Città del Vaticano , 19 October, 2020 / 6:00 PM
“Gli eventi ecclesiali sono (…) più difficili a farsi cogliere per coloro che li guardano, lo dico col massimo rispetto per tutti, al di fuori di una visione di fede e ancor più a essere espressi per un largo pubblico che ne percepisce difficilmente il vero senso”. Giovanni Paolo II lo sapeva bene e lo disse subito ai giornalisti che avevano seguito la sua elezione nella udienza del 21 ottobre del 1978 in Vaticano con la stampa mondiale.
Una riflessione perfettamente attuale quella del Papa che arrivava da oltrecortina ma era a conoscenza anche delle dinamiche dell’informazione “libera”.
“Per voi - disse- è quindi necessario suscitare l’interesse e l’ascolto di quel pubblico, mentre le vostre agenzie vi domandano spesso e soprattutto qualche cosa di sensazionale. Alcuni sono allora tentati di rifugiarsi nell’aneddoto: è concreto e può essere molto valido, ma a condizione che l’aneddoto sia significativo e in rapporto reale con la natura del fatto religioso. Altri si lanciano coraggiosamente in una analisi approfonditissima dei problemi e delle motivazioni degli uomini di Chiesa, con il rischio di rendere conto in modo insufficiente dell’essenziale, che, lo sapete, non è di natura politica ma spirituale: in definitiva, da quest’ultimo punto di vista, le cose sono spesso più semplici di quanto non s’immagini: oso appena parlare della mia elezione!”.
E il Papa però chiedeva anche agli ecclesiastici un impegno particolare: “ Mi auguro precisamente che gli artigiani dell’informazione religiosa possano sempre trovare l’aiuto di cui hanno bisogno presso organismi qualificati della Chiesa. Questi devono accoglierli nel rispetto delle loro convinzioni e della loro professione, fornire loro una documentazione molto adeguata e molto obiettiva, ma anche proporre loro una prospettiva cristiana che situi i fatti nel loro significato effettivo per la Chiesa e per l’umanità. Così potrete abbordare quei “reportages” religiosi con la competenza specifica che essi esigono”.
In quei giorni dal 16 al 22 ottobre il Papa pronunciò moltissimi discorsi, tra cui quello attesissimo ai cardinali e uno al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede.
“Venerabili Fratelli, - disse il nuovo Papa il 18 ottobre ai cardinali- è stato un atto di fiducia e nel contempo di grande coraggio l’aver voluto chiamare a Vescovo di Roma un “non italiano”. Non si può dire niente di più, ma soltanto chinare il capo di fronte a tale decisione del Sacro Collegio”. E poi pensa al colore rosso del martirio e ricorda: “Mi sovviene, in questo momento, la figura di un grande Vescovo, San Giovanni Fisher, creato cardinale, come è noto, mentre si trovava imprigionato per la sua fedeltà al Papa di Roma. Al mattino del 22 giugno 1535, mentre si accingeva ad offrire il suo capo alla scure del carnefice, rivolto alla folla esclamava: Popolo cristiano, giungo prossimo alla morte per la fede nella Santa Chiesa cattolica di Cristo. Oserei anche aggiungere che pure nella nostra epoca non mancano coloro a cui non è stata e non è tuttora risparmiata l’esperienza del carcere, delle sofferenze, dell’umiliazione per Cristo”.
Ai diplomatici il 20 ottobre il Papa delinea la sua linea. Era il 1978, l’ Europa divisa dal Muro, e da un Pontefice che veniva dalla Polonia magari ci si attendeva una posizione “politica”. Giovanni Paolo II è chiaro, le relazioni diplomatiche “senza confusione di competenze, esse manifestano, da parte mia, non necessariamente l’approvazione per questo o quel regime – non è cosa che mi riguarda – né evidentemente l’approvazione di tutti i loro atti nella condotta degli affari pubblici, ma un apprezzamento dei valori temporali positivi, una volontà di dialogo con coloro che sono legittimamente incaricati del bene comune della società, una comprensione del loro ruolo spesso difficile, un interesse e un aiuto apportato alle cause umane che essi devono favorire, per virtù talvolta di interventi diretti, per virtù soprattutto della formazione delle coscienze, un contributo specifico alla giustizia e alla pace sul piano internazionale”.
E aggiunge: “C’è ancor troppa miseria fisica e morale che dipende dalla negligenza, dall’egoismo, dalla cecità e dalla durezza degli uomini. La Chiesa, per quanto la riguarda, vuole contribuire ad attenuare queste miserie, con i suoi pacifici mezzi, educando al senso morale, attraverso l’azione dei cristiani e degli uomini di buona volontà. Facendo ciò, la Chiesa può talvolta non essere capita, ma è convinta di rendere un servizio di cui l’umanità non potrebbe fare a meno; essa è fedele al suo maestro e salvatore, Gesù Cristo”.
Il Papa tenne anche altri discorsi e il 22 la omelia di inizio Pontificato, indimenticabile il momento alla fine della messa quando brandendo il pastorale di Paolo VI scese verso i fedeli per salutarli dopo avere detto con forza: “ Fratelli e Sorelle! Non abbiate paura di accogliere Cristo e di accettare la sua potestà!
Aiutate il Papa e tutti quanti vogliono servire Cristo e, con la potestà di Cristo, servire l’uomo e l’umanità intera!
Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!
Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa “cosa è dentro l’uomo”. Solo lui lo sa!
Oggi così spesso l’uomo non sa cosa si porta dentro, nel profondo del suo animo, del suo cuore. Così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra. È invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione. Permettete, quindi – vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia – permettete a Cristo di parlare all’uomo. Solo lui ha parole di vita, sì! di vita eterna”.
Quel 22 ottobre era la Giornata Missionaria Mondiale.
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