don Peppe si rende presente una Chiesa che – come il suo Signore – sa commuoversi, piangere e coinvolgersi ‘nella trepidazione, nella paura, nel dolore, nella tristezza e nell’angoscia’ di quanti sono provati dal lutto; una Chiesa che non rinuncia a credere e ad annunciare che chi muore ‘esce dal tempo ed entra nel presente dell’ultimo giorno’; una Chiesa che, con la Tradizione, rinnova la sola fede che sottrae l’uomo alla polvere: Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà”.
Così scrive il sottosegretario della Cei, don Ivan Maffeis, nella prefazione al libro ‘Sentinelle del mattino" edito da Palumbi di don Giuseppe Calabrese, giovane sacerdote ‘scout’ dell’arcidiocesi di Matera-Irsina e membro dell’ufficio diocesano delle Comunicazioni Sociali. Il libro racconta il dialogo con i giovani, in cui descrive la misericordia di Dio.
A lui chiediamo di spiegarci il motivo per cui ha scelto per il libro quest’espressione di san Giovanni Paolo II: “Quando ho deciso insieme all’editore il titolo del libro, ho pensato all’espressione utilizzata da san Giovanni Paolo II per chiamare i giovani nella Veglia della Giornata mondiale della gioventù di Roma dell’anno 2000: ‘cari amici, vedo in voi le sentinelle nel mattino in quest’alba del terzo millennio’. ‘Sentinelle del mattino’ perché, anticamente, la sentinella si trovava a vegliare durante tutta la notte, ad essere pronta a trasmettere un segnale luminoso da un posto ad un altro e a fare la guardia alla porta che introduceva ad un tesoro. Oggi il tesoro che tutti devono poter trovare, ed in particolare i giovani devono poter seguire e comunicare, è la speranza nell’eternità, che non finirà mai. ‘Sentinelle del mattino’ perché, come le sentinelle alzavano sempre lo sguardo cercando di vedere oltre il proprio orizzonte, così i giovani sono chiamati ad alzare sempre lo sguardo dalle loro cadute, dalle loro comodità e dalla loro rassegnazione per essere un valore aggiunto, l’impronta decisiva per l’intera comunità umana. ‘Sentinelle del mattino’ perché la vita, anche se molto spesso ci riserva momenti tenebrosi, di solitudine e di sofferenza, la spinta che ci assicura il cammino da seguire, e che ci dice che sorgerà sempre un nuovo giorno, un nuovo mattino per poter essere felici e fare felici, è una persona: Gesù Cristo”.
Nel libro lei risponde alle domande dei giovani sulla morte e sul senso della vita: ha senso parlare ai giovani dei novissimi?
“I Novissimi costituivano, fino a non molti anni fa, una delle tematiche affrontate dalle nostre catechesi settimanali. Oggi tali tematiche vengono tralasciate a causa di una lettura troppo materialista, pragmatica e scientista, ma non scientifica della realtà, la quale è cosa ben diversa, perché la scienza è una cosa buona e non ci sarà mai una scoperta scientifica che potrà mettere in dubbio la fede. Con il tempo la predicazione ha invece ritenuto che non fosse più importante ricordare e far conoscere al cristiano in una prospettiva di speranza quelli che sono i contenuti ultimi dei Novissimi: la morte, il giudizio, l’inferno, il purgatorio e il paradiso. Oggi giorno ha quindi senso riproporre i Novissimi perché solo tenendoli davvero presenti nella nostra vita e nelle nostre giornate possiamo essere bravi amministratori e veri custodi della vita che scegliamo ogni giorno di vivere e di servire, dato che le azioni che compiamo hanno una ripercussione nell’esistenza terrena ed in quella definitiva, quella eterna. Il nostro futuro dipende dal nostro presente, se scegliamo di ‘vivere pienamente o di vivacchiare’ come ci ricorda il beato Piergiorgio Frassati”.
Cosa chiedono i giovani alla Chiesa?
“Non ci vogliono molte parole per rispondere a questa domanda. I giovani chiedono alla Chiesa semplicemente una cosa: credibilità, autenticità e soprattutto tanta e tanta fiducia nei fatti piuttosto che nelle sole parole spese nei loro confronti”.
Allora come raccontare la Speranza ai giovani?
“La speranza va raccontata vivendola in una semplice maniera: non considerare i giovani una ‘gioventù bruciata’, come molto spesso vengono identificati in senso negativo anche da coloro che frequentano le nostre parrocchie. I giovani desiderano essere ascoltati per davvero, considerati, coinvolti, stimati, incoraggiati ad essere quella la gioventù bruciata infiammata dell’unico fuoco che mantiene vivi, uniti e pieni di speranza: I il fuoco dell’amore. I nostri giovani sono già degli atleti, che quando vengono a correre, vogliono vincere e vogliono far vincere la famiglia con cui corrono. Il problema ricorrente è che, spesso, non si vogliono far gareggiare i giovani perché ti dicono sempre le cose come stanno, ti chiedono nuovo lavoro e creatività e perché vengono sempre considerati, quelli che devono essere sempre affiancati ad un adulto. Avete visto mai un adulto che si affianca al giovane? Eppure oggi la testimonianza del beato Carlo Acutis va in questa direzione, il giovane era già pronto, gli adulti ancora no. Mettere i giovani a posti di decisone permetterà di non informare sulla speranza, ma di comunicare che la speranza è davvero possibile. Come ci insegna Papa Francesco, smettiamo di fare le cose come le abbiamo fatte fino ad oggi e avviamo processi nuovi di speranza”.
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