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Letture, "fui chiamato Dolindo, che significa dolore" come vivere sofferenza e fede

Don Dolindo Ruotolo

Dolindo significa dolore. Un nome difficile, stravagante, che ha segnato la vita di quel bambino nato a Napoli il 6 ottobre 1882. “Fui chiamato Dolindo, che significa dolore…” , scrive molti anni più tardi quel bambino diventato adulto, raccontando come quel nome gli era stato imposto dal padre al battesimo ed  è diventato  una sorta di programma di vita, che inconsapevolmente il genitore aveva predestinato al quinto dei suoi 11 figli.


Il padre di Dolindo è Raffaele Ruotolo, ingegnere e matematico, la madre è Silvia Valle, discendente della nobiltà napoletana e spagnola; il dolore effettivamente si presenta nella sua vita prestissimo, visto che  a 11 mesi subisce  una operazione chirurgica sul dorso delle mani, per un osso cariato, poi un altro intervento per un tumore sotto la guancia.
La numerosa famiglia, le scarse entrate, l’avarizia del padre, rendono la vita difficile,  in casa  si soffra la fame, la mancanza di generi primari, come i vestiti e le scarpe.

L’incipit della sua vita straordinaria è anche quello della sua autobiografia stampata in due volumi, con il titolo “Fui chiamato Dolindo, che significa dolore”; un incipit che coincide con una infanzia e una adolescenza trascorsa in  un famiglia segnata appunto dalle privazioni,  dominata  da un padre rigido al punto di non mandare a scuola i figli, dando loro personalmente sommarie lezioni di leggere e scrivere.

Nel 1896, i coniugi Ruotolo troppo diversi  e sempre più in contrasto si separano e Dolindo con il fratello Elio arriva  nella Scuola Apostolica dei Preti della Missione. Dopo tre anni, a fine 1899, viene ammesso al noviziato e nel maggio 1901 passa allo Studentato dei Preti della Missione che dura quattro anni fino al 1905. Una data che segna l’inizio di una vita travagliata anche sul piano della sua vocazione religiosa, ma rischiarata da una fede invincibile e dalla presenza concreta del Divino nei suoi giorni.

Il 19 novembre cadono i 50 anni dalla morte di don Dolindo Ruotolo – muore infatti nel 1970 -  mentre nel frattempo si è aperta la causa di beatificazione. Padre Pio lo chiamava «il santo apostolo di Napoli» e ai pellegrini napoletani che gli si presentavano a Pietrelcina era solito dire: «Che ci venite a fare qui da me, voi che tenete don Dolindo a casa vostra?». Anche don Dolindo, infatti, era dotato di carismi fuori dal comune: dialogava con il Cielo, leggeva nei cuori della gente, per la sua intercessione gli ammalati guarivano, era soggetto a fenomeni di bilocazione...

E poi gli scontri notturni con il demonio, i dialoghi intensi con il Mistero,  e anche l’obbedienza serena all’autorità della Chiesa, quando si trova sotto la lente del suo giudizio. Non è stato facile, infatti, per lui, rapportarsi alle gerarchie ecclesiastiche, vincere sospetti e maldicenze sorte anche in seno alle comunità religiose in cui si è trovato a vivere. Un dolore in più per questo “uomo dei dolori”. E la sua capacità di profetizzare: nel 1965 predice l’elezione di Giovanni Paolo II. Di quest’uomo di Dio straordinario esce ora per le Edizioni Ares di Milano e, in lingua polacca, per le Edizioni Esprit di Cracovia, la prima biografia completa. È scritta dalla nipote Grazia Ruotolo insieme con il giornalista Luciano Regolo e si intitola Gesù, pensaci tu. Contiene un prezioso inserto fotografico e la testimonianza di monsignor Vittorio Formenti della Basilica papale di Santa Maria Maggiore, il quale nella prefazione  racconta un miracolo appena capitato nella sua famiglia grazie all’intercessione di  don Ruotolo. 

Sacerdote, esorcista,  mistico, servo di Dio, don Dolindo fin da giovane ha intessuto dialoghi con il Cielo, in particolare con il Signore Gesù, la Madonna ma anche l’angelo custode e santa Gemma Galgani. Frutto dell’adorazione, della preghiera contemplativa, delle mortificazioni mediante le quali si preparava all’incontro con i fedeli che lo assediavano per ascoltare le sue prediche, confessarsi, chiedere intercessioni e consigli. Teologo e apologeta, ha scritto molte opere fra cui un dotto Commento alla Sacra Scrittura in 33 volumi, ma anche  migliaia di semplici messaggi, aforismi e le devozioni cristiane che gli venivano dettate nelle locuzioni interiori e che trascriveva sulle immaginette che donava a tutti. Proprio quelle immaginette e quelle semplici preghiere conducono ad una esperienza vissuta personalmente. Alcuni anni fa un’amica ci ha regalato un libretto con una novena “ideata” da don Dolindo, caratterizzata da un abbandono totale alla misericordia di Dio, incarnata dalla semplice invocazione “Gesù, pensaci Tu”. Qualunque affanno, qualsiasi problema dovevano essere presentati a Lui con fiducia, non con disperazione e affanno, sapendo che questa invocazione piena di speranza non sarebbe andata perduta. Il periodo attraversato era duro, triste, penoso. Quell’invocazione, prima rivolta con stanchezza, quasi con rassegnazione, talvolta persino con rabbia – bisogna confessarlo – piano  piano si sono stemperate in compassione, tenerezza, speranza.

Proprio questo, possiamo dire, rappresenta il fascino particolare che emana dalla figura di questo singolare sacerdote,  la sua personalità ricca di sfaccettature e complessità, divisa tra  una fede semplice, quotidiana, tenera e fiduciosa, e i doni straordinari, i fenomeni misteriosi da cui questa stessa esistenza travagliata era  attraversata. Il libro appena dato alle stampe racconta questa storia affascinante, e nel fare in modo che ci si possa accostare a questa  figura umile e sfavillante, ci sentiamo meno soli e impauriti.

Luciano Regolo, Grazia Ruotolo,  Gesù, pensaci tu, Edizioni Ares, pp.288, euro 16

 

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